I verbali che dimostrerebbero i falsi.
L'antica fiamma: «Mi ha candidata
senza dirmi nulla». L'avvocato della
Bresso: «Porteremo tutto al Tar»
Oltre delle polemiche politiche, ieri, è stato il giorno delle fotocopie degli atti che accusano Michele Giovine e il padre Carlo di aver falsificato le firme di 18 dei 19 candidati della lista «Pensionati per Cota». Oltre ai collaboratori dei difensori Cesare Zaccone e Roberto Bronzini, è stato concesso di riprodurre verbali e consulenza grafica all’avvocato Enrico Piovano, che ha promosso il ricorso amministrativo di fronte al Tar Piemonte per conto di Mercedes Bresso e Luigina Staunovo: «Li depositerò al tribunale amministrativo all’inizio della prossima settimana come motivi aggiuntivi del ricorso».
Il gip Anna Ricci ha disposto il giudizio immediato - che per la cronica carenza d’organici del tribunale inizierà solo il 15 dicembre - sulla base dell’«evidenza» delle prove raccolte. In primis, gli accertamenti sulle celle telefoniche agganciate dai cellulari dei due Giovine e di molti candidati della lista nei giorni - il 24 e il 25 febbraio scorsi - in cui a Miasino e Gurro, alto Piemonte, gli uni avrebbero sottoscritto le candidature alle Regionali e gli altri ne avrebbero autenticato le firme. La tecnologia li smentisce tutti. Stavano da tutt’altra parte. Michele Giovine, ad esempio, il 25 non si è mosso dal centro di Torino.
Gli stessi verbali di interrogatorio dei candidati sono diventati prove d’accusa. Lo zoccolo duro di zii e cugini dei Giovine non ha tentennato nemmeno di fronte alle contestazioni del pm Patizia Caputo. Carlo Giovanni Tirello, cugino di Carlo, sembra persino non rendersi conto: racconta che il parente va a prendere in auto a Nizza Monferrato lui e la moglie alle 15 per portarli a Miasino, sul lago d’Orta, e alle 17.30 di averli riportati a casa. Si contraddice, è evidente, e si corregge così: «Abbiamo impiegato il tempo che ci voleva». «Ho firmato al bar». Il pm: «Ai carabinieri aveva parlato di un ufficio». Lui: «Al bar o in ufficio fa lo stesso. Che la mia firma è falsa lo dice il perito». Il magistrato insiste: «Quando ha visto per l’ultima volta suo cugino?». L’altro: «Adesso. Ci ha accompagnato qui. Gli ho telefonato e gli ho detto: “Se non viene una macchina a prenderci noi non andiamo là”. Che male c’è se gliel’abbiamo detto: non siamo mica delinquenti e nostro cugino non è un estraneo». La moglie si allinea, anche se ricorda poco di quel giorno: «Avevo un forte mal di testa».
Dai verbali si apprende che Michele Giovine ha contattato i candidati e testimoni il giorno prima della convocazione in procura per chiedere loro di confermarne la versione. Ma i Trupo, padre e figli, non accettano: «Se ce l’avesse chiesto, siamo amici, avremmo firmato. Non l’ha fatto. Tanto meno siamo stati a Gurro». Valentina Pantano, un’ex fiamma di Michele, è ancora più netta: «Dal 2002 non mi occupo più di politica, non sapevo nemmeno di essere stata candidata, vivo a Milano».
I parenti restano lo zoccolo duro. Dina Martufi, cugina del consigliere regionale, premette di non essersi mai occupata di politica: «Non avevo nessuna intenzione di candidarmi in Piemonte. L’ho fatto senza rendermi conto del peso della cosa. Ho accettato per aiutare mio cugino e mio zio. La mia firma sul modulo della candidatura e quella sulla carta d’identità sono così difformi perché la prima l’ho fatta quando portavo un tutore». C’è chi ha provato a giustificare la firma diversa sostenendo «mi viene in un modo o in altro secondo l’umore» o «il forte stato emotivo di quel momento». C’è pure una zia di Sara, la fidanzata di Michele Giovine, che assicura di aver fatto, il 25 febbraio, il doppio tour: firma a Miasino e poi a Gurro, in cima al Verbano, «non so perché», e di fronte al consigliere regionale firma in piazza, «a sera tardi». Quel giorno lei, la sorella e la nipote (che era a Torino, secondo il suo telefonino) portano in Val Cannobina anche la madre classe 1923, «da 9 anni colpita dal morbo di Parkinson», e che pure, con l’aiuto di un deambulatore, a febbraio si sposta da Verona per «aiutare mia nipote». Solo la candidata più anziana, 91 anni, ammette di aver firmato a Torino: «Mio nipote mi ha portato un modulo della lista per cui lavora». Così come Rosina Trigila, zia di Giovine: «Ho firmato qui, non ho altro da aggiungere».
http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/politica/articolo/lstp/254992/
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