martedì 29 gennaio 2013

I giorni della merla.



I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31). Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell'anno (anche se alcune leggende e tradizioni ne specificano come variante gli ultimi 2 giorni di gennaio e il primo di febbraio).

Secondo una leggenda una merla, con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente strapazzata da Gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che la merla uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo 28 giorni. L'ultimo giorno del mese, la merla pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio si risentì talmente tanto che chiese in prestito tre giorni a Febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era annerito a causa del fumo e così rimase per sempre con le piume nere.
Come in tutte le leggende si nasconde un fondo di verità, anche in questa versione possiamo trovarne un po', infatti nel calendario romano il mese di gennaio aveva solo 29 giorni, che probabilmente con il passare degli anni e del tramandarsi oralmente si tramutarono in 31. Sempre secondo la leggenda, se i giorni della Merla sono freddi, la primavera sarà bella, se sono caldi la primavera arriverà in ritardo."


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Il posto fisso.




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Lo scandalo MPS e le domande che non vengono poste. Come mai? - Sergio Di Cori Modigliani



Potrebbe (e a mio avviso dovrebbe) essere “la mamma di tutte le immondizie italiane”.

Parliamo qui, ancora, della vicenda relativa  a Monte dei Paschi di Siena.


Stanno già facendo tutto per annacquare la vicenda, camuffarla, nasconderla, occultarla e infine insabbiarla.


Tireranno fuori le notizie più strane, in questi rimanenti giorni di campagna elettorale, per distrarre l’attenzione e fare in modo che l’opinione pubblica non si interroghi e che la gente non pretenda di voler sapere.


Dipende da noi tutti agitare le acque in modo tale da inondare il territorio mediatico (quantomeno sul web) di una valanga di domande alle quali è nostro diritto esigere delle risposte immediate e pertinenti.


Senz’altro avremmo saputo qualcosa da Corradino Mineo su rai news 24. Non è più possibile: è candidato capolista per il PD in Sicilia.Qualcosa di davvero intelligente (perché l’uomo lo è senz’altro e molto, oltre ad essere molto pertinente essendo uno dei più grossi esperti italiani dei meandri del potere del nostro sistema bancario) avremmo potuto sapere leggendo sul Corriere della sera gli entusiasmanti editoriali finanziari di Massimo Muchetti ma non sarà possibile perché è candidato capolista a Milano nelle fila del PD.


Avremmo (forse) potuto sapere qualcosa da altri 25, ma sono tutti candidati. Quindi staranno tutti zitti.


E’ per questo li hanno candidati(?)


Ed è per questo che sulla stampa mainstream non leggeremo e non sapremo nulla.Basterebbe fare le domande giuste.


Perché nel campo specifico della professione giornalistica, ciò che conta per davvero consiste nella “qualità delle domande che si pongono”. E’ soltanto questa la differenza tra un bravo giornalista che onora la professione e i nostri impiegati della cupola mediatica.Sono le domande, quelle che contano.Domande che inchiodano, che obbligano a delle risposte che non possono essere evase.Ecco le tre domande che andrebbero poste all’on. Silvio Berlusconi, presidente del PDL.


1) “Ci risulta, come confermato dagli atti ufficiali, che la società di intermediazione finanziaria statunitense Goldman Sachs abbia affidato al giornalista Gianni Letta, ai tempi deputato eletto nelle sue liste, la mansione di gestire, sovrintendere e chiudere la compravendita tra Monte dei Paschi di Siena e Banca Antonveneta. Come mai, non essendo l’on. Gianni Letta né un esperto di sistemi bancari, né un esperto in tecnica bancaria, né un banchiere, né ufficialmente parte in causa, è stato scelto per tale delicato lavoro che presuppone una corposa e specifica competenza tecnica?”


2). “Ci risulta, come provato da atti ufficiali, che, strada facendo, sia stata accorpata anche la società di intermediazione finanziaria statunitense J. P. Morgan, attraverso, pare, la partecipazione attiva e personale del direttore responsabile marketing per le operazioni europee, Mr. Monti jr. Come mai? Perché sarebbero state scelte queste due società straniere essendo l’Italia piena di eccellenti società di intermediazione finanziaria ad alti livelli sia di merito che di competenza tecnica garantita?”


3) “Come mai, essendo il Monte dei Paschi di Siena una banca di interesse nazionale, considerata “strategica” all’interno del mondo finanziario-economico italiano, l’on. Gianni Letta, venendo meno ai suoi obblighi di Legge, non ha riferito, punto per punto, l’intero percorso operativo al presidente della Consob, alla ABI (Associazione Bancaria Italiana) a Bankitalia, al Ministero del Tesoro, e –essendo coinvolte società non italiane in un ambito di rilevanza strategica- anche al Ministero della Difesa?”.


In seguito alla dichiarazione pubblica, rilasciata sabato 26 gennaio da Pier Luigi Bersani, che ha detto: “Se c’è qualcuno che osa sostenere che il PD c’entra in un qualunque modo in questa vicenda, ebbene, noi lo sbraniamo vivo” bisognerebbe porre le seguenti domande al Presidente del PD, on Rosy Bindi e quindi mettersi nelle condizioni di essere sbranato vivo:


1) “Sulla base di atti provati e già in possesso sia delle autorità finanziarie che della magistratura che sta indagando sulle dubbie operazioni finanziarie del Monte dei Paschi di Siena, risulterebbero le seguenti emissioni di bonifico bancario a favore del partito da lei presieduto: da parte di Giuseppe Mussari, presidente della banca, versamento di 246.000 euro; da parte del vice-presidente della banca Monte dei Paschi di Siena, Ernesto Rabizzi 125.000 euro. Da parte del presidente della società denominata “Monte dei Paschi di Siena Capital Service” la cifra di 176.063 euro destinata –nello specifico- alla federazione del Partito Democratico di Siena. Da parte di Riccardo Margheriti, presidente di “Monte dei Paschi di Siena Banca Verde” la cifra di 132.890 euro con la specifica destinazione per investimenti nel settore della green economy a fronte dei quali non esiste nessuna fattura emessa. Infine, da parte di Alessandro Piazzi, consigliere della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la cifra di 161.400 euro. Le domanda sono le seguenti: come mai sono stati versati questi soldi al PD? A quale titolo? A fronte di quali specifiche mansioni? Come mai risultano inviate ma non sono state immesse in bilancio? Come mai risultano incassate ma non sono state immesse nel bilancio del PD?”.


2) “Risulta agli atti che il presidente del Monte dei Paschi di Siena abbia provveduto a far avere al gruppo politico DS nell’arco di dieci anni, dal 1999 al 2009, la cifra complessiva di 682.000 euro. Come mai? In base a quale mansione specifica? Come mai non risulta iscritta in bilancio né in uscita presso la banca né in entrata presso il gruppo DS –tuttora esistente nonostante sia estinto- Tale gruppo estinto è confluito nel partito da lei presieduto, lei che cosa ha da dire al riguardo? Risulta, inoltre, che il presidente della fondazione bancaria abbia “personalmente” versato la cifra di 703.000 euro alla federazione del PD di Siena. A quale titolo? Come mai non sono stati conteggiati”.


Queste sono le domande (parliamo qui davvero di quisquilie e di robbetta) che andrebbero poste.


Non si tratta soltanto di curiosità.


Queste sono le attività di una banca nazionale strategica che è posseduta al 39,6% da una fondazione che è stata identificata e definita da atti parlamentari ufficiali come “ente benefico” e di conseguenza gode del diritto di non subire alcuna forma di tassazione.


Da cui se ne ricava la seguente situazione: l’Italia è una nazione –“ ed è ufficiale”- nella quale le banche possono non pagare le tasse se fanno beneficenza; tale beneficenza si manifesta nell’inviare dei bonifici bancari alle federazioni dei partiti direttamente da parte del management direttivo che considera tale pratica come norma consuetudinaria. Poiché non sono sottoposti ad alcun controllo, ritengono di non dover risponderne alla cittadinanza.


Con l’aggiunta della consueta pantomima elettorale mediatica, costruita per i gonzi, a firma del re degli imbonitori, il nostro Berluska, il quale –immagino- dinanzi al panico dei suoi amici e soci in affari (dal PD all’Udc, passando per tutti, nessuno escluso) deve averli tranquillizzati sostenendo il suo emblematico “ghe pensi mì”. E così, tira fuori una idiota gaffe da operetta a proposito del fascismo, con la cupola mediatica complice che si butta appresso riempiendo i giornali di opinioni, discussioni, distinguo, chiarimenti. Di tutto.


La mia serena opinione è che per tutti i grossi pescecani partitici, oggi, ciò che conta, è sviare l’attenzione dall’affaire Monte dei Paschi di Siena, “la mamma di tutte le immonde schifezze italiane”. Qualunque cosa purchè se ne parli sempre di meno. Qualunque diversivo, gossip, menzogna, fantasia. Va bene tutto. Basta che la gente non cominci a pretendere la verità su ciò che, ora dopo ora, comincia a delinearsi sempre di più come la autentica cassaforte del club dei club: il tavolo italiano dove la massoneria reazionaria, il vaticano, i partiti italiani e i colossi finanziari anglo-statunitensi, si sono sempre incontrati per decidere chi governa, come governa, chi deve contare, chi non lo deve. E soprattutto a chi è necessario dare soldi e quanti e quando e dove.


Perché, per loro, ciò che conta, in questa campagna elettorale è soltanto questo: il profitto netto che i partiti-azienda sono in grado di assicurarsi grazie al voto di chi crede in loro.Questa è la realtà dei fatti, oggi.


Questa è la stessa banca che, nell’arco del solo 2012,  ha provveduto a negare crediti a circa 15.000 piccole imprese nel territorio della regione Toscana e in Emilia Romagna, le quali sono andate in liquidazione e sono fallite.


Una banca che ha prodotto dissesto e disoccupazione, in nome della beneficenza.Abbiamo il diritto di esigere e pretendere il default immediato di questa classe politica indecente, perché se non vanno in default loro, ci andiamo noi.


Ultima domanda a tutti: “Come mai un ente benefico rifiuta il credito alle imprese che danno lavoro e occupazione ma regala dei soldi a un partito?”.


Il titolo di MPS va al rialzo e la borsa gongola.Si sono fatti i loro conti.Non sarebbe splendido, il 26 febbraio, poter dire: ”Signori, avevate fatto i conti senza l’oste”


Noi, siamo l’oste.


Non dimentichiamolo.Buona settimana a tutti.


http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/01/lo-scandalo-mps-e-le-domande-che-non.html

Bucce d'arancia candite e immerse nel cioccolato caldo.




Ingredienti
Arance non trattate
Zucchero semolato
acqua
cioccolato fondente
ProcedimentoSbucciare le arance tagliando la parte del picciolo e quella inferiore cercando di incidere il meno possibile la parte bianca. Tagliarle a strisce, in senso verticale e poi ricavare altre strisce larghe circa un centimetro e comunque non troppo strette. Metterle in acqua per tre giorni, avendo cura di cambiare frequentemente l’acqua.
Sgocciolarle, asciugarle bene e pesarle.
Mettere sul fuoco un tegame con lo zucchero (di egual peso di quello  delle bucce d’arancia sgocciolate e asciugate) e poca acqua necessaria (deve ricoprire lo zucchero) per fare lo sciroppo. Appena lo zucchero sarà completamente sciolto unire le bucce e farle cuocere nello sciroppo, a fiamma moderata, fin quando avranno assorbito tutto lo zucchero e facendo molta attenzione a non farle caramellare. Toglierle dal tegame, adagiarle su carta da forno e farle ben asciugare.
Mettere un pentolino a bagnomaria (o nel forno a microonde) con il cioccolato fondente e farlo sciogliere e, aiutandovi con una pinza da cucina, intingere le bucce d’arancia candite nel cioccolato. Adagiarle su carta da forno dopo averle fatte ben sgocciolare e metterle a riposare fin quando il coccolato sarà indurito.
Una volta ben asciutte si possono conservare in barattoli di vetro ben chiusi.

