lunedì 20 gennaio 2020

Cara Meloni, cosa ha fatto per l’Italia? - Luisella Costamagna

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Cara Giorgia Meloni, l’altra sera da Mario Giordano ho registrato per lei una domanda Fuori dal Coro, che diceva testualmente: “Il Times l’ha inserita tra le 20 persone che cambieranno il mondo. Per il futuro, vedremo. Ma per il passato, essendo lei in politica da un quarto di secolo, anche con ruoli importanti di governo e istituzionali – ministro, vicepresidente della Camera, deputata – com’è che, in tutto questo tempo, non dico il mondo, ma almeno un po’ l’Italia non è riuscita a cambiarla?”. Nella sua risposta – al di là dell’esordio ironico “Mi vuole un gran bene Luisella Costamagna… da sempre” – ha rivendicato quanto fatto da ministro della Gioventù, “il massimo con cui mi sono potuta misurare”, “per il resto sono sempre stata all’opposizione e pure da lì qualche cosuccia sono riuscita a portarla a casa, tipo i seggiolini Salva Bebè, approvati dal Parlamento in questa legislatura”. Applausi del pubblico.
Cara Meloni, tanto tengo a lei e alla sua (ir)resistibile ascesa (FdI oltre il 10% nei sondaggi), che non posso fare a meno di sopperire alla sua umiltà ricordando che lei di cose ne ha fatte eccome. Già, perché in questi 25 anni di carriera politica, in cui ha polverizzato tutti i record di ruoli ricoperti in giovane età, non è “sempre stata all’opposizione”, anzi, è stata a lungo al governo con Berlusconi e la Lega, votando le leggi ad personam (Lodo Alfano, legittimo impedimento…), le misure economiche e fiscali che ci rendono il “paradiso” che siamo oggi, su su fino all’epocale Ruby nipote di Mubarak. Da donna avrà agito in buona fede: non in difesa di Berlusconi (certo che no!), bensì della giovane marocchina e del suo sogno di avere radici certe. Era il 2011, di lì a poco – dopo un’estate più che sprint, spread – Berlusconi si dimise e nacque il governo Monti. E lei? Pancia a terra, da grande lavoratrice qual è, a sostenerlo e votare i provvedimenti Salva Italia cui il suo ex governo ci aveva costretti (e su cui ora lei dà battaglia): la legge Fornero, il ritorno della tassa sulla prima casa (Imu), l’abbassamento del tetto sull’uso del contante. Pure il Fondo Salva-Stati, che adesso la manda in “Bestia” sui social con Salvini, fu istituito dal governo in loden che lei (non la Lega) appoggiava. E pure sull’odiato Fiscal Compact, imposto dall’Europa matrigna, invece di dire no preferì non partecipare al voto.
Su una cosa, va riconosciuto, ha tenuto il punto: il taglio dei costi della politica. Almeno dei parlamentari, visto che ha votato sì e non ha firmato per il referendum. Non si può dire altrettanto, invece, dell’abolizione delle Province: la “nuova” Meloni oggi condivide l’insofferenza popolare verso i “carrozzoni”, ma la “vecchia” votò nel 2011 contro la soppressione delle Province in Costituzione.
Cara Meloni, per tornare alla mia domanda iniziale, lei sicuramente più che “stella nascente”, come l’ha definita il Times, è “già nata” parecchi anni fa (quelli so’ inglesi e nun ricordano). Ma “stella” del firmamento della politica italiana resta comunque. Per farla brillare ancora di più in futuro, ci permettiamo solo due consigli: 
1) faccia i conti col suo passato, invece di puntare sulle dimenticanze sue e degli italiani; 
2) combatta anche doppi incarichi e assenteismo: c’è ad esempio una deputata, leader di partito, che non lascia la poltrona di consigliere comunale a Roma, anche se va poco sia all’Assemblea Capitolina (solo 6 sedute su 60 nel 2019) sia alla Camera (assente al 71% delle votazioni in questa legislatura, sestultima in classifica). In compenso impazza in tv. 
La conosce?
Un cordiale saluto.

