Infatti, in quel festival di botulini e siliconi, incedeva persino Lele Mora (Luciano Moggi, altro magister elegantiarum, era passato il giorno prima in una pausa del suo processo). Ho sperato con tutto il cuore che al grande Raimondo, impegnato nell’ultimo viaggio, sia stata risparmiata la vista di quello spettacolo sguaiato, volgare, fasullo: l’esatto contrario della sua vita garbata, elegante, ironica e autoironica. L’estremo oltraggio. Vianello era, politicamente, un berlusconiano. Ma, antropologicamente e artisticamente, era l’antitesi vivente del berlusconismo. Infatti han dovuto aspettare che morisse per coinvolgerlo, ormai impotente e incolpevole, in una baracconata invereconda che ricorda il feroce episodio de “I nuovi mostri” firmato da Scola, in cui Sordi, guitto di provincia, recita l’elogio funebre del capocomico al cimitero, sul bordo della tomba, rievocandone le battute più grasse e pecorecce mentre tutt’intorno si applaude e si sghignazza. Gli storici del futuro che tenteranno di interpretare l’Italia di oggi non potranno prescindere da quelle immagini, perché difficilmente troveranno miglior reperto del nostro tempo: l’epoca dei senza pudore e dei senza vergogna.
Una bara sequestrata da un anziano miliardario squilibrato, malamente pittato da giovanotto, che si crede Napoleone e monopolizza la scena con la stessa congenita volgarità con cui, proprio un anno fa, passeggiava sui cadaveri dell’Aquila accarezzando bambini, baciando vecchie, promettendo case e dentiere nuove per tutti. Una povera vedova incerottata e distrutta dalla malattia e dal dolore esposta alle telecamere e ai megascreen mentre mormora “Raimondo, io sono qua” senza neppure il diritto di farlo sottovoce, in penombra, lontano da microfoni, occhi e orecchi invadenti, pronti a trasformare tutto in “gossip”. E, tutt’intorno, nessuno che notasse lo scempio. Nemmeno un consigliere che suggerisse al capo un po’ di raccoglimento, di compostezza, di silenzio, o gli spiegasse che ai funerali non c’è niente da ridere nè da applaudire. Men che meno ai funerali di Vianello, al quale bastava e avanzava il bellissimo necrologio bianco dettato dalla sua Sandra. “Berlusconi – scrisse un giorno Montanelli – è talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il morto”. Infatti, anche per evitare di ritrovarselo cianciante alle sue esequie, il vecchio Indro lasciò detto nelle sue ultime volontà: “Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”. Forse Berlusconi non se n’è accorto, ma ieri ha seppellito sguaiatamente l’ultimo berlusconiano elegante e ironico rimasto in circolazione. Se lo capisse, se ne preoccuperebbe più che per il divorzio da Fini. Ma, se lo capisse, non sarebbe Berlusconi.
(Il Fatto Quotidiano del 18 Aprile 2010)
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