mercoledì 23 gennaio 2013

Elezioni 2013, improponibili Pdl in lista. Tra famigli e dipendenti di Berlusconi. - Luigi Franco e Thomas Mackinson


Elezioni 2013, improponibili Pdl in lista. Tra famigli e dipendenti di Berlusconi


Non sono solo i condannati ad affollare gli elenchi del Popolo della Libertà. In Lombardia, dove si gioca la battaglia più importante per il controllo e il governo del Paese, scorrendo i nomi dei candidati si trovano un gran numero di dipendenti di Fininvest, ex mogli, portaborse, dame bionde e persino l'insegnante dei figli di B.

Non ci sarà Marcello dell’Utri, ma a fare le sue veci in Parlamento penserà lo storico braccio destro, Simone Crolla. Tra i big c’è Renato Farina, in compagnia del poker d’assi Bonaiuti, Bondi, Mantovani e Romani. Ma c’è molto di più nella squadra con cui il Pdl si gioca la partita delle partite, la conquista dei seggi in Lombardia, regione chiave per strappare la carta dell’ingovernabilità del Paese. Una lista di grandi nomi? Gente lontana dai guai giudiziari? Macché, a scorrere i nomi saltano fuori una vagonata di indagati, interi pezzi di casa Berlusconi e di Fininvest, vecchie glorie acchiappavoti, lobbisti e trombati in cerca di un premio. Impresentabili, di diritto o di fatto, dalla corte del principe a quelle dei giudici
Tanti i candidati per un unico grande merito, lo stare a servizio di Silvio Berlusconi, nelle sue aziende, nella gestione familiare e perfino delle sue residenze private. Da Villa San Martino a Roma Elena Centemero, n. 3 della lista Lombardia 2 per la Camera, ha fatto il balzo nella grande politica dopo aver insegnato lettere ai figli di Paolo e Silvio Berlusconi. In lista c’è anche chi deve aver contrattato con lei il costo delle lezioni, Mariella Bocciardo: n. 6 della lista è l’ex moglie di Paolo Berlusconi, entrata in Parlamento nel 2006 e nota come la “cognata” all’interno del cosiddetto (e indicibile) “gruppo bella gnocca” (insieme a Mara CarfagnaGabriella Carlucci e Michaela Biancofiore). Incontra Silvio nel ’63, lavora con lui nella vendita delle case di Brugherio e Milano Due. Nel 1982 si separa da Paolo e torna a lavorare in Fininvest. Insomma, una di casa.
E dopo il gran rifiuto di Marcello Dell’Utri, si materializza nelle liste qualcuno a lui molto vicino da tempo in Parlamento. E’ il suo braccio destro Simone Crolla, già animatore dei Circoli del Buon Governo e direttore dell’house organ settimanale di Forza Italia “Il Domenicale” (edito da Dell’Utri e chiuso per debiti a fonte di vendite in picchiata). In lista anche un megafono dell’ex premier come Giuseppe Maria Verro. Imprenditore palermitano è stato eletto due volte con il Pdl. Nel 2009 farà parlare di sé come consigliere Rai, dove si è distinto per le campagne pro-Minzolini e contro Santoro, Saviano e Celentano. In tv è andato anche Lucio Barani, n. 17 del collegio Lombardia 1. Ad esempio quando da sindaco di Aulla in Lunigiana fece erigere un busto di Bettino Craxi e rinominare la centrale piazza Matteotti in “Piazza martiri di Tangentopoli”. E ancora per la posa di cartelli stradali indicanti divieto di prostituzione.
Dodicesimo posto nella circoscrizione Lombardia 2 per Alessia Ardesi, alias “dama bionda”. Così è stata ribattezzata la giovane collaboratrice dell’ufficio stampa di Palazzo Grazioli, dopo che a fine 2011 accompagnò il Cavaliere fino a Marsiglia, in occasione del congresso del Ppe. Non è un berluscones doc Paolo Cagnoni, che però può vantare di essere l’assistente di Sandro Bondi, tra i più devoti al Cavaliere. Cagnoni si è guadagnato la candidatura alla Camera, in posizione 9 nella circoscrizione Lombardia 3. Una bella rivincita per lui, dopo la delusione subita alle scorse elezioni regionali: il suo nome era inserito nel listino bloccato di Formigoni, lo stesso di Nicole Minetti, ma all’ultimo è saltato a vantaggio di un leghista.