Amenità.





domenica 19 gennaio 2020

Molecola contro osteoporosi, la firma di una ricercatrice barese. - Francesca Di Tommaso

Molecola contro osteoporosi, la firma di una ricercatrice barese
La scienziata barese Maria Grano.

«Ci hanno tenuti sul filo per tre anni. Ma finalmente il brevetto americano è stato concesso». Una gran massa di capelli corvini e due occhi di carbone che brillano emozionati: la scienziata Maria Grano non nasconde la soddisfazione. La «sua» creatura, quella molecola Irisina che sconfigge l’osteoporosi, ha superato l’ultimo ostacolo burocratico per la vendita del farmaco in tutto il mondo.

«Dopo la concessione del brevetto italiano, nel 2016, ed europeo l’anno successivo, è arrivata la concessione statunitense. Dagli Usa ci hanno fatto soffrire: molte obiezioni benché i dati fossero inconfutabili - racconta Grano -. I ricercatori americani tendono a proteggere i brevetti interni. Ed erano un po’ piccati dal fatto che, benché fossero stati loro a scoprire l’Irisina, non avevano colto il suo ruolo primario nella lotta all’osteoporosi. Ora, aver ottenuto il brevetto americano significa che la vendita del farmaco, una volta sviluppato, può avvenire solo pagando il titolare del brevetto, ovvero l'università di Bari. Chiunque lo utilizzi per la cura dell'osteoporosi dovrà prendere accordi e dare le royaltes ad Uniba. Considerando che nel mondo gli osteoporotici sono oltre 200 milioni - continua la scienziata - si tratta di un mercato molto importante».

Maria Grano si è laureata a Bari. Qui dal 1987 si occupa di studi sul metabolismo osseo. Qui, dopo sette lunghi anni di precariato, è diventata ordinario di Istologia ed embriologia nella scuola di Medicina dell’ateneo barese e capo del team di ricerca. Quanti lavorano sull’Irisina? «Silvia Colucci, Giacomina Brunetti, Graziana Colaianni, Lorenzo Sanesi, Giuseppina Storlino, Giorgio Mori. Associati, ricercatori e dottorandi. L’80% donne - sorride Grano - in un laboratorio che lavora dalle nove del mattino alle nove di sera. Con una passione e un entusiasmo sorprendenti». Gli studi proseguono grazie ad un finanziamento regionale nell'ambito di un progetto chiamato «TecnoMedPuglia per la medicina di precisione». La produzione di un farmaco ha un percorso lunghissimo e costosissimo. «In pratica sono sempre in giro a divulgare la ricerca ma soprattutto a raccogliere fondi» chiosa Grano.

Da piccola, la scienziata nata ad Acri ma barese d’adozione, voleva fare il chimico. Nelle sue ricerche, l'Irisina compare nel 2012, quando questa molecola, prodotta dal muscolo durante l’esercizio fisico, viene scoperta da un gruppo di ricercatori di Harvard. E ad Harvard scoprono che Irisina trasforma il grasso bianco, cattivo, in grasso bruno, buono. Negli Usa, si apre così un nuovo mondo per la cura dell’obesità.

Maria Grano, invece, guarda oltre. E scopre che il ruolo principale dell'Irisina non è tanto sul grasso quanto sullo scheletro. Ha un’azione sia preventiva che curativa dell’osteoporosi. Fortifica le ossa, potrà cambiare la vita di anziani e malati che, impossibilitati a muoversi, non producono naturalmente la molecola. Il farmaco «farà attività fisica» al loro posto.