I pm milanesi: “Con i derivati si arricchivano i dirigenti Mps”. - Manuela D’Alessandro

Rocca Salimbeni, sede di Mps

ESCLUSIVO. I pm milanesi Francesco Greco e Giordano Baggio si erano accorti a fine 2012 delle anomalie nell’operazione Alexandria - Mps, soprattutto sulle «creste fatte da funzionari sui derivati con arricchimento di personaggi di spicco della banca». Ma la competenza territoriale è della Procura di Siena. 

Parte da Milano la tempesta giudiziaria che si è abbattutta su Monte dei Paschi. I primi ad accorgersi delle anomalie dell'operazione Alexandria, il derivato siglato dal Monte con la banca giapponese Nomura, erano stati i pm milanesi Francesco Greco e Giordano Baggio. Ma non hanno potuto approfondire l'intricata vicenda perchè la competenza gli è subito apparsa, senza alcun dubbio, della Procura di Siena, città dove ha sede la banca.

Siamo alla fine del 2012 quando, riferisce una fonte investigativa, i pubblici ministeri di Milano hanno tra le mani un'indagine bollente che riguarda "creste fatte da funzionari sui derivati con arricchimento di personaggi di spicco della banca e con un notevole giro di denaro". I reati ipotizzati dai pm erano truffa e appropriazione indebita. L'indagine però è rimasta allo stadio embrionale: dopo i primi accertamenti Greco e Baggio hanno chiamato i colleghi della città del Palio a Milano e, dopo un incontro cordiale, si è deciso di spedire tutti gli atti a Siena.
Il contratto Mps -Nomura avrebbe imposto una correzione nel bilancio di Mps di 220 milioni di euro. L’operazione Alexandria sarebbe servita a Rocca Salimbeni per abbellire i conti del 2009 scaricando su Nomura le perdite di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto ‘segreto’ a lungo termine, non trasmesso dall’allora vertice di Mps, guidato da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, ai revisori dei conti Kpmg e a Bankitalia.
Stando a quanto riportato oggi dal Fatto quotidiano, l'ad di Mps Fabrizio Viola ha scritto nella relazione al cda della banca senese che per l'operazione Alexandria è ancora in corso una trattativa con Nomura per trovare un accordo. "Con riferimento ai profili più gestionali relativi all'eventuale chiusura anticipata delle operazioni in questione - si legge nella relazione - si informa codesto Consiglio che vi sono stati contatti con Nomura, ma che i valori fino ad ora da essa proposti non sono ritenuti soddisfacenti dalle strutture della Banca''.

Crisi, l’esercito delle imprese “zombie” che aggravano la stagnazione. - Matteo Cavallitto


Unione Europea


Secondo il Financial Times il Vecchio Continente pullula di aziende clinicamente morte che impediscono la ripresa. I mercati sembrano aver ritrovato entusiasmo, ma la realtà è molto più cupa di quanto lascino intendere le borse.

