giovedì 10 febbraio 2011

Blitz intercettazioni, ma Giorgio Napolitano chiude la porta.


Il premier: "Farò causa allo Stato, oggi vado al Quirinale". Il Colle: "Non previsto"

Il castello di Tor Crescenza

È una guerra totale, una controffensiva ad ampio raggio contro quella Procura di Milano che ancora una volta ieri lo ha chiamato alla sbarra con rito immediato. Come prima risposta alla magistratura, il Caimano oggi sarebbe voluto salire al Quirinale per fare un’indebita quanto feroce pressione sul capo dello Stato, nella sua veste di presidente del Csm, per ottenere il via libera su un decreto di stampo golpista sulle intercettazioni in modo da mettere un bavaglio definitivo ai giudici di Milano e di Roma definiti, con uno slogan degno dei tempi del terrorismo, “un’avanguardia politica rivoluzionaria”. Il Colle ha respinto il tentativo prima ancora che la richiesta ufficiale fosