sabato 23 febbraio 2013

Elezioni, “900 firme false per la lista Maroni”. Pm Monza apre inchiesta.


Elezioni, “900 firme false per la lista Maroni”. Pm Monza apre inchiesta


Le indagini riguardano circa 1.200 firme raccolte nella circoscrizione brianzola. "Emerse irregolarità per quanto riguarda le procedure di autentificazione dell’80 per cento delle sottoscrizioni".

I pm di Monza hanno aperto un’inchiesta sulle firme della lista Maroni. Giuliano Beretta, consigliere provinciale monzese della Lega Nord, è stato indagato per falso con l’accusa di avere falsamente autenticato circa 900 firme raccolte nella circoscrizione Monza e Brianza a sostegno della Lista Maroni presidente alla regione Lombardia.
L’inchiesta è stata avviata dal pm Franca Macchia in seguito alla denuncia presentata qualche settimana fa dai radicali. Gli atti, con l’esito degli accertamenti, sono già stati trasmessi all’ufficio centrale elettorale presso la Corte d’Appello di Milano. Le indagini hanno riguardano circa 1.200 firme raccolte nella circoscrizione brianzola e sono “emerse irregolarità per quanto riguarda le procedure di autentificazione dell’80 per cento delle sottoscrizioni”.
Da quanto si è saputo, il pm non solo ha interrogato Beretta ma ha anche sentito a campione, come testimoni, un gruppo di elettori. Alcuni di loro avrebbero raccontato di aver firmato un foglio fatto girare in famiglia. Nel loro esposto i radicali avevano chiesto di indagare sulla sospetta raccolta delle 1.200 firme avvenuta in poco tempo, quattro o cinque giorni.

Il filo della stampa tra gli interessi di Caltagirone nei “feudi” di Casini. - Costanza Iotti


Il filo della stampa tra gli interessi di Caltagirone nei “feudi” di Casini


Tra inceneritori, cementifici e acquedotti gli affari pullulano in Puglia e Campania, regioni del sud ben presidiate dai quotidiani del costruttore. E dove l'Udc nell'ultima tornata elettorale ha realizzato i suoi migliori risultati.