L’allarme lo ha lanciato alcuni giorni fa il Financial Times. In Europa, ha scritto il quotidiano britannico, si aggirerebbe un esercito silenzioso di imprese clinicamente morte e inevitabilmente improduttive. Veri e propri “zombie” del sistema economico, soggetti che la crisi ha travolto da tempo ma che, tuttavia, sono riusciti a sopravvivere grazie ad una combinazione di politiche monetarie “ultra permissive”, generosi aiuti del governo e discutibili strategie creditizie a cominciare dalla “riluttanza delle banche a svalutare cattivi prestiti (nel senso di non performanti o a rischio insolvenza, ndr) dallo scoppio della crisi a oggi”. In sintesi, una massa di soggetti che vive per sopravvivere, utilizza l’intera liquidità disponibile per ripagare i debiti, non investe e sottrae, inevitabilmente, tutte le risorse utili alla crescita. Contribuendo così alla stagnazione del continente.
I numeri, lascia intendere il FT, sono impietosi. Negli anni Novanta, una fase di recessione caratterizzata da una contrazione del Pil Ue inferiore all’1% si risolse con un’epidemia di default che coinvolse il 67% dei debiti al di sotto del grado di investimento (ovvero con una valutazione al di sotto di BBB-). Nel 2009, con una crescita negativa del 4%, il tasso di default è stato pari al 9%. Oggi siamo scesi al 2,3%. Come a dire che i fallimenti sono sempre più rari sebbene la realtà sia tutt’altro che incoraggiante. Circa 160mila aziende britanniche (il 10% del totale), ricorda il quotidiano, non sono in grado di ridurre i propri debiti. Al tempo stesso 70mila imprese rischiano addirittura di vederli crescere di fronte all’incapacità di ripagare gli interessi. Nel corso del 2011, ha sottolineato Creditreform, il tasso di fallimento delle imprese in Italia, Grecia e Spagna è stato inferiore al 3 per 1000. Nei tre Paesi che più di ogni altro hanno patito la contrazione economica, in altre parole, si è registrata la percentuale di default più bassa d’Europa.
Per il Financial Times, insomma, la questione è relativamente semplice. Una strategia che premia l’inefficienza tenendo artificialmente in vita imprese tecnicamente fallite finisce per danneggiare l’intero sistema. Il pensiero, per il quotidiano britannico, corre al Giappone degli anni Novanta con i suoi “bassi tassi di interesse, la sua politica permissiva e l’incapacità delle grandi banche di far chiudere le imprese altamente indebitate e improduttive che avrebbero contribuito a due decenni di crescita debole”. Un parallelo piuttosto inquietante per l’Europa, visto che da queste parti l’incubo ha da tempo assunto proprio la forma di una prospettiva di ripresa troppo lenta per curare le persistenti ferite della crisi.
La tesi del quotidiano londinese, comunque discutibile per la sua “spietatezza” (un contesto economico già martoriato dalla recessione potrebbe sopportare un’ondata di fallimenti?), si ferma qui. Ma il ragionamento, verrebbe da aggiungere, potrebbe proseguire. Perché i numeri delle imprese “zombie”, in ogni caso, sono per lo meno utili per evidenziare quello che ultimamente appare come un contrasto sempre più clamoroso e sorprendente: il crescente divario tra la ripresa dei mercati finanziari e la perenne sofferenza dell’economia vera e propria.
Nel corso del 2012, ha ricordato di recente il capo economista di Deutsche Bank David Folkerts-Landau, l’indice della borsa di Francoforte, il Dax, ha guadagnato il 28%, quello della borsa di Atene addirittura il 33%. Piazza Affari, da parte sua, viaggia ormai stabilmente sopra quota 17mila punti, un livello che non si vedeva dall’estate 2011. Gli hedge funds che avevano puntato sul calo degli indici americani ed europei, ha evidenziato nelle scorse settimane Bloomberg, hanno chiuso il 2012 con perdite significative. Chi ha scelto l’ottimismo, al contrario, ha vinto a mani basse. L’anno scorso, il gestore di Third Point Offshore FundDaniel Loeb, ha deciso di puntare su quella che all’epoca appariva a chiunque come la peggior spazzatura finanziaria possibile: i titoli di Stato greci. Ad oggi il suo fondo ha guadagnato oltre il 20% (mezzo miliardo di dollari) grazie alla clamorosa rivalutazione del debito ellenico.
L’interpretazione è scontata. L’onda lunga delle svalutazioni di borsa e della speculazione sui debiti ha reso il mercato talmente ribassato da diventare attraente per la corsa al rialzo. Il più classico dei rimbalzi. Ma il paradosso, come si diceva, è dietro l’angolo. Perché il superamento dell’emergenza finanziaria, per ora, non ha avuto ricadute sul sistema e l’ottimismo dei mercati finisce per contrastare con l’allarme disoccupazione (secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Eurozona ha raggiunto il record storico dell’11,8%). Come a dire un divario crescente tra il mercato finanziario e la ripresa. L’ultimo e più inquietante degli spread.

Rehn: "Berlusconi bloccò la crescita Non mantenne gli impegni con l'Ue".


Rehn: "Berlusconi bloccò la crescita Non mantenne gli impegni con l'Ue"

Il commissario Ue agli Affari economici ha parlato al Parlamento europeo chiedendo agli Stati membri di non abbassare la guardia e sttolineando i passi avanti fatti da Italia, Spagna e Grecia. Attacco all'ex premier: "Fece perdere la fiducia nel Paese".


MILANO - L'Italia come paradigma dell'effetto "fiducia" sui mercati. E ancora l'Italia come caso di scuola per uscire dalla crisi: dal governo Berlusconi che "bloccò la crescita" all'esecutivo Monti capace di "stabilizzare la situazione". L'analisi arriva dal commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn intervenuto al Parlamento Ue rievocando  le crisi finanziaria e politica di fine 2011 dell'Italia ed evidenziando gli obiettivi di Bruxelles per il 2013. 

Berlusconi. "L'Italia aveva preso impegni di consolidamento di bilancio nell'estate 2011 per facilitare l'intervento Bce nel mercato secondario per acquistare titoli di Stato: quando il governo Berlusconi decise di non rispettare più gli impegni assunti il costo del finanziamento per lo Stato è aumentato soffocando la crescita dell'Italia, poi con la formazione del governo Monti la situazione si è stabilizzata. Questo è un chiaro esempio di fattore fiducia" che ha prodotto dei risultati positivi in termini di premio sul rischio.

La crisi. "Quest'anno - ha continuato Rehn - sarà un test essenziale per la credibilità" dell'Ue e dell'Eurozona. Un anno fa "c'era seria preoccupazione per l'Italia e la Spagna" e "profonda incertezza sulla Grecia", mentre le "Cassandre predicevano la fine dell'eurozona". Oggi la situazione è cambiata ma "nonostante alcuni progressi ci sono ancora sfide" e per questo servono "riforme equilibrate e ambiziose" del mercato del lavoro che "rimuovano gli ostacoli all'occupazione" favorendo anche i "contratti a durata indeterminata" e la "contrattazione collettiva" per il reinserimento dei lavoratori.

Le priorità.  Per il commissiario Ue, i prossimi programmi di riforma nazionali devono essere il "mantenimento del ritmo delle riforme economiche" e il "proseguimento del consolidamento fiscale" a cui "non c'è alternativa", in quanto un debito al 90-100% del Pil è un "serio ostacolo" alla crescita. Uno dei cardini delle riforme per il 2013 dovrà quindi essere il "ripristino della competitività dell'industria europea sia manifatturiera che dei servizi". Il Commissario Ue ha ricordato che tra il 2000 e il 2011 sono stati persi 2,5 milioni di posti di lavoro nel manifatturiero tra Francia, Germania, Italia e Spagna. In Francia e Spagna sono stati bruciati 750mila posti, in Italia 370mila e in Germania 570mila.

Riforme.
 Per proseguire con il "riequilibrio dell'economia europea" che è ora "in corso", ha sottolineato il commissario Ue agli Affari economici "dobbiamo mantenere il ritmo delle riforme economiche". Allo stesso tempo "dobbiamo proseguire con il consolidamento fiscale: un debito al 90-100% del Pil ha un serio e negativo impatto sulla crescita", ha continuato Rehn, sottolineando che "negli ultimi 4 anni in Europa il debito è salito dal 77% a circa il 90% per quest'anno e il prossimo". Questo "peso sulla crescita" implica che "non c'è alternativa a un consolidamento intelligente differenziato anche Paese per Paese a seconda dello spazio di manovra fiscale". Per realizzare le riforme, Rehn ha ricordato l'idea proposta dal rapporto sul futuro dell'Unione economica e monetaria di un "meccanismo di solidarietà" per aiutare e incentivare i paesi a sostenerne i costi insieme agli "impegni vincolanti".

Unione bancaria.
 Inoltre, per Rehn bisogna "completare il lavoro sulla supervisione unica bancaria, con un meccanismo di risoluzione" delle banche dell'Eurozona. "Le finanze pubbliche in Europa stanno migliorando" ma per il commissario finlandese "dobbiamo convincere i mercati sulle prospettive a lungo termine dell'euro". In questo senso per Rehn è fondamentale "l'iniziativa della Commissione per una 'vera' Unione economica e monetaria" e che prevede "nel breve termine proposte concrete sull'Unione Bancaria e sviluppo di un meccanismo decisionale europeo".

http://www.repubblica.it/economia/2013/01/29/news/rehn_crisi_europa-51496766/?ref=HRER2-1