Dal 2000 la Grano coordina progetti di ricerca di Biomedicina spaziale per lo studio dell’osteoporosi e delle funzioni ossee in microgravità, in collaborazione con le Agenzie spaziali Asi, Esa e Nasa. «Gli astronauti, in assenza di gravità, perdono massa ossea e massa muscolare per assenza di peso -spiega la ricercatrice - Lo spazio rappresenta quindi per noi un laboratorio dove studiare l’osteoporosi. Anche perché nello spazio tutto avviene più rapidamente che sulla Terra. Per esempio, la massa ossea che perde un astronauta in un mese equivale più o meno a quello che un paziente, sulla Terra, perde in un anno». Ma le agenzie spaziali, che per un mese hanno ospitato a bordo della stazione spaziale internazionale partita dalla base Nasa di Cape Canaveral un esperimento in presenza di Irisina, sono interessati anche in prospettiva allo sviluppo della missione su Marte che prevede tempi lunghissimi di permanenza nello spazio.

I dati della missione di Cape Canaveral sono stati analizzati «Il lavoro non è stato ancora pubblicato ma vi posso assicurare - conclude Grano - che gli effetti di Irisina sono veramente impressionanti. Le cellule che fanno osso nello spazio senza trattamento si azzerano». L’agenzia spaziale europea ha finanziato un nuovo progetto. Quando si può ipotizzare la produzione del farmaco? «Gli studi su modelli animali di osteoporosi sono promettenti. Ora stiamo procedendo alla produzione industriale di Irisina, perché bisogna produrre una molecola pura, certificata - spiega Grano - Tra studi di tossicità e sperimentazione umana, presumibilmente nel 2025».

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bari/1198648/molecola-contro-osteoporosi-la-firma-di-una-ricercatrice-barese.html?fbclid=IwAR0-pYSD2Ch9ybvapGXpjMf3W0USxHLRcsWozgzLf8pQ_0QC4ZwKm5WS-Yk

Il bottino di Bettino: ecco la lista delle spese private. - Marco Travaglio


Nel giorno del pellegrinaggio ad Hammamet con figli d’arte, complici, coimputati, miracolati, noti ladroni o aspiranti tali (chi non è capace a rubare invidia tanto chi ci riesce), scassinatori, pali e addetti al piede di porco, ci uniamo anche noi al ricordo dell’indimenticabile statista pregiudicato morto latitante 20 anni fa.
Purtroppo il nostro è il ricordo di chi ricorda, non di chi s’è scordato tutto o non sa nulla, come l’intera stampa italiana, che da giorni riempie paginate su Bettino senza mai citare il bottino.
L’inviata del Corriere sul luogo del delitto e del relitto, per dire, si domanda pensosa se Craxi fosse “latitante, come accusano gli esponenti del M5S (sic, ndr) o esule, come vorrebbe la figlia” e si risponde che “l’enigma ancora divide. Ma il tempo della damnatio memoriae può dirsi finito”. Invece è appena cominciato, a giudicare dalla sua, di memoria, e da quella degli altri “giornalisti” all’italiana.
Segnatevi questa data: 29 settembre 1994. Mentre il premier Silvio B. compie 58 anni, il pool Mani Pulite fa arrestare Giorgio Tradati, vecchio amico di Craxi e uno dei prestanome dei suoi conti esteri. Il 4 ottobre il pm Antonio Di Pietro lo fa deporre al processo Enimont. E il suo racconto rade al suolo la difesa di Craxi sui “finanziamenti irregolari alla politica”:
“Nei primi anni 80, Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera. Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense (Constellation Financière). Funzionava così: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto… il prestanome”. Lì cominciano ad arrivare “somme consistenti”: nel 1986 sono già 15 miliardi. E altri 15 su un secondo: quello che Tradati, sempre su input di Bettino, intesta a un’altra panamense (International Gold Coast) presso l’American Express di Ginevra. Ma stavolta c’è una variante: un conto di transito, il Northern Holding, messo a disposizione da un funzionario della banca, Hugo Cimenti, per rendere meno individuabili i versamenti.
Come distinguevate – domanda Di Pietro – i bonifici per Cimenti da quelli per Craxi-Tradati? Risposta: “Per i nostri si usava il riferimento “Grain”, che vuol dire grano…”. Risate in aula. Poi con Tangentopoli tutto precipita. “Intorno al 10 febbraio 1993 Bettino mi chiese di far sparire il denaro dai conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani Pulite. Ma io rifiutai… avrei inquinato le prove… E fu incaricato un altro. I soldi non finirono al partito… Hanno comprato anche 15 chili di lingotti d’oro (poi ritrovati dai giudici elvetici, per un valore di 300milioni di lire, ndr).
Craxi rimpiazza Tradati e affida i suoi conti a Maurizio Raggio, ex barista di Portofino, strano personaggio con interessi in Italia e all’estero, fidanzato con la contessa Francesca Vacca Agusta, vecchia amica di Craxi. Raggio si precipita in Svizzera, svuota i conti e si ritrova fra le mani 40 miliardi di lire. Di Pietro sguinzaglia i carabinieri a Portofino, dove vive con la contessa a Villa Altachiara. Troppo tardi. La coppia se l’è già svignata in motoscafo, prima a Montecarlo, poi in Messico. Cimenti intanto conferma ai pm: Raggio ha lasciato sui conti solo un milione di dollari e trasferito il resto su depositi alle Bahamas, alle Cayman e a Panama.
Intanto Tradati continua a raccontare: “I prelievi dai conti svizzeri di Craxi servivano anzitutto per finanziare una tv privata romana, la Gbr di Anja Pieroni (una delle amanti, ndr)… e acquistare un appartamento a New York e uno a Barcellona”.
Donne e motori. Il resto lo racconta Raggio, arrestato il 4 maggio ’95 in Messico, dal carcere di Cuernavaca.