“QUELLI CHE LA GIUSTIZIA”
La lista lombarda è piena di nomi noti alle cronache giudiziarie, ma da queste parti non è un problema, con 62 consiglieri regionali indagati e lo stesso governatore Roberto Formigoni al centro dell’inchiesta sugli scandali della sanità. Per inciso, il Celeste, dopo il voltafaccia a Gabriele Albertini, si è guadagnato la posizione n. 2 al Senato, subito dopo il capolista Berlusconi. Spicca tra gli altri il fedelissimo Paolo Romani, già uomo dell’emittenza privata al Nord lanciato in politica nel 1994 con Forza Italia. Come deputato e sottosegretario mise il sigillo a provvedimenti volti a favorire le tv di Berlusconi. Nel 2012 è finito per due volte nel registro degli indagati. La prima per peculato, per una bolletta da 5.144,16 euro in due mesi con il telefonino del Comune di Monza. La seconda per istigazione alla corruzione, insieme a Paolo Berlusconi. Secondo l’accusa avrebbe fatto pressioni sull’amministrazione di centrodestra della città brianzola per sbloccare il grosso affare immobiliare della Cascinazza, un’area di interesse della famiglia Berlusconi. Entrambe le inchieste sono ancora in corso. Gli elettori lo ritroveranno puntualmente al blindatissimo numero 6 della lista Pdl per il Senato in Lombardia. Il suo nome è anche nell’elenco dei politici che ricevono generosi finanziamenti dalla Banca popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani
Nell’elenco c’è poi Salvatore Sciascia, ex direttore centrale degli affari fiscali Fininvest condannato insieme a Paolo Berlusconi per aver pagato 330 milioni di lire ai militari della Gdf per indurli a favorire l’azienda nelle verifiche fiscali. E’ l’amministratore dell’immobiliare Idra che raccoglie le proprietà della famiglia Berlusconi, a partire da Villa Certosa. C’è poi Alfredo Messina, vice presidente Mediolanum (gruppo Fininvest), indagato nella bancarotta HDC, referente Fininvest nelle intercettazioni telefoniche con Deborah Bergamini e Luigi Crespi. Chiamato come testimone al processo Berlusconi-Mills, si avvalse della facoltà di non rispondere, perché indagato di reato connesso.
Il nome di Maurizio Bernardo è indissolubilmente legato a un emendamento noto anche come “lodo Bernardo”, un cavillo inserito con emendamento al ddl anticrisi del 2009 che ha limitato l’azione della Corte dei Conti per danno erariale nei confronti di funzionari pubblici infedeli. Al tempo si ipotizzava che Berlusconi potesse essere citato per il danno d’immagine legato alle feste ad Arcore e al caso D’Addario. E lui si fece promotore di un salvacondotto immediato. Da assessore regionale alle Reti fu indagato per traffico illecito di rifiuti e poi prosciolto nel 2007. Suo fratello Massimo è finito al centro dell’inchiesta sul crack della milanese Zincar.
Corre per un seggio al Senato Riccardo Conti, oggi componente della commissione Finanze, al centro dell’affaire dell’Enpam, la compravendita immobiliare-lampo che gli avrebbe garantito nel giro di poche ore plusvalenze per 18 milioni di euro sulla quale indaga la procura di Roma. In lista anche Francesco Colucci, vecchio socialista, questore della Camera. Nel 1992 venne processato per voto di scambio, dopo il ritrovamento nel suo archivio informatico personale di migliaia di nomi accanto ai quali erano segnati i favori concessi (assunzioni nel settore pubblico, ricoveri d’ospedale, ecc.). Nel dicembre 1994 fu condannato a 1 anno di reclusione, per poi venire assolto in Cassazione. Ci sono poi quelli che erano stati rottamati da Berlusconi, ma a metà. “Nessuno dei vecchi consiglieri sarà ricandidato”, aveva tuonato appena due settimane fa il Cavaliere. In Regione strada sbarrata a chi è rimasto coinvolto nello scandalo delle spese folli con i fondi assegnati ai gruppi consiliari. In due, però, sono stati ripescati nelle liste per la Camera: Rienzo Azzi e Giovanni Rossoni, entrambi indagati dalla procura di Milano per peculato.
Tra chi negli ultimi tempi è finito sotto indagine delle procure e ora se la gioca in Parlamento c’è pure Giuseppe Romele. Rigioca, a dire il vero. Perché Romele è già deputato del Pdl, oltre a essere vice presidente della provincia di Brescia. Il suo nome è finito nel registro degli indagati per false dichiarazioni al pm nell’ambito del secondo filione dell’inchiesta sull’ex vice presidente del consiglio regionale Franco Nicoli Cristiani. In lista c’è pure Renato Farina, l’ex agente Betulla, nonché autore dell’articolo costato la condanna per diffamazione ad Alessandro Sallusti. Il suo nome è in decima posizione nella circoscrizione Lombardia 2, un po’ troppo in là per una possibile riconferma alla Camera. Del resto lui è uno dei più impresentabili: ha patteggiato una pena di sei mesi nel caso del rapimento di Abu Omar ed è stato condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi per la visita in carcere a Lele Mora, fatta insieme a un tronista spacciato per suo collaboratore.
Stessa lista, ma sesto posto, e quindi più probabilità di essere rieletto, per il deputato Antonio Angelucci. Editore del quotidiano Libero e re delle cliniche romane, Angelucci attualmente è già deputato, pur essendo rimasto coinvolto, con il suo gruppo Tosinvest, in diverse vicende controverse. Sia sul fronte della sanità (proprio ieri suo figlio Giampaolo si è visto chiedere una condanna a quattro anni e sei mesi dalla procura di Bari per una presunta tangente di 500mila euro pagata all’allora governatore Raffaele Fitto). Sia sul fronte dell’editoria, visto che il gruppo è stato condannato a pagare una multa di 103mila euro per i fondi percepiti indebitamente per lo stesso Libero e per il Riformista. In undicesima posizione nella circoscrizione Lombardia 2, non risulta indagato Sergio Gaddi, ex membro della giunta del comune di Como, ma l’assessorato alla Cultura che guidava è finito al centro di un’inchiesta per abuso d’ufficio: a far partire le indagini un esposto su presunte irregolarità legate alle mostre organizzate a villa Olmo. 
Monica Guarischi, numero 6 nella circoscrizione Lombardia 3, è la sorella di Luca Guarischi, ex consigliere regionale vicino a Formigoni, decaduto nel 2009 a seguito di una condanna definitiva a circa 5 anni di carcere per tangenti. Via il fratello, in Regione era entrata Monica, grazie a una collaborazione garantita dal Celeste per 10mila euro al mese. E ora arriva addirittura la possibilità di correre per uno scranno in Parlamento. Nell’area “lobby” si segnalano Andrea Mandelli, candidato a Monza alle ultime amministrative e presidente dell’ordine dei farmacisti, e Luca Squeri, assessore al Bilancio in Provincia, presidente milanese e nazionale Figisc, la federazione dei benzinai di Confcommercio. 

Danila Subranni, portavoce di Algelino Alfano.



Sapete chi è la signora bionda accanto ad Angelino Alfano?...si chiama Danila Subranni, portavoce di Alfano da quando era Ministro di Grazia e Giustizia...e sapete di chi è figlia Danila Subranni?...è la figlia dell'ex Generale dei Carabinieri dei ROS Antonio Subranni,oggi sotto processo a Palermo x la Trattativa Stato-mafia...era colui che Paolo Borsellino indicò come "Punciuto" (affiliato alla mafia) pochi giorni prima di morire, alla moglie Agnese Borsellino...

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Mps, Mussari scaricato dalla banca dopo lo scoop del Fatto si dimette dall’Abi.


Mps, Mussari scaricato dalla banca dopo lo scoop del Fatto si dimette dall’Abi


Molla la poltrona di rappresentante dei banchieri, l'avvocato calabrese che era arrivato ai vertici della Fondazione Mps nel 2001 con l'appoggio dei Ds e della Curia locale, per poi passare al presidenza della banca che ha tenuto fino all'esplosione del dissesto, la scorsa primavera. A dare la spinta lo stesso istituto che ha confermato i contratti derivati del 2009, ma ha negato che le operazioni siano state ufficialmente approvate dal cda.

Tanto tuonò che alla fine piovve anche all’Abi, la Confindustria delle banche che oggi ha ricevuto le dimissioni del presidente Giuseppe Mussari. Da mesi chiamato in causa da più parti – dalla Procura come dai consumatori e dai senesi – per il disastro del Monte dei Paschi di Siena banca che ha presieduto per sei anni dal 2006 al 2012 affiancato dal vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone, dopo un quinquennio alla guida dell’azionista di controllo, la Fondazione Mps, l’avvocato calabrese ha infatti lasciato la poltrona di rappresentante dei banchieri italiani, che occupava dal 2010 e che gli era stata confermata la scorsa estate. E questo nonostante la notizia di una corposa inchiesta della magistratura sull’istituto senese in procinto di ricevere oltre 4 miliardi di aiuti pubblici e relativa proprio agli anni della sua gestione.
La situazione evidentemente è diventata insostenibile dopo che oggi il Monte dei Paschi ha in pratica scaricato su Mussari la responsabilità di una vecchia operazione di finanza strutturata che nel 2009 ha mascherato perdite milionarie della banca svelata oggi dal Fatto Quotidiano e che non sarà priva di ripercussioni sugli attuali conti dell’istituto che oggi in Borsa, tra una sospensione al ribasso e l’altra, è arrivato a perdere quasi il 6% e ha chiuso la seduta in calo del 5,68 per cento a 0,27 euro. In serata, infatti, Mussari che non si era mosso né con la notizia dell’apertura delle indagini da parte della Procura di Siena, la scorsa primavera, né con quella della sua iscrizione ne registro degli indagati, lo scorso autunno, ha capitolato e ha consegnato le sue dimissioni “irrevocabili” nelle mani del vicepresidente vicario dell’associazione di Palazzo Altieri, Camillo Venesio,  sostenendo di aver assunto “questa decisione convinto di aver sempre operato nel rispetto dell’ordinamento, ma nello stesso tempo, deciso a non recare alcun nocumento, anche indiretto, all’Associazione”.
Del resto sono accuse decisamente pesanti quelle implicite nelle dichiarazioni rilasciate da Mps a commento del nuovo scheletro uscito dall’armadio di Siena a un mese dalla chiamata alle urne e pochi giorni dopo quello legato all’operazione Santorini venuto alla luce la settimana scorsa e svelato da un’inchiesta di Marco Lillo. Che ha portato alla luce l’operazione Alexandria, portata a termine da Mps con Nomura per “abbellire il bilancio 2009” scaricando sulla controparte le perdite per centinaia di milioni di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto segreto a lungo termine non trasmesso dall’allora vertice di Mps ai revisori dei conti di Kpmg e a Bankitalia. Il dossier è al vaglio tanto della Procura che sta indagando sulla costosa acquisizione di Antonveneta da parte di Mps datata 2008, quanto dei nuovi vertici del Monte, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola.
