lunedì 15 aprile 2013

I nuovi ricchi del PD ignorano i nuovi poveri. Il suicidio annunciato della comunicazione di una sinistra impresentabile. - Sergio Di Cori Modigliani


Parliamo di povertà, oggi.
Dei vecchi poveri e dei nuovi poveri.
Aveva venticinque anni, quando pubblicò il suo primo romanzo. Non appena uscito, presso quella che potremmo oggi definire “piccola editoria indipendente”, il libro ebbe un successo travolgente, grazie soprattutto al fatto che il più importante critico letterario dell’epoca, il potente Belinskij, ebbe a scrivere che “la Grande Madre Russia ha finalmente partorito un grande genio della letteratura, che raccoglie l’eredità di Gogol e lancia la nostra patria verso un futuro che appare già pieno di sicura e certa illuminazione sulla strada da percorrere: quel romanzo è ispirato dall’alto direttamente da Cristo”. Eravamo a Mosca. Nel pieno della più grave crisi economica recessiva della sua storia, nell’autunno del 1846, centosessantasette anni fa. Il libro di cui parliamo si intitolava “Povera gente”, romanzo d’esordio di Fedor Mickailovitch Dostoevskij, il fondatore del romanzo realista, il più enigmatico, profondo, visionario scrittore europeo, il padre indiscusso della letteratura moderna. Quando il romanzo uscì, il suo incredibile successo scosse le coscienze pensanti della borghesia russa in ascesa, perché gettava una luce di tragica attualità sul Senso delle esistenze dei poveri, sulla loro vita, sui loro sogni, sulle loro aspirazioni. Ciò che colpì l’immaginario collettivo delle classi colte di allora fu il fatto di scoprire che i poveri erano cambiati. Non erano più soltanto figli di contadini in dissesto, analfabeti, senza fissa dimora, che si aggiravano nelle campagne in cerca di cibo. Non erano neppure le famiglie indigenti degli operai assunti nella nuova industria manifatturiera e metalmeccanica, con stipendi da fame, nell’impossibilità di mantenere la loro famiglia. Le manovre restrittive imposte dallo zar avevano, allora, provocato un collasso nella nascente e prosperosa borghesia moscovita, che era stata così annientata, producendo una insospettabile classe di cittadini: i nuovi poveri. Giovani che erano andati all’università, figli di medici di provincia, di notai, di professionisti urbani, eliminati dal mercato per via di un aumento esorbitante delle tasse zariste sul demanio, erano andati a formare una clandestina e insospettabile classe di nuovi poveri. Il romanzo “Povera gente” toccò e perforò la sensibile anima del popolo russo, alimentando il germe di una sentimentalità mescolata a intensa spiritualità e attivismo politico, quella che di lì a breve avrebbe prodotto la fulminante e contagiosa passione rivoluzionaria bolscevica. I giovani universitari si radunavano per leggere a voce alta il romanzo agli analfabeti, che allora erano la maggioranza schiacciante della popolazione: avevano trovato una voce che li rappresentava, in grado di esprimere con parole semplici e immediate il loro disagio.
La tecnica del romanzo è epistolare: uno scambio di lettere tra due giovani, colti, senza futuro, travolti dalla miseria economica più nera e colma di disperazione esistenziale, che si scambiano la loro idea del mondo. Nasce una violenta passione amorosa tra i due, che entrambi identificano come passaporto per una possibile felicità sulla terra, ma la loro povertà impedisce una loro unione. L’aspetto di quel libro che colpì l’immaginario collettivo, al di là della sua qualità intrinseca letteraria, fu la scoperta che la povertà economica non aveva niente a che fare con la miseria interiore, anzi. Anche se a noi, oggi, può suonare strano, per i russi di allora fu una incredibile sorpresa venire a sapere che persone povere di soldi, travolte da una quotidiana indigenza, in verità rivelavano un mondo interiore, sia emotivo che esistenziale e psicologico, di invidiabile ricchezza sentimentale, spirituale, culturale. Con 55 anni di ritardo, arrivava nella Grande Russia il seme piantato dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prodotta dalla rivoluzione francese.
Noi, oggi, in Italia, siamo in una situazione “politico-emotiva” paragonabile a quella dei russi nel 1846.
Con atroce ritardo, ipocrita sorpresa, una snervante quanto subdola lentezza, l’attuale classe politica dirigente, attraverso i vassalli della cupola mediatica, scopre che in Italia, nella primavera del 2013 esistono i poveri. Non solo. Scoprono (e la considerano una notizia, come se si fosse verificato lo scorso febbraio, così, all’improvviso) che sono tanti, molti di più di quanto non pensassero (loro che non lo sono): milioni e milioni. Vengono a sapere che non si tratta soltanto di extra-comunitari, emigrati affamati senza patria, fannulloni di varia natura, tossici sbandati, sporadici casi sociali di natura clinica, bensì una marea di giovani e anziani, figli e nipoti di una borghesia maciullata dall’iper-iberismo, non avvezza a elaborare anticorpi necessari per la sopravvivenza. Scoprono, oggi, addirittura dichiarandosi sorpresi, che l’Italia è un paese medioevale e arretrato, com’era la Russia nel 1846, dove non sapevano neppure che cosa fossero i diritti civili sui quali si dibatteva nel resto d’Europa da almeno cento anni, da quando Voltaire e gli altri illuministi avevano iniziato a diffondere il loro pensiero libertario. Sciorinano dati statistici allarmanti, freddi, oggettivi, numeri che si aggiungono ad altri numeri, impietosamente declinati senza pensare che ogni numero si riferisce a una Persona, a una Esistenza, a una Vita Pulsante, che è legata ad altre vite in una catena umana che, in un modo o nell’altro, tocca tutti noi. Riguarda tutti noi, nessuno escluso. Scoprono, oggi, che in Italia i suicidi degli imprenditori e dei salariati sta aumentando a un ritmo vertiginoso e preoccupante, insostenibile per una società europea. Scoprono, oggi, con circa 40 anni di ritardo, che l’Italia è un paese sorretto da piccole oligarchie del privilegio garantito, la cui bulimica avidità aumenta ogni giorno di più ingigantendo la questione sociale. Peggiorandola. Rendendola endemica, perché chi ne parla lo fa sempre dall’alto “come se” proponendo alla fine delle soluzioni operative che altro non sono che elucubrazioni retoriche e bizantinismi inutili che hanno l’obiettivo di mantenere lo status quo allargando sempre di più lo spettro della povertà che dilaga. La cosiddetta “manifestazione contro la povertà” indetta dal PD, avrebbe potuto essere, in questa Italia degradata del 2013, come “Povera gente” lo era stato in Russia nel 1846: un fragoroso acceleratore di particelle di consapevolezza, la presa d’atto di una situazione di emergenza sociale, presentata e rappresentata dalle voci esistenziali di chi soffre, di chi non ha più nulla, di chi è immerso nella disperazione quotidiana, nel solipsismo consueto dei nuovi disabili italiani, censurati e clandestini: i poveri senza volto, i vergognosi del proprio dissesto, i colpevolizzati per via del proprio dissesto, gli abbandonati, esclusi, emarginati e marginalizzati da una società (quella italiana) provinciale e cattiva, narcisista e malvagia, da sempre avvezza a rincuorare e valorizzare i vincenti, fuggendo dai bisognosi per evitare di prendere atto dell’esistenza di una propria miseria  latente, temendone, magicamente, una specie di contagio esistenziale. Avrebbe potuto essere una occasione d’oro, forse l’ultima, per coloro che pontificano sui giornali e alla tivvù, per venire a raccontarci delle esistenze delle persone vere, proponendo una soluzione, un progetto, un programma, una medicina, un sogno, una speranza. Una parola. Forse, sarebbe bastata anche una semplice parola, tanto per fare capire ai milioni di poveri consapevoli e a quei milioni di potenziali poveri inconsapevoli (nel senso che oggi non sanno quanto saranno poveri anche loro, a breve e brevissimo tempo) che si è preso atto dell’esistenza e dell’autenticità delle loro vite. Per sapere. Tutti. E invece, il PD ha scelto di ignorare la narrativa esistenziale.
Ma non si tratta soltanto di un errore, bensì di un suicidio annunciato.
Un gruppo di burocrati obsoleti, applauditi dalle clientele rappresentate e dai capi bastone che controllano i voti dei bisognosi ricattati, si è riunito in un teatro parlando di nulla. Discorsi auto-referenziali, inutili, insultanti, privi di sostanza pragmatica. Neppure una frase, una parola (sia d’ordine che di disordine), una lettera, una virgola, sull’immediato programma da applicare domattina dovunque e comunque per far fronte all’emergenza sociale.
Una manifestazione contro la povertà senza poveri.
Una manifestazione contro la povertà senza le vite dei nuovi poveri.
Una manifestazione contro la povertà senza fornire adeguate misure contro la povertà.
Una manifestazione iper-realista: la prova della loro povertà di idee.
E’ la malattia mortale del PD.
E’ la pestilenza del 2013.
E’ un bacillo infetto di cui non è responsabile né Berlusconi né tantomeno Beppe Grillo. Se il PD non è in grado di produrre idee è perché ha una dirigenza che ne è priva.
Questo PD ha prodotto, volontariamente, una classe dirigente non pensante.
Questo PD ha voluto costruire una classe dirigente incapace ma servile, quindi utile a loro ma inutile per il paese.
Questo PD è incapace di pensare, perché è privo di pensatori.
Mentre Bersani portava fino in fondo il suicidio della sua compagine, a 600 chilometri di distanza, il presidente Giorgio Squinzi chiudeva il suo convegno sulla piccola impresa di Confindustria. “Il tempo è scaduto perché siamo al collasso” ha detto con realismo “e questa classe politica di inetti non ci rappresenta più. Da oggi, per noi, conta il nostro programma che intendiamo portare avanti e ruota su tre punti che…lasciatemi usare questo termine….da questo momento diventa il nostro mantra: credito, lavoro, occupazione. Questo è ciò che a noi interessa. Perché a noi, gente che fa impresa, non piace e non vogliamo vivere in un paese povero, e vogliamo produrre ricchezza per tutti”. Così ha parlato chi rappresenta la parte più ricca della nazione.
Mentre a Roma si consumava il macabro rituale di un gruppo di mummie, completamente incapaci di pensare, di progettare, di rispondere.

Noam Chomsky.



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TV-MARIONETAS.



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Passaparola - Gli impresentabili al Quirinale - Marco Travaglio

Cavalluccio di mare.



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domenica 14 aprile 2013

La paura, l’inflazione e la nostra libertà. - Guido Mastrobuono


People 02
Una delle attività più criminali del sistema di propaganda mainstream è lo stravolgimento dei nostri valori.
In altre parole, abili manipolatori lavorano da anni per instillare nelle nostre menti la paura di ciò che potrebbe renderci più felici ed, allo stesso tempo, per associare ad eventi dannosi  un innaturale (e soprattutto ingiustificato) senso di sollievo.
La paura ed il sollievo sono emozioni strettamente legate.
La paura uccide la mente razionale ed attiva reazioni automatiche e prevedibili che possono essere facilmente sfruttate da chi le conosce.
Si tratta di reazioni velocissime che hanno permesso la sopravvivenza ai nostri antenati ma che, però, erano molto più efficaci nella savana, quando si trattava di sottrarsi ad un predatore, piuttosto che in città, quando si deve decidere se accettare un contratto di lavoro.
Il sollievo, invece, è un’emozione che sopraggiunge a valle di un evento doloroso, inaspettato ed indesiderato al quale, comunque, si è riusciti a sopravvivere.
Si tratta di un contentino narcotico che il nostro sistema emozionale ci somministra per farsi perdonare la paura precedente e farci guardare al futuro con ritrovata fiducia.
Quando questo meccanismo diventa noto a chi è interessato a commettere violenza, inganno o soprusi, questa emozione può essere utilizzata come strumento consolatorio e compensatorio gratuito utilissimo per depotenziare la reazione delle vittime.
Questa dinamica è quindi usata da chi ci vuole manovrare giocando, come sempre, sulle dieci strategie spiegate da Noam Chomsky sono le seguenti:
  1. La strategia della distrazione.
  2. Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
  3. La strategia della gradualità.
  4. La strategia del differire.
  5. Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
  6. Usare l’aspetto emotivo molto più del ragionamento.
  7. Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
  8. Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
  9. Rafforzare l’autocolpevolezza.
  10. Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
In questo caso si gioca con le regole n° 2, 3, 6 e 9 per portare al massimo livello la strategia di cui al punto 1.
La prima norma è la “strategia della distrazione”. Dice Chomsky: «Consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. E’ anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, dell’economia, della psicologia».
Per utilizzare la dinamica paura-sollievo, bisogna far focalizzare la paura delle vittime su eventi estremamente dolorosi ed indesiderabili che non devono essere necessariamente reali.
E’ infatti sufficiente che si tratti di eventi verosimili.
Il manipolatore, nella parte iniziale della sua esposizione, descriverà questi eventi nei particolari assumendo un’espressione tesa e preoccupata.
Nel seguito della frase, il manipolatore affermerà che detti eventi non si sono avverati e, mentre gli ascoltatori provano sollievo, dichiarerà che, al posto dell’evento desiderato è accaduto un evento che, sebbene ugualmente indesiderato, è decisamente meno drammatico.
Badate bene che i primi eventi erano ipotetici: il secondo, invece, è reale e penalizza i (numerosi) ascoltatori a favore dei (pochi) mandanti dei manipolatori.
E’ evidente che una reazione negativa delle vittime potrebbe essere pericolosa per i mandanti e, per questo motivo, diviene provvidenziale l’ancoraggio tra l’evento “meno indesiderato” e l’emozione del sollievo che lo rende accettabile ed, a volte, persino gradito.
Questo è successo Venerdì sera quando ascoltando il telegiornale della 7, dopo che i telespettatori sono stati assoggettati alla consueta sequenza di disperazioni, licenziamenti, suicidi e catastrofi economiche, è stata presentata la notizia della diminuzione dell’inflazione.
La notizia che stava venendo raccontata era la seguente.
“Nel mese di marzo 2013, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,2% rispetto al mese precedente e dell’1,6% nei confronti di marzo 2012 (la stima provvisoria era +1,7%)”. E’ quanto rileva l’Istat. Sempre a marzo, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori, e che formano il “carrello della spesa”, aumentano dello 0,1% su base mensile e del 2% su base annua, in ulteriore rallentamento dal 2,4% di febbraio. Il tasso d’inflazione annuo si è così dimezzato nell’arco di sei mesi, scendendo dal 3,2% di settembre. Inoltre con l’1,6% segnato a marzo si torna indietro a settembre 2010 (quando era stato rilevato lo stesso valore). Ancor più marcato l’andamento semestrale se si guarda ai prodotti più frequenti, il “carrello della spesa” appunto, la cui dinamica è passata dal +4,7% di settembre all’attuale +2%.
Per rigor di informazione va detto che notizia virgolettata è tratta dalla versione on line di La Repubblica ma la notizia riportata da La 7 era sostanzialmente la stessa.
Guardandola così, confortati dai lineamenti distesi del commentatore, potrebbe sembrare, tutto sommato, una notizia meno peggiore delle altre.
I prezzi, in fondo in fondo, non stanno aumentando.
E poi, questa notizia andava a connettersi con tutto un condizionamento precedente che ha incrostato nel nostro cervello un macro concetto infantile sintetizzabile con l’espressione “INFLAZIONEBBRUTTA!”.
Quei pochi che sono stati capaci di continuare a pensare ed elaborare la notizia hanno invece capito un’altra cosa.
L’inflazione è l’aumento dei prezzi di un paniere di beni che interessano la maggior parte dei cittadini.
Per intenderci, non ci sono le Ferrari ed i gioielli nell’inflazione: ci stanno il pane ed il gas per il riscaldamento.
In pratica, se l’inflazione è bassa vuol dire che le persone normali, e soprattutto i lavoratori dipendenti, non hanno avuto i soldi per comprare il necessario ad una vita dignitosa.
Tralasciando il fatto che, quando l’inflazione è bassa, i ricchi si arricchiscono ed i poveri stanno diventando più poveri, oggi vorrei farvi capire che vi hanno comunicato una pessima notizia spacciandovela per una buona.
Come fare a difendersi da questa cosa?
La risposta è semplice: basta telegiornali e basta talk show politici.
Se volete informarvi velocemente, scorrete la home page dell’ANSA.
Se volete sapere di più, leggete articoli lunghi, prendetevi il vostro tempo, e pretendete di capire tutto quello che vi sta venendo comunicato.
Non avrete il tempo di essere informati su tutto ma, in fondo, se ci pensate, a cosa serve essere informati su tutto?
E’ invece molto importante non essere manovrati ed essere coscienti del fatto che, nella realtà, sugli argomenti che non abbiamo approfondito, noi non abbiamo nessuna opinione.
E, rigirando la frase, ciò vuol dire che su ciò di cui non ci siamo informati, l’opinione che abbiamo non è nostra.