L’ultimo sospetto di legame pericoloso fra i giornali, la finanza e gli interessi del costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone è nelle carte dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere del presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi. Nel mirino della Procura di Busto Arsizio è finita una curiosa telefonata tra Orsi e il suo portavoce  Carlo Maria Fenu sui ritocchi da fare a un’intervista al Messaggero concessa al neo vicedirettore Osvaldo De Paolini e incentrata sulla trasparenza di Finmeccanica, nell’ambito del tentativo del manager dell’azienda pubblica di ”montare una campagna stampa retribuita e compiacente’.
Non è la prima volta, del resto, che i giornali di Caltagirone finiscono nell’occhio del ciclone. In Campania il Mattino, altra testata di proprietà del costruttore romano, ha lanciato di recente un sondaggio per misurare il gradimento degli inceneritori ”contro il pericolo di un ritorno dell’emergenza rifiuti a Napoli e in Campania”, raccogliendo ampi consensi per i termovalorizzatori senza neanche citare la raccolta differenziata. In ballo del resto c’è un grosso business: nel febbraio 2012, la Regione Campania, con il voto favorevole di centrodestra e Udc, ha approvato un piano per la costruzione di cinque termovalorizzatori con l’obiettivo di bruciare 2 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno a fronte di una produzione da 2,4 milioni di immondizia. E Caltagirone, in qualità di socio di Acea, municipalizzata romana dell’acqua, dell’energia e dell’ambiente, potrebbe indirettamente partecipare alla partita sulla falsariga di quanto fatto dalla multiutility milanese A2A sull’impianto napoletano di Acerra.
Più defilato, anche per questioni di taglia, il Nuovo Quotidiano di Puglia, presieduto da Azzurra Caltagirone, con un direttore, Claudio Scamardella, che non disdegna di moderare gli incontri della locale sezione dell’Udc, partito di cui è leader il marito di Azzurra, Pier Ferdinando Casini. Qui poi accade che, come emerge nell’inchiesta del gip Patrizia Todisco sull’Ilva di Taranto, l’allora caposervizio della sede locale del Nuovo Quotidiano di PugliaPierangelo Putzolu (poi allontanato dai vertici del giornale) supporti le ragioni dell’ex capo delle relazioni esterne del gruppo Ilva, Girolamo Archinà.
Non certo una bella immagine per il gruppo editoriale di Caltagirone che, in Puglia sta rinnovando l’impianto della controllata Cementir con un investimento da 145 milioni. La società ha anche ottenuto dalla Regione una ventina di milioni di finanziamento per lo sviluppo regionale 2007-2013. Ma per Altraeconomia.it, Cementir, acquistata dal costruttore romano nel ’92 dall’Iri per 480 miliardi di lire (circa 247 milioni di euro) e il cui fatturato oggi sfiora il miliardo di euro, ha in mente invece un progetto per trasformare in un inceneritore il cementificio che si trova proprio accanto allo stabilimento Ilva.
Sul finanziamento e la regolarità di attribuzione c’è un esposto del comitato anti-inquinamento Legamjonici alla Procura di Taranto e alla Commissione Europea in cui si evidenzia ”la cattiva condotta dell’azienda in merito all’ambiente”. Cemento e rifiuti non sono però l’unico pensiero di Caltagirone, che tempo fa ha anche tentato, invano, di mettere le mani anche sull’Acquedotto Pugliese, finora rimasto di proprietà della Regione. Era il 2010, quando si aprì una diatriba mica da ridere all’interno del centrosinistra, impegnato nell’avvicinamento alle elezioni regionali poi vinte da Vendola contro Rocco Palese (Pdl). Una parte consistente del Partito democratico spingeva per Francesco Boccia, tutti gli altri per la conferma di Nichi Vendola.
Non si trovò un accordo, si fecero le primarie e il leader di Sel sconfisse il suo avversario per la seconda volta di fila dopo le regionali del 2005. E se avesse vinto Boccia? A quanto pare il Pd avrebbe stretto un’alleanza con l’Udc di Casini che è appunto il genero di Caltagirone. E chissà se ci sarebbero stati effetti collaterali sulla questione acquedotto. Difficile dirlo, perché l’Udc andò da sola alle urne e prese il 6,5 per cento. La partita, però, non è affatto conclusa e di grandissima importanza. Basti pensare ai lavori necessari alla rete idrica per ridurre le perdite di acqua lungo gli spostamenti. Un business, secondo il Book Blue 2011 dell’Associazione nazionale Autorità e enti di Ambito, che vale 64 miliardi in 30 anni lungo un percorso che dovrebbe consentire all’Italia di allinearsi agli standard europei.
Cifre grosse che solo in parte potranno essere finanziate dallo Stato e che per il resto saranno pagate direttamente in bolletta dai contribuenti-clienti. Per la privatizzazione degli acquedotti, come del resto per gli inceneritori, è necessario però avere il giusto consenso politico. E per questo bisognerà attendere gli orientamenti dei diversi partiti e sondare l’opinione. E da ormai molti anni sia Campania che Puglia sono una roccaforte per Casini. Nell’ultima tornata elettorale, proprio in Puglia, l’Udc ha realizzato uno dei migliori risultati piazzandosi al quinto posto nelle preferenze dei votanti con il 7,9 per cento. Situazione analoga in Campania dove Casini può contare su figure di peso come l’ex presidente del Consiglio, l’avellinese Ciriaco De Mita, oggi sponsor del nipote Giuseppe, candidato Udc al secondo posto per la circoscrizione Campania 2 (Avellino, Benevento e Salerno). Anche qui l’Udc, aveva raccolto il 7,5% dei voti (contro il 5,6% nazionale e con un picco del 14% nel capoluogo irpino) contro il 5,5% di Campania 1. Numeri e nomi importanti per un futuro da scrivere nel rispetto di cittadini e territorio evitando dannose speculazioni.

venerdì 22 febbraio 2013

La congiuntivite di papy B.



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Elezioni, inchiesta a Cremona: presunte firme false per le liste Albertini e Monti.


Mario Monti e Gabriele Albertini


I pm hanno aperto un fascicolo per falso su una trentina di nomi: secondo un rapporto della Digos ci sarebbero "doppie firme" poi disconosciute. Sequestrati gli elenchi, c'è un indagato. L'ex sindaco di Milano: "Sono sbigottito".

La Procura di Cremona ha aperto un’inchiesta con l’ipotesi di reato di falso in atto pubblico materiale e ideologico in relazione a una trentina di presunte firme false raccolte a sostegno della Lista Albertini e della Lista Monti in vista delle prossime elezioni regionali. La notizia, anticipata dal sito Cremona oggi è stata confermata da fonti investigative. In Procura è arrivato nei giorni scorsi un rapporto firmato dalla Digos di Cremona dal quale emergerebbero “doppie firme” per la Lista Monti e la Lista Albertini, poi disconosciute davanti agli inquirenti dagli stessi firmatari.In sostanza le firme sarebbero state “copiate” da una lista all’altra.
Gli elenchi contenenti le presunte firme fasulle sono stati sequestrati. Sarebbero cittadini che hanno apposto la firma per la presentazione della Lista Monti e poi si sarebbero trovati anche tra i firmatari di quella di Albertini, candidato al Pirellone. Al momento c’è un solo indagato anche se non è escluso che, nelle prossime ore, l’indagine si allarghi.
Albertini si dice “sinceramente sbigottito”. L’ex sindaco di Milano ha chiarito che “la vicenda riguarderebbe irregolarità su 30 firme su un totale di 641 raccolte nella Provincia di Cremona”, non mancando di esprimere la propria “fiducia sugli accertamenti che Digos e Magistratura stanno compiendo: qualora dovessero ravvisarsi responsabilità di ogni tipo – ha aggiunto – saremo inflessibili con tutti coloro che dovessero essere coinvolti in questa vicenda”.

Berlusconi, condono ad personam: azzererebbe condanna per frode fiscale. - Gianni Barbacetto


Silvio Berlusconi


La promessa buttata lì negli ultimi giorni di campagna elettorale gli potrebbe tornare utile. Il Cavaliere è stato condannato in primo grado a 4 anni al processo Mediaset, con l'interdizione dai pubblici uffici e 10 milioni di euro da risarcire. Se scritto "bene", il provvedimento lo salverebbe.

E se il “condono tombale” di cui parla il candidato Silvio Berlusconi fosse (anche) un favore all’imputato Silvio Berlusconi? Da giorni semina i suoi interventi di proposte choc sulle tasse. “Sono assolutamente d’accordo a fare il condono tombale, io l’ho sempre detto. La sinistra è sempre stata contraria, ma se ora ci daranno la maggioranza penso dovremmo farlo”. Così aveva detto il 4 febbraio a La 7, nel programma L’aria che tira di Myrta Merlino. “Equitalia è un rullo compressore che ha distrutto il sistema con cui Giulio Tremonti l’ha fatta nascere”. È vero che nei giorni successivi ha fatto un po’ di marcia indietro e a Rainews ha precisato: “Il condono tombale si potrà fare solo dopo una profonda riforma del sistema fiscale”. Ma gli effetti mediatici degli annunci resistono alle puntualizzazioni: i suoi elettori da riconquistare sono accarezzati da proposte che sono miele per chi le tasse non le paga e proprio non le vuole pagare, e magari ha anche contenziosi con il fisco e con Equitalia.
Quelle promesse elettorali hanno però una conseguenza che nessuno finora ha rilevato: potrebbero risolvere con un tratto di penna anche i problemi – fiscali e giudiziari – di Berlusconi. Sì, il candidato del centrodestra ha sul groppone una condanna a 4 anni in primo grado per frode fiscale, con in più pene accessorie che vanno dall’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, all’interdizione per 3 anni dagli uffici direttivi delle imprese. Con i suoi coimputati, inoltre, Berlusconi dovrà risarcire 10 milioni di euro all’Agenzia delle entrate. Sono gli effetti del processo Mediaset, andato a sentenza a Milano il 26 ottobre 2012. Intanto a Roma è ancora aperto un altro procedimento per frode fiscale, il processo Mediatrade: la Cassazione sta decidendo se chiudere o no la partita.
Ebbene: un condono tombale potrebbe mettere la parola fine anche alle vicende giudiziarie Mediatrade e Mediaset, azzerando la condanna e le pene accessorie già incassate in primo grado. Intendiamoci: non sarebbe una scelta facile e indolore. I condoni sono contrari alle raccomandazioni dell’Unione europea, ci mettono in rotta di collisione con l’Europa. Alcuni dei condoni varati in passato, poi, non hanno avuto le conseguenze che qui si ipotizzano: ne potevano beneficiare soltanto coloro nei cui confronti non erano ancora state iniziate ispezioni e verifiche fiscali. Eppure il condono può essere accoppiato con l’amnistia per i reati d’infedeltà fiscale (è già successo). E il condono tombale del 2002, per dire, era invece tombale davvero: copriva di tutto e di più, le irregolarità non solo sulle dichiarazioni dei redditi, ma anche sulle verifiche e sulle ispezioni, sugli accertamenti, sulle cartelle e perfino su tutto il contenzioso non ancora arrivato in Cassazione.
Ecco dunque che il provvedimento di legge che vara un condono può essere scritto in modo da far rientrare anche l’azzeramento delle sentenze su Berlusconi. E non sarebbe comunque la prima legge ad personam varata in questo Paese. Nel programma di Berlusconi, del resto, qualcosa è già scritto chiaro: lo Stato dovrà rinunciare a incassare sanzioni e interessi da chi non ha pagato le tasse in passato. Un aiuto agli imprenditori in difficoltà? No, semmai un premio a chi ha evaso e un insulto a chi invece ha pagato le tasse, magari facendo fatica e rateizzando i versamenti .
Un altro punto del programma berlusconiano è l’abolizione, per chi fa un ricorso fiscale o apre una contestazione davanti al giudice, dell’obbligo di pagare comunque subito almeno un terzo di quanto richiesto dal fisco. È una misura introdotta per evitare liti temerarie. Cancellare questa norma significa incentivare i contenziosi: chiunque sarebbe tentato di aprire un ricorso, per sospendere tutti i pagamenti in attesa degli eventi. Dunque non è così fuori dal mondo l’ipotesi di un condono salva-Silvio. Gli effetti cancella-condanne fiscali sono complicati da raggiungere, ma non impossibili.
Dipende da come la legge viene scritta. Anche i passi indietro dei giorni scorsi potrebbero essere superati d’un balzo, nel caso Berlusconi vedesse la possibilità concreta di risolvere i suoi problemi: carcere, interdizioni, risarcimenti. Naturalmente dovrebbe vincere le elezioni: ma questa è un’altra storia.