In poco più di un anno di latitanza, ha speso 15 miliardi su 40. Il resto, l’ha riportato a Craxi, latitante ad Hammamet, che gli ha detto come e dove spenderlo. La sua deposizione verrà autenticata dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Milano, nelle sentenze del processo All Iberian confermate dalla Cassazione (Craxi e B., condannati in primo grado e prescritti in appello).
Ecco quella d’appello: “Craxi dispose prelievi… sia a fini di investimento immobiliare (l’acquisto di un appartamento a New York), sia per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tivù (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire… Dispose l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe, ndr) a Roma, intestati alla Pieroni”. Alla quale faceva pure pagare “la servitù, l’autista e la segretaria”.
A Tradati diceva sempre: “Diversificare gli investimenti”. E Tradati eseguiva, con varie “operazioni immobiliari: due a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile”. Senza dimenticare gli affetti familiari: una villa e un prestito di 500 milioni per il fratello Antonio (seguace del guru Sai Baba) bisognoso di soldi per una mostra itinerante e una fondazione dedicate al santone indiano.
Intanto il Psi è finito in bolletta per l’esaurimento delle mazzette e prima il tesoriere Vincenzo Balzamo, poi i segretari Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco, non sanno più come pagare i dipendenti. Ma Craxi se ne infischia e tiene tutto per sé. Poi vengono le spese di Raggio: 15 miliardi per “il mantenimento della sua detenzione” in Messico e la latitanza in Centroamerica con la contessa e certe distrazioni piuttosto care: 235.000 dollari “per un’amica messicana”; e una Porsche acquistata a Miami.
Case, aerei e Bobo. Il resto rimase nella disponibilità di Craxi, che da Hammamet commissionò a Raggio alcune spesucce: l’acquisto di “un velivolo ‘Citation’ del costo di 1,5 milioni di dollari”, l’estinzione di un “mutuo personale” acceso da Raggio (circa 800 milioni di lire), le parcelle degli avvocati e una raffica di “bonifici specificatamente ordinati da Craxi, tutti in favore di banche elvetiche, tranne che per i seguenti accrediti”: 100.000 dollari al finanziere arabo Zuhair Al Katheeb; 80 milioni di lire alla Bank of Kuwait Ltd “in pagamento del canone relativo a un’abitazione affittata dal figlio di Craxi in Costa Azzurra”. Il povero Bobo – spiega Raggio – “aveva affittato una villa sulla Costa nell’ottobre-novembre 1993, per sottrarsi al clima poco favorevole creatosi a Milano”.
Dunque, conclude il Tribunale, i conti di Craxi servivano “alla realizzazione di interessi economici innanzitutto propri” e “Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti… non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari, così da mettere in difficoltà lo stesso Balzamo…
Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti, se non per soccorrere finanziariamente Gbr, in cui coltivava soprattutto interessi ‘propri’”. E, da vero uomo d’affari, “si informava sempre dettagliatamente (con Tradati, ndr) dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi”.
I tesori nascosti. Le rogatorie dalla Svizzera confermano che Tradati non mente. E dimostrano che sui conti di Craxi, nel 1991, mentre l’amico Bettino imponeva la legge Mammì scritta su misura per la Fininvest, Berlusconi bonificava 23 miliardi di lire in più rate tramite la società occulta All Iberian.
Nessuna risposta, invece, avranno le rogatorie del pool sugli altri tesori di Craxi: quelli gestiti da altri tre prestanome – Gianfranco Troielli, Mauro Giallombardo e Agostino Ruju – su conti e società fantasma fra Hong Kong, Singapore, Bahamas, Cayman, Liechtenstein e Lussemburgo. Tutti miliardi rimasti inaccessibili, almeno ai giudici.
Chissà mai chi ci campa a sbafo da 26 anni.