Come rimuovere 7 milioni di tonnellate di rifiuti dall’oceano? Chiedetelo a questo 19enne olandese… - Martina Pugno




La storia dell’uomo è fondamentalmente un elenco di cose che non potevano essere fatte, e che poi sono state fatte”: questo il motto del giovane Boyan Slat, diciannovenne olandese che ha perfezionato un progetto potenzialmente in grado di ripulire gli oceani delle 7 tonnellate di plastica che attualmente si trova nelle acque e che mette a rischio interi ecosistemi.
Quello dei vortici di plastica presenti negli oceani è un problema di primaria importanza, in continua crescita e considerato, fino ad oggi, di impossibile soluzione. A far cambiare idea al mondo, però, potrebbe essere la struttura progettata dal giovane studente di tecnologie e appassionato di ambiente e sostenibilità, in grado di ripulire un vortice di medie dimensioni in soli cinque anni.
Il progetto dell’Ocean CleanUp Array, questo il nome della struttura galleggiante, si basa sulla capacità dei lunghi tentacoli di catturare i rifiuti presenti nell’oceano, sfruttando le correnti oceaniche, per indirizzarli verso piattaforme in grado di raccogliere i rifiuti separando la plastica e riciclandola.
Le piattaforme sono anche in grado di garantire un basso impatto ambientale, separando il plancton dai rifiuti e reimmettendolo in mare tramite una centrifuga. In questo modo si preserva quella che costituisce una preziosissima risorsa per pesci e uccelli marittimi. In soli cinque anni, la struttura potrebbe in questo modo ripulire un vortice di plastica senza creare danni all’ecosistema: abbastanza per lasciar sperare di poter ripulire gli oceani delle 7 tonnellate che infestano le acque.
L’Ocean CleanUp Array potrebbe costituire una vera e propria rivoluzione ecologica, della quale l’aspetto più sorprendente è forse l’autore: Boyan Slat ha iniziato a lavorare sul progetto già all’inizio della sua carriera universitaria presso la Delft University of Technology, dove ha vinto il premio Best Technical Design 2012.
Slat ha poi continuato a svilluppare il progetto, fino a presentarlo mesi dopo al TedxDelft 2012, La sfida più grande, ora, è quella di trovare i finanziamenti per trasformare la sua visione in realtà.