Traduzione: c’è il sospetto che le analisi non siano state compiute davvero, oppure siano state eseguite su campioni di mare non corrispondenti a quelli per i quali veniva concessa (o negata) la balneazione. Con ovvi rischi per la salute degli ignari bagnanti di alcune tra le più rinomate località turistiche della provincia di Napoli. Sono queste le clamorose ipotesi della Procura di Torre Annunziata che ha formulato gli avvisi di conclusa indagine per 14 tecnici del dipartimento provinciale dell’Arpac di Napoli, tra i quali il responsabile dell’unità epidemiologica e il dirigente biologo. Sono accusati di reati che vanno dal concorso in falso ideologico all’omissione d’atti d’ufficio.
Ben 161 i prelievi d’acqua ritenuti ‘taroccati’ e finiti nel mirino degli inquirenti. Sono stati realizzati tra la primavera e l’estate del 2009. I più numerosi riguardano i tratti di mare della costiera sorrentina. Ma i dubbi in qualche caso riguardano anche le risultanze delle trasferte dei battelli verso Capri e Ischia. Due capi di imputazione riguardano i ritardi dell’Arpac nell’eseguire le analisi suppletive nei tratti di mare dove il primo campionamento aveva dato esito negativo e bollino nero. Andrebbero fatte il più presto possibile e, in caso di ulteriore riscontro di inquinamento, bisognerebbe dichiarare la temporanea non balneabilità della zona. Invece le analisi-bis venivano compiute solo dopo diversi giorni.
Secondo il pm Mariangela Magariello, che ha ereditato un’inchiesta condotta dalla collega Marta Correggio, “tale ritardo non consentiva un adeguato monitoraggio sulla balneabilità delle acque”. Inoltre, avrebbe esposto i bagnanti al pericolo di continuare a immergersi in zone inquinate. L’ ‘errore’ si sarebbe ripetuto nove volte. E sempre in zone molto frequentate: la spiaggia libera di Piano di Sorrento, alcuni stabilimenti di Castellammare di Stabia, la costa tra Sant’Agnello e Punta Sant’Elia, diversi punti di Sorrento. Per tutti questi tratti di costa, trascorsi diversi giorni, le nuove analisi hanno dato esito favorevole. Ma chi ci dice che in quell’intervallo di tempo le acque non fossero ancora non ‘balneabili’?
L’indagine è stata avviata nel luglio del 2009 con lo scopo di scoprire le cause dell’inquinamento marino in provincia di Napoli e individuare i responsabili degli scarichi abusivi e del cattivo trattamento delle acque reflue. Lo spunto dell’apertura del fascicolo nacque da un’intervista dell’oceanografo Giancarlo Spezie, che dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno consigliava “di evitare di farsi il bagno nel Golfo di Napoli”, definendo inadeguato il sistema dei controlli. Fu un’estate terribile, trascorsa tra depuratori ‘esplosi’ e liquami che finivano direttamente in mare, coi turisti in fuga dalle spiagge. Il procuratore capo Diego Marmo acquisì agli atti l’articolo e convocò il professore Spezie per mettere a verbale le sue osservazioni.
In seguito la Procura ha affidato allo stesso Spezie e all’ecologo marino Vincenzo Saggiomo l’incarico di supervisionare i prelievi, in collaborazione con il dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Napoli e l’area monitoraggio della stazione zoologica Dohrn. E’ emersa così la vicenda di analisi ritenute inattendibili e forse truccate. Come nel caso delle schede tecniche dei campionamenti Arpac del 17 luglio 2009. In questa data sarebbero state eseguite le analisi in due punti del mare di Castellammare di Stabia e in dieci punti tra Sorrento e Massa Lubrense. Peccato che l’unico battello operante quel giorno si trovasse da tutt’altra parte, impiegato – scrive il pm – “nello svolgimento della missione Capri”.
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