Davanti alla notizia, il Montepaschi stamattina aveva confermato che “l’operazione denominata Alexandria rientra nel perimetro delle analisi in corso in relazione ad alcune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti e ad oggi presenti nel portafoglio della banca”. E ha sostenuto che l’incremento di 500 milioni di euro di aiuti di Stato via Monti Bond (3,9 miliardi di euro più interessi il totale) richiesto a sorpresa a fine 2012, assicurerà la copertura “degli impatti patrimoniali” derivanti dai derivati, compresa l’operazione con Numura, la cui analisi verrà sottoposta al consiglio di amministrazione entro metà febbraio. In quella sede il consiglio “potrà, previa valutazione dei relativi impatti, adottare ogni misura necessaria per assicurare, anche retrospettivamente, la corretta rappresentazione contabile delle operazioni in oggetto”. Tradotto in soldoni, Mps conferma la possibilità di riscrivere i bilanci del passato, anche se ritiene che “la copertura di eventuali rettifiche di bilancio, nonché degli eventuali costi di chiusura delle operazioni in oggetto”, sia assicurata dal mezzo miliardo di aiuti pubblici aggiuntivo.
Giallo, però, sull’iter di approvazione dell’operazione nel 2009, il punto su cui è avvenuto il cambio di passo nei confronti dell’ex presidente. Nomura, che nel 2008 ha rilevato le attività europee della fallita Lehman Brothers nominandone alla presidenza Sadeq Sayeed e alla vicepresidenza l’ex numero uno della banca americana per l’Europa, Ruggero Magnoni, in mattinata si era affrettata a dichiarare in una nota che “l’operazione Alexandria era stata rivista e approvata prima della sua esecuzione al massimo livello in Mps, incluso il cda e il presidente Mussari”. Il gruppo giapponese sostiene inoltre di essere stato tra le varie banche avvicinate per annullare il rischio delle posizioni detenute dall’istituto senese che le aveva precedentemente acquistate da una grande banca europea, di aver vinto il mandato grazie a un prezzo competitivo e di aver “agito correttamente e responsabilmente in ogni fase nei confronti del cliente”.  ”Inoltre – aveva detto sempre Nomura – Mps ha fatto esaminare l’operazione dai suoi revisori di Kpmg”.
Non così il Monte, che a stretto giro ha smentito l’ufficialità dell’operazione, in pratica scaricandola su Mussari, dal momento che esiste la registrazione di una sua conversazione telefonica con Sayeed che chiedeva all’allora numero uno di Mps se i contratti legati ad Alexandria erano stati comunicati correttamente ai revisori di Kpmg. “Non risulta che tale operazione sia stata sottoposta all’approvazione del consiglio di amministrazione di Banca Monte dei Paschi di Siena”, si legge infatti in una seconda nota dell’istituto senese in risposta alla banca giapponese. Stessa linea da Kpmg che sostiene di non essere “mai stata messa a conoscenza di alcun accordo di natura riservata risalente al 2009 tra Mps e Nomura” di non aver “mai fornito alcuna approvazione, tanto meno preventiva, circa la struttura delle operazioni finanziarie oggetto di tali accordi riservati”.
Nel mezzo, la protesta accorata dei consumatori. ”Poiché l’intera rata dell’Imu prima casa, pari a 3,9 miliardi, è stata destinata dal governo Monti al Monte dei Paschi di Siena per evitare la bancarotta fraudolenta, i contribuenti italiani hanno il sacrosanto diritto di conoscere la genesi fedele delle operazioni spericolate in derivati, denominate Santorini ed Alexandria, messe in piedi nel 2009 dall’attuale presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, e soprattutto perché sia la Consob che Bankitalia non hanno mosso rilievi a tali rischiose operazioni che ne hanno minato la stabilità”, ha dichiarato il presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti, che in una nota ha chiamato in causa le autorità di vigilanza all’epoca guidate rispettivamente da Lamberto Cardia, attuale presidente delle Ferrovie dello Stato, e Mario Draghi, ora alla guida della Bce.
Non solo. Alla notizia delle dimissioni di Mussari,  Lannutti ha rilanciato dichiarando di aspettarsi ora “quelle dei vertici di Consob e Bankitalia, che non hanno vigilato sulla stabilità e sulla correttezza e trasparenza dei bilanci del Monte dei Paschi di Siena”. Esulta anche il candidato sindaco di Siena del Pd, Franco Ceccuzzi, il politico locale che maggiormente sostenuto l’ascesa di Mussari alla Rocca che fu dei Ds, mentre a Roma l’avvocato, che al partito locale negli ultimi dieci anni ha donato quasi 700mila euro, poteva contare su Giuliano Amato e Franco Bassanini. Tutto archiviato, oggi Ceccuzzi parla di  ”un atto dovuto. In questo modo potrà chiarire la sua posizione agli organi competenti e a tutta la comunità senese che sta aspettando la verità”.
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martedì 22 gennaio 2013