mercoledì 20 febbraio 2013

Il ritorno di Massimo Ciancimino. - Giorgio Bongiovanni

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Il figlio di don Vito riesce a far rinviare la distruzione delle intercettazioni Napolitano-Mancino.

Non possiamo che accogliere con soddisfazione la decisione del Gip di Palermo Riccardo Ricciardi che ha rinviato la distruzione delle intercettazioni tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. 
Una decisione presa, in “zona Cesarini”, grazie al coraggio di uno degli imputati al processo sulla trattativa Stato-mafia, Massimo Ciancimino. I suoi legali, Roberto D'Agostino e Francesca Russo, hanno presentato ricorso in Cassazione contro la negazione della loro richiesta di ascoltare le 4 telefonate, nelle quali ci potrebbero essere elementi difensivi rilevanti per il loro assistito. Un atto che ha colto nel segno il giudice palermitano che è tornato sui propri passi decidendo di attendere il pronunciamento della Suprema Corte. Una scelta opportuna dopo che la sentenza della Corte Costituzionale e la prima decisione del giudice Ricciardi, rappresentavano un atto illegale ed anticostituzionale.
Di Massimo Ciancimino tutto si può dire meno che non abbia la volontà di lottare per portare avanti la propria verità. Di tutti gli imputati solo Ciancimino ha deciso di opporsi alla distruzione delle telefonate. Forse che il contenuto delle stesse possa complicare ulteriormente la posizione di alcuni? Staremo a vedere come si concluderà questa vicenda. Quel che è certo è che, nonostante le polemiche suscitate dal Ciancimino per la sua collaborazione con la giustizia, in cui non sono mancate contraddizioni dello stesso, se oggi si sta celebrando un'udienza preliminare sulla trattativa è anche grazie alle rivelazioni del figlio di don Vito. Infatti è stato Massimo Ciancimino a far “recuperare la memoria” ai tanti smemorati dello Stato. E' stato sempre Ciancimino a dimostrare, portando documenti la cui attendibilità è stata riscontrata dai pm di Palermo, l'esistenza della trattativa tra Stato e mafia. Trattativa della quale il pentito Giovanni Brusca ne aveva rivelato l'esistenza al compianto pm Gabriele Chelazzi nel 1998 al processo di Firenze sulle stragi del 1993. Durante il proprio percorso di testimonianza con la giustizia Ciancimino ha fatto anche degli errori che gli sono costati l'arresto per calunnia aggravata, richiesto e ottenuto dai pm di Palermo. Ma resta agli atti della storia che se ancora c'è una speranza che il popolo italiano un giorno possa ascoltare le telefonate tra Mancino e Napolitano, ciò si deve al  coraggio del figlio di un mafioso e dei suoi avvoccati difensori che hanno esercitato il diritto alla difesa, mentre lo “Stato-mafia”, ancora una volta ha risposto con il silenzio dell'omertà.

Cos'è il Pdl?



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