Dalle carte di Ciancimino jr nuove accuse: «Favorì l’accordo fra Stato e mafia»
FRANCESCO LA LICATA
ROMA
Ci furono diverse fasi della «trattativa» fra Stato e mafia. Una iniziale, condotta da Vito Ciancimino che «parlava» a distanza con Totò Riina, attraverso il contatto del medico-boss Nino Cinà.
In questa delicata operazione l’ex sindaco di Palermo veniva «assistito» da due consiglieri d’eccezione: l’amico Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, e il misterioso «signor Franco», uomo dei servizi che non si perdeva una sola tappa di quella inquietante vicenda. Poi la «trattativa» cambiò connotazione e personaggi, fino a giungere alla fase finale, caratterizzata dalla cattura del capo di Cosa nostra, Totò Riina, e dalla comparsa di un nuovo «mediatore» che Massimo Ciancimino - teste della Procura di Palermo - identifica nel senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri.
Questa la sintesi della montagna di carte depositate ieri nel processo sulla cosiddetta «mancata cattura di Provenzano», che vede imputati il generale Mori («non perquisì il covo di Riina per un precedente accordo con mio padre») e il colonnello Obinu. Ma non è, la «trattativa», il solo argomento trattato nei ventinove interrogatori confluiti nel dibattimento. Massimo Ciancimino, che alla fine di dicembre ha goduto di uno sconto di pena nel processo d’appello che lo vede imputato di riciclaggio, ha parlato di tangenti, di politici ed ha offerto anche una rilettura di alcuni dei grandi misteri del passato.
Ciò che colpisce di più, scorrendo le sue deposizioni, è il racconto della decennale frequentazione del padre con Bernardo Provenzano e col fantomatico «sig. Franco», di cui sostiene di non sapere l’identità ma che riconoscerebbe, se glielo mostrassero. Il famigerato «Papello» di Totò Riina, con le richieste che la mafia avanzava allo Stato per far cessare le stragi, dopo l’attentato di Capaci, Vito Ciancimino lo ricevette direttamente dall’emissario Cinà, ma immediatamente lo sottopose a Provenzano e a Franco, presenti anche quando si preparava una controproposta più accettabile della lista di Cosa nostra che lo stesso Provenzano riteneva «irricevibile» per l’enormità delle pretese.
E poi c’è la spiegazione della corrispondenza fra Provenzano e Vito Ciancimino, portata avanti con il collaudato sistema dei «pizzini» che Massimo riceveva spesso dalle mani del boss corleonese, quando il padre e l’amico latitante non riuscivano a incontrarsi per intuibili impedimenti. Chi è il «sen.» indicato su uno degli ultimi bigliettini recapitati a don Vito? Massimo, all’inizio cerca di svicolare, chiede addirittura se si può avvalere della facoltà di non rispondere, poi, costretto, dice: «E’ il sen. Dell’Utri, me lo ha detto mio padre. L’unico, secondo lui, in grado di scavalcarlo nella gestione della trattativa». E a Dell’Utri, secondo Ciancimino jr., era indirizzata la lettera minacciosa con la quale si chiedeva a Berlusconi di «mettere a disposizione una rete televisiva».
Una richiesta, «di amici di Provenzano di avere spazio, di voler dire la loro». E perché? Perché il «destinatario finale era irriconoscente, si stava scordando di certe situazioni». Il destinatario chi? «Il dott. Berlusconi». In quel pizzino si parla anche del «nuovo presidente» - secondo Massimo Ciancimino -, l’ex governatore Cuffaro in qualche modo impegnato attraverso il suo partito a «spingere» per l’amnistia, nel pizzino di Provenzano a don Vito definita «la sua sofferenza». Un lavoro politico corale rivolto a sostenere leggi favorevoli alla mafia, di cui Provenzano sembra essere addirittura il regista capace di mobilitare forze, sempre a sentire la versione del giovane Ciancimino.
Anche sull’origine dell’imprenditore Berlusconi il teste dà una versione che si intuisce faccia riferimento a soldi della mafia (Stefano Bontade ed altri) confluiti a Milano, nella seconda metà degli Anni Settanta. Ma la deposizione è interrotta da un corposo omissis. E le tangenti ai politici? Si parla di somme «consegnate da Romano Tronci all’onorevole Enrico La Loggia» (ex ministro di Forza Italia, ndr) e di 250.000 euro «personalmente consegnate al senatore Carlo Vizzini», che ha querelato Massimo Ciancimino, spiegando che quella cifra era il risultato di un precedente investimento nell’azienda del Gas del prof. Lapis. In chiusura, gli antichi misteri: Mattarella ucciso per un non meglio precisato scambio di favori tra terroristi e boss mafiosi, come spiegarono a Vito Ciancimino i soliti Provenzano e Franco.
E poi la mafia «mobilitata» «attraverso mio padre» a intervenire per «non fare liberare Aldo Moro», come da input dei vertici della Democrazia cristiana. Ma la novità più sorprendente riguarda il mistero dell’aereo caduto a Ustica. Ricorda Massimo: «Mio padre fu mobilitato dal ministro Ruffini e dai servizi e la tragedia fu motivata con un errore dell’aviazione francese che abbattè il Dc9 per errore».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201001articoli/51197girata.asp
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