ITALIANO, ADESSO PARLI ANCORA? Ecco quanto costa la vita in Germania!



G8, il giudice su Colucci: “Dichiarazioni gravissime, non merita le attenuanti”.


Caso Diaz, condannato l'ex questore Colucci


Massimo Deplano spiega le motivazioni che lo hanno spinto a condannare l'ex questore di Genova a due anni e 8 mesi per falsa testimonianza: "Fu fedele solo al 'Corpo' a cui apparteneva", mostrando "una capacità criminosa" che non contribuì ad accertare le verità dei fatti.

Nessuna attenuante per Francesco Colucci. L’ex questore di Genova, condannato a due anni e 8 mesi di reclusione per falsa testimonianza nel processo per la sanguinosa irruzione della polizia alla scuola Diaz nel corso del G8 di Genova, al momento di deporre “aveva in mente solo di essere fedele al ‘Corpo’ a cui apparteneva”. Così il giudice monocratico del tribunale di Genova Massimo Deplano traccia la sintesi del processo che lo ha portato a condannare Colucci. La “capacità criminosa mostrata dall’ex questore in quel contesto – specifica Deplano - non merita in alcun modo le circostanze attenuanti generiche”.
Le motivazioni della sentenza ripercorrono gli episodi in cui il tribunale ritiene che Colucci abbia mentito sulla ricostruzione di quella tragica serata: in primo luogo ha negato di avere ricevuto ordini dall’alto, mentre in una cena con amici ammise di avere solo eseguito ordini superiori “dei generali romani”. Inoltre Colucci mentì nel riferire di avere assistito a una telefonata, poco prima dell’irruzione, tra l’ex membro del Genoa social forum Stefano Kovac e l’ex capo della Digos di Genova Spartaco Mortola in relazione alla cessata occupazione della scuola da parte dei “buoni” del movimento di contestazione.
Gravissima, secondo il il giudice, anche la dichiarazione riguardante il vicequestore Lorenzo Murgolo, accusato da Colucci di essere il responsabile del blitz pur non essendo mai stato indagato dalla magistratura. “Questa falsa dichiarazione – scrive Deplano – è in assoluto gravissima perché era gravissima nel momento e nella sede in cui la rese, ben consapevole e deciso di dire il falso su uno dei punti più contraddittori e complessi da accertare in quel processo”.
Secondo i giudici, Colucci mentì sulla volontà pianificata della polizia di fare irruzione oltre che alla Diaz anche nella scuola Pascoli, sede del centro stampa del Genoa social forum. E mentì anche sulla decisione di mandare l’allora portavoce della polizia Roberto Sgalla di fronte alla scuola Diaz. I giudici hanno ricostruito l’accaduto ascoltando una serie di telefonate tra Colucci e Mortola a ridosso delle deposizioni del processo Diaz nel 2007. Secondo Deplano “la loro lettura è esemplare nel far comprendere prima di tutto come un teste non dovrebbe prepararsi a rendere una testimonianza”.

Il Vaticano e la ricchezza immobiliare nascosta, creata coi milioni di Mussolini.



Il Guardian svela la ricchezza immobiliare, per un valore di 680 milioni di euro, divisa tra Regno Unito, Francia e Svizzera e la mette in relazione con il dittatore. Nella foto Papa Benedetto XVI.