https://www.facebook.com/giuseppe.stelluti/posts/2895436570517063

Lega, niente multe al candidato Salvini. Che reclama l’immunità e non le paga.- Thomas Mackinson

Lega, niente multe al candidato Salvini. Che reclama l’immunità e non le paga

Salvini e il suo autista sono in corsa per le amministrative di Milano. Corrono anche in città: a 90 all'ora, in città. Quando si beccano il verbale non fanno come tutti i milanesi, che pagano, ma mettono di mezzo i legali del Carroccio. Il risultato è un ricorso che fa leva sul "ruolo istituzionale" e sul "rischio sicurezza". Sei mesi fa se la prese con Napoli "capitale delle multe evase".
Matteo Salvini e il suo autista sono in corsa per le amministrative di Milano. E in città vanno proprio forte, a 87 chilometri all’ora per l’esattezza. Quando beccano la multa però non fanno i milanesi che pagano, ma mettono in mezzo gli avvocati del partito. Tutto per non sborsare 165 euro di sanzione al Comune che si propongono di amministrare e salvare i punti della patente del dipendente della Lega. Il risultato è un surreale ricorso che fa leva sul “ruolo istituzionale” e sul “rischio sicurezza“. La multa risale al 9 novembre scorso, di prima mattina, mentre l’auto di servizio della Lega passava a gran velocità su viale Enrico Fermi, dove il limite è 70, diretta alla sede della Lega lì a due passi.
Salvini, capolista a Milano nonché candidato a leader di tutto il centrodestra, sta dietro. Davanti c’è Aurelio Locatelli, lo storico autista dei big del Carroccio con licenza di agente di pubblica sicurezza che, scarrozzando Salvini, s’è guadagnato pure lui la sua candidatura. E allora: nessuno rallenti la corsa elettorale dei due compagni di viaggio uniti dal partito, dal motore a scoppio e da un singolare ricorso. In via Bellerio la pensano così ma prendono l’imperativo un po’ troppo alla lettera. Su procura del segretario, i legali del Carroccio hanno infatti chiesto di annullare la sanzione con un ricorso di sei pagine depositato l’11 marzo scorso. Non contestano affatto la violazione, certificata da telecamere ben note ai milanesi, ma rivendicano una sorta di “immunità” da codice della strada per il leader.
In premessa ricordano che il segretario “ricopre incarichi istituzionali e che, per ragioni politico istituzionali, deve presenziare…”. Si tenga cioè presente l’alto valore trasportato. Salvini finisce così nel pubblico registro dei politici furbetti, quelli che prendono le multe come tutti i cittadini ma pretendono di non pagarle, perché al di sopra di regole e leggi buone solo per gli elettori. Un titolo che non farà felice il popolo leghista e mal si sposa con l’immagine da tribuno della rabbia popolare contro i privilegi della Casta. Non solo, giusto sei mesi fa il leghista aveva eletto Napoli “capitale delle multe evase”, attirandosi prevedibili polemiche: ora si scopre che Milano e Salvini non sono da meno, anzi.
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Il passaggio forse più ardito verte su ragioni imperative di sicurezza. I legali ricordano che il loro assistito ha subito “recenti e gravissimi attacchi alla sua persona e alla vettura su cui viaggia” e per questo la sua auto “è regolarmente preceduta e scortata da vetture condotte da agenti delle Forze dell’Ordine”, sostenendo una sorta di diritto transitivo a commettere violazioni. È vero, argomentano, che l’auto della Lega è una vettura privata e come tale non può eludere limiti e divieti, come una volante che invece può farlo nei limiti di prudenza e diligenza e “nell’espletamento dei servizi di istituto”, cioè accendendo la sirena. Ma – scrivono – “tale obbligo può ritenersi assolto nella misura in cui l’auto di proprietà della Lega Nord viene affiancata e/o preceduta costantemente da una vettura della PS con apposito dispositivo attivo”. Ammesso che sia così, c’è un problema: le foto scattate al varco elettronico mostrano l’auto di Salvini in perfetta solitudine sul ponte. Nessuna volante, né davanti né di fianco. Così, la multa per ora resta e tocca vedere che cosa ne farà il Prefetto, mentre si scopre un’altra funzione di estrema utilità della scorta ai politici: far da paraurti alle multe che si meritano, perfino nelle città che vorrebbero amministrare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/12/lega-niente-multe-al-candidato-salvini-che-reclama-limmunita-e-non-le-paga/2715364/?fbclid=IwAR03BGGOMRPfVbxuL0y6c7oyFlObliur9ToLjzAKFTwJyHamfMN5FzHEtG0

sabato 18 gennaio 2020

Fiascheroli - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano del 18 Gennaio

L'immagine può contenere: 5 persone, persone che sorridono

Viva sorpresa e costernazione ha suscitato fra i leghisti la sentenza della Consulta che boccia il referendum dei leghisti per cancellare il Rosatellum (votato anche dai leghisti) e sostituirlo con una legge elettorale maggioritaria su misura dei leghisti.

Eppure un indizio preciso di come sarebbe finita ce l’avevano: l’autore del quesito era Roberto Calderoli. Un nome, una garanzia di catastrofe. Calderoli, in arte “Pota”, dentista di Bergamo Alta inopinatamente scambiato da 25 anni per un riformatore, vanta una collezione di fiaschi che nemmeno una cantina sociale.


Un giorno, a Pontida, per sventare l’avvento dell’euro, s’inventò il tallero padano, detto “calderòlo”. Quando il pataccaro Igor Marini fu accolto in commissione Telekom Serbia come “supertestimone” delle tangenti a Prodi, Fassino e Dini sui conti “Mortadella”, “Cicogna” e “Ranocchio”, fu il Pota a garantire sulla sua attendibilità, definendolo “una persona di una memoria che fa impallidire Pico della Mirandola, intelligente, sveglia e preparata”. Infatti Marini fu arrestato per essersi inventato tutto.

Quando Ratzinger fu eletto papa, Calderoli pensò di migliorare i rapporti fra Lega e Vaticano dichiarando: “A Benedetto XVI avrei preferito Crautus I”. Nell’estate 2005 si inerpicò su una baita di Lorenzago del Cadore, in compagnia di costituzionalisti del suo calibro (D’Onofrio, Brancher e Tremonti che portava da bere), per riscrivere la Costituzione fra un grappino e una polenta taragna: la famosa devolution, regolarmente spazzata via nel referendum del 2006.

