Giovedì 7 gennaio il presidente americano Barack Obama si è assunto la piena responsabilità per le falle nei sistemi di sicurezza che hanno reso possibile il mancato attentato di Natale da parte di un aspirante kamikaze islamico imbarcato, senza sufficienti controlli, su un volo diretto negli Usa. "E' stato un fallimento dell'intero sistema", ha detto Obama, "la responsabilità finale è solo mia. Come presidente ho la solenne responsabilità di proteggere la nostra nazione e il nostro popolo. E ho il preciso dovere di imparare da questi errori e di correggerli per renderci piu' sicuri. Quando il sistema fallisce la responsabilità è mia".
Venerdì 8 gennaio, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, è intervenuto sulla caccia all'uomo (nero) in corso a Rosarno. La rivolta degli immigrati, ha spiegato Maroni, è "una situazione difficile, così come in altre realtà", determinata dal fatto che "in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, una immigrazione clandestina che da un lato ha alimentato la criminalità e dall'altro ha generato situazioni di forte degrado".
La differenza tra i due interventi è evidente. Obama, che è presidente da un anno, non se la prende pubblicamente con il suo predecessore. Ma, da uomo di Stato, spiega ai suoi concittadini che adesso il suo primo dovere è riparare le falle del sistema.
Nulla di sorprendente per le democrazie mature. Persino Bush, in una caso analogo, avrebbe probabilmente fatto lo stesso. Negli Usa, come in Inghilterra o in Francia, chi è stato eletto sa di essere stato scelto per tentare di risolvere i problemi e non per protestare contro le eventuali responsabilità di chi lo ha preceduto. Maroni, ma con lui il 90 per cento delle nostre classi dirigenti, si sente invece in perenne campagna elettorale. Così arriva al ridicolo.
Mentre centinaia di schiavi, pagati in nero meno di 20 euro al giorno senza che l'amministrazione dello Stato si sia mai degnata di perseguire i loro sfruttatori, sono costretti a ribellarsi il problema, secondo il ministro, è la troppa tolleranza nei confronti dell'immigrazione. Maroni cioè se la prende implicitamente con i suoi avversari politici troppo buoni con gli extra-comunitari. E dimentica che, per otto degli ultimi dieci anni, l'Italia è stata governata da una maggioranza di centro-destra di cui la Lega ha fatto parte. Una maggioranza che ha persino approvato una legge sull'immigrazione che si chiama Bossi-Fini.
Insomma il ministro parla da politico (anzi da politicante) in perenne caccia di consensi e non da uomo delle istituzioni incaricato dagli elettori di riparare le falle nel sistema. Anche se Maroni avesse ragione (e ne ha molto poca) oggi il suo compito è quello di proporre soluzioni, non quello di indicare i presunti colpevoli.
A ben vedere, però, il ministro leghista e i suoi colleghi di Casta qualche attenuante ce l'hanno. L'unico modo per arrestare questo disgustoso italico gioco allo scaricabarile è il controllo sull'operato degli eletti da parte dell'opinione pubblica. Nei sistemi normali la voce dei cittadini passa attraverso i mezzi d'informazione. Quando un Maroni qualsiasi dice castronerie del genere, sono i giornalisti, gli opinionisti e le persone che hanno la fortuna di poter parlare sui quotidiani e sulle tv, a intervenire per richiamare governanti e parlamentari ai loro doveri istituzionali. In quelli malati, come il nostro, trova invece spazio sui media (quasi) solo chi è contiguo o dipendente dalle classi dirigenti. E i ministri perdono il controllo.
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