LONDRA (WSI) - "Pochi turisti sanno che il negozio di Bulgari a New Bond street o la sede della banca Altium Capital all’incrocio tra St James’s Square e Pall Mall hanno a che fare con il Vaticano", scrive David Leigh sul Guardian. Ma questi edifici in alcuni dei quartieri più eleganti di Londra fanno parte dell’incredibile ricchezza immobiliare del Vaticano, che è in gran parte segreta.

Leigh denuncia le proprietà immobiliari del Vaticano nel Regno Unito, in Francia e in Svizzera per un valore complessivo di 680 milioni di euro, secondo le stime del Consiglio d’Europa. Ma soprattutto mette in luce i collegamenti tra la ricchezza dello stato pontificio e l’eredità di Benito Mussolini, che nel 1929 avrebbe regalato un patrimonio alla chiesa di Roma per ottenere il riconoscimento del regime fascista dalle gerarchie ecclesiastiche.

Secondo lo storico dell’università di Cambridge John Pollard, i soldi di Mussolini furono molto importanti per le casse pontificie. Pollard nel suo libro "Money and the Rise of the Modern Papacy" dice: "In quel momento le finanze pontificie sono state messe al sicuro, non si sarebbero più impoverite".

Attraverso lo studio dei documenti d’archivio Leigh è riuscito a ricostruire le intricate vicende finanziare che hanno portato all’acquisizione di numerose proprietà immobiliari a Londra a Parigi e in Svizzera.

Gli investimenti di Mussolini e gli altri possedimenti del papa in giro per il mondo sono controllati da Paolo Mennini che gestisce a Roma un’unità speciale all’interno del Vaticano chiamata Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica).

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Internazionale - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

In Sicilia gli impresentabili Pdl rimangono al loro posto. Lascia solo Dell’Utri. - Giuseppe Pipitone


Angelino Alfano


Se in Campania l’esclusione di Nicola Cosentino dalle liste per le prossime elezioni politiche ha causato un vero e proprio terremoto nel Popolo della libertà, sull'Isola il partito di Silvio Berlusconi non ha riservato grosse sorprese. Così,se da una parte rinuncia il senatore palermitano, dall'altra restano in pole position D'Alì, Schifani, Caputo, Romano e Minardo.