Poco dopo, il cavadenti padano sfornò la più indecente legge elettorale della storia dell’umanità prima dell’arrivo di Renzi. Infatti lui stesso, conoscendola, la definì “una porcata” (per gli amici Porcellum, ovviamente fulminata dalla Consulta). E, conoscendosi, confidò al Corriere: “Su di me non avrei scommesso un euro”.

Ma gli altri sì, anche se lui faceva di tutto per metterli sull’avviso: come la sera che apparve al Tg1 e si aprì la camicia mostrando in mondovisione una canotta con una vignetta anti-Maometto, che nel giro di 48 ore provocò una rivolta a Bengasi, 11 morti dinanzi al consolato italiano e le sue immediate dimissioni da ministro delle Riforme. Ma non bastò, nemmeno quando si riempì il giardino di leoncini, che lo riconobbero e lo azzannarono agli arti inferiori. L’equivoco continuò, tant’è che nel 2008 fu promosso ministro della Semplificazione Normativa: ruolo che purtroppo interpretò con la consueta dedizione. Appena arrivato, accatastò nel cortile del ministero un mucchio di norme stampate su carta.

Poi convocò la stampa e, con gli occhi spiritati a favore di telecamera, le semplificò bruciandole col lanciafiamme. “Sono 375 mila leggi inutili”, annunciò trionfante. Si scoprì poi che l’Italia, fra leggi utili e inutili, non supera le 150 mila, anche perché il Parlamento, per produrne 375 mila, avrebbe dovuto lavorare ininterrottamente dall’Unità d’Italia per 150 anni, compresi quelli di guerra e i mesi di ferie, sfornandone una media di 7,8 al giorno. Dunque non s’è mai capito che diavolo abbia bruciato Calderoli quel giorno. E soprattutto cosa si fosse fumato. In ogni caso qualcuna la incendiò: per esempio, i decreti ottocenteschi di annessione all’Italia del Veneto e del ducato di Mantova, riportando in vita i serenissimi dogi e i Gonzaga.

Più utile si rivelò la depenalizzazione del reato di banda armata a fini politici, che salvò i leghisti imputati a Verona nel processo “Camicie verdi”, tra i quali lui. Che, intanto, continuava a lasciare tracce, come le molliche di Pollicino, per far capire ai suoi che dovevano fermarlo. Chiamava i gay “culattoni ricchioni” e gl’immigrati “bingo-bongo”. Proponeva un “Maiale Day” contro la nuova moschea di Bologna. Chiedeva le dimissioni del premier Monti per aver festeggiato il Capodanno con i parenti a spese dei contribuenti (Monti rispose: “Gli acquisti di cotechino, lenticchie, tortellini e dolce sono stati effettuati a proprie spese dalla mia signora”), proprio mentre la Procura di Roma indagava Calderoli per truffa su un volo blu da Roma a Cuneo per visitare il figlio della compagna Giovanna Gancia in ospedale per un incidente stradale (la trasvolata da 10.271,56 euro restò impunita per il solito no del Senato all’autorizzazione a procedere).

Ma niente, tutti continuavano a prenderlo sul serio. A destra e pure a sinistra, malgrado avesse dato a dell’“orango” alla ministra Kyenge e chiesto l’immunità al Parlamento perché la sua era “una critica politica al governo Letta per il divertimento delle persone presenti, con toni leggeri, infatti non ho detto ‘orango’, ma ‘oranghi’, riferendomi a tutti i ministri” (la cosa però non parve un alibi di ferro, lui andò a giudizio e fu condannato per razzismo).

Così nel 2015 fu correlatore della controriforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini. E fu una fortuna: anche quella fu bocciata dagli elettori nel referendum del 2016. Con questo curriculum era naturale che Salvini e gli otto governatori di centrodestra promotori del referendum maggioritario chiedessero a lui di scrivere il quesito. Tutti i costituzionalisti, ma anche i passanti, che lo leggevano sapevano che sarebbe stato respinto perché, essendo troppo manipolativo, avrebbe lasciato il Paese senza legge elettorale. Ma l’Uomo Fiasco garantiva: “Niente paura, passerà”. Aveva pure chiesto alla Consulta di presenziare all’udienza in qualità di “delegato della Basilicata”. E la presidente Cartabia, con uno strappo alla regola, aveva accettato. Lui pensava che la cosa fosse di buon auspicio. In realtà era un premio per aver garantito alla Corte la piena occupazione con la sua produzione industriale di leggi incostituzionali. Infatti è entrato dall’ingresso fornitori.


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venerdì 17 gennaio 2020

COME SEI MESSO MALE, SALVINI (Il dileggio osceno di un ragazzo dislessico). - Andrea Scanzi

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Caro Salvini, e il "caro" ovviamente è ironico, ho sempre pensato che politicamente valessi meno di un carciofo morto, e come tale ti ho sempre trattato. Ancor più dopo la figuraccia che hai fatto ad agosto. Hai la spina dorsale politica di una sogliola, e quando voglio ridere ripenso con compagna e amici a quante ne hai prese da me a settembre su RaiTre. Parevi Ernie Terrell con con Muhammad Ali, ma peggio. Solo in Italia uno come te potrebbe sembrare credibile, o addirittura votabile, da milioni di italiani.
In questi giorni sono stato in ferie. Fuori dal mondo. Oggi ho letto quello che mi sono perso: niente. Ti hanno contestato spesso e ogni volta hai reagito da par tuo, cioè da ganassa puerile. Al solito. Ora però scopro questa nuova frontiera del salvinismo: il dileggio del dislessico. Una roba che, se solo facessi finta di riconoscerti un ancor vago anelito alla morale, dovrebbe farti vergognare. Ma tu neanche ti poni il problema. Hai postato un video, tagliuzzandolo e reinterpretandolo, per esporre al pubblico ludibrio un ragazzo dislessico. Un'altra vittima da dare in pasto alla Bestia e a quella mandria di ultrà allergici a libri e neuroni. Dici di amare Fabrizio De André, e la cosa grave è che sei serio. Ricorderai (forse) cosa Fabrizio cantò 47 anni fa: "Certo bisogna farne di strada/ da una ginnastica d'obbedienza/ fino ad un gesto molto più umano/ che ti dia il senso della violenza". Tu, come sempre, hai capovolto il senso: ne hai fatta di strada, sì, ma solo per sublimare una ginnastica di obbedienza che ti permettesse di sdoganare appieno la più vomitevole forma di violenza verbale. Ora te la prendi pure con un ragazzo dislessico: fai davvero più schifo che spavento (cit Gaber), come ho sempre detto e scritto. Il tuo gesto è osceno, la tua aggressione è oscena. E il tuo far finta di nulla è un'aggravante. Ti comporti da re del mondo, quando sembri la versione caricaturale di un Farinacci che ha sostituito all'olio di ricino la Nutella. Politicamente, assieme a quell'altro Matteo orfano come te di Craxi e prescrizione, sei il grado zero della decenza. E vinci anche per questo: perché incarni al meglio la decadenza.
Vada il mio piccolissimo abbraccio a Sergio Echamanov, il ragazzo da te oltraggiato, cui consiglio di querelarti seduta stante. E vada tutto sommato il mio abbraccio anche a te: a giudicare da quel che ti sei ridotto a fare, sei messo proprio male. E la misericordia, poiché gratis, tutto sommato non si nega a nessuno. Neanche a un cazzaro livido che mena pugni a caso sul ring e ha l'unico talento di incarnare al meglio - per parafrasare Montanelli - il peggio degli italiani.

Ti sia lieve il tuo monumentale analfabetismo morale.