Nessuna fuga e tutti al proprio posto, inclusi gli “impresentabili”. Se in Campania l’esclusione di Nicola Cosentino dalle liste per le prossime elezioni politiche ha causato un vero e proprio terremoto nel Pdl, a metà tra la farsa e la tragedia, in Sicilia il partito di Silvio Berlusconi non ha riservato grosse sorprese. Nelle liste presentate dal Pdl sull’Isola, infatti, sono inclusi tutti gli esponenti del partito del predellino che nelle scorse settimane avevano rischiato di rimanere fuori dalla corsa per un seggio in Parlamento.
In forse fino all’ultimo era il senatore Antonio D’Alì, attualmente imputato con il rito abbreviato per concorso esterno in associazione mafiosa. D’Alì è un fedelissimo di Berlusconi: a Palazzo Madama dal 1994, è stato sottosegretario all’Interno fino al 2006. Dopo anni d’indagini, nell’ottobre scorso è iniziato il processo che lo vede accusato di concorso esterno a Cosa Nostra: secondo la procura di Palermo il senatore ha intrattenuto rapporti con i Messina Denaro, storica famiglia mafiosa trapanese. Don Ciccio Messina Denaro, capostipite del clan, era stato campiere proprio nelle terre della famiglia D’Alì, mentre secondo alcuni collaboratori di giustizia lo stesso Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante di Cosa Nostra, si sarebbe adoperato attivamente per fare votare il senatore alle elezioni del 1994. D’Alì ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento, ma quel processo per mafia rischiava di far depennare il suo nome dalle liste per il Senato. Berlusconi però non poteva permettersi di escludere l’esponente principale del suo partito a Trapani, storica roccaforte di Forza Italia prima e del Pdl poi. D’Alì è quindi stato inserito in sesta posizione nella lista per il Senato.
A guidare i candidati siciliani per Palazzo Madama sarà lo stesso Berlusconi, dietro di lui l’attuale presidente del Senato Renato Schifani, recentemente archiviato dalla procura di Palermo che lo indagava per concorso esterno a Cosa Nostra. All’ottavo posto nella lista del Pdl al Senato anche Antonio Scavone, braccio destro di Raffaele Lombardo: già condannato a 400mila euro di risarcimento dalla corte dei conti per la gestione della Asp 3 di Catania, Scavone è accusato di abuso d’ufficio per aver affidato senza gara un appalto da due milioni di euro a Melchiorre Fidelbo, marito di Anna Finocchiaro. Candidato al Senato, ma con la lista Fratelli d’Italia, è inveceil deputato regionale del Pdl Salvino Caputo, condannato in appello a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio.
E se, il 20 gennaio, il senatore Marcello Dell’Utri, l’amico di una vita di Berlusconi, annunciava il ritiro della sua candidatura (“non mi serve più”, diceva a Il Fatto Quotidiano), trova posto nelle liste del Pdl per la Camera dei Deputati, anche l’ex ministro dell’agricoltura Saverio Romano. Al leader del Cantiere Popolare è stata garantita la seconda posizione in Sicilia Occidentale, subito dietro Angelino Alfano: l’elezione del fedelissimo di Totò Cuffaro è dunque blindata. Romano è stato di recente assolto per concorso esterno in associazione mafiosa, nel processo che in primo grado è stato celebrato con il rito abbreviato. Di recente la Procura di Palermo per lui ha chiesto l’archiviazione anche per un’altra indagine che vede Romano indagato per corruzione: avrebbe ricevuto 50mila euro da Gianni Lapis, storico tributarista di Vito Ciancimino, per inserire in finanziaria una norma a favore della Gas spa, l’azienda energetica che avrebbe fatto capo all’ex sindaco mafioso di Palermo e a Bernardo Provenzano.
Confermato tra i candidati alla Camera, ma in Sicilia Orientale, anche Nino Minardo, condannato nel 2011 in primo grado con il rito abbreviato ad un anno di reclusione per abuso d’ufficio. Minardo è il giovane rampollo di una dinastia di petrolieri con la passione per la politica: suo zio Riccardo, già deputato nazionale e regionale con il Movimento per l’Autonomia, è stato arrestato nell’aprile del 2011 per associazione a delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato proprio mentre sedeva all’Assemblea regionale Siciliana. Si affida a candidature familiari anche Gianpiero Samorì che nei suoi Moderati in Rivoluzione candida i fratelli Ruggirello: Paolo, deputato regionale proveniente dal Movimento per l’Autonomia è numero due alla Camera, mentre Bice, già candidata alle regionali del 2006 con il Ccd, è numero 2 al senato. Sono i figli di Giuseppe Ruggirello, banchiere trapanese proprietario negli anni ’70 della Banca Industriale, storico sponsor del leader socialista Bartolo Pellegrino, vice presidente della Regione Sicilia governata da Cuffaro, arrestato per mafia nel 2007 mentre al telefono chiamava i carabinieri “sbirri e infami” e poi assolto in via definitiva.
Curiosa invece la seconda piazza al Senato che la lista Monti per l’Italia ha riservato allo “sconosciuto” Rosario Sidoti. L’ex consigliere provinciale del piccolissimo comune messinese di Montagnareale ha infatti superato a sorpresa nomi di peso come quello del senatore uscente Benedetto Adragna, che per seguire Monti ha lasciato il Pd, e quello di Antonino Recca, rettore dell’Università di Catania, piazzandosi dietro soltanto al capolista Pierferdinando Casini, e dunque in posizione utilissima per l’elezione. Sidoti però è indicato come uomo di fiducia dell’ex tesoriere dell’Udc Pippo Naro, già condannato in via definitiva a sei mesi per abuso d’ufficio e sotto processo per le tangenti Enav: il partito di Casini ha dunque preferito non riproporlo. Almeno non in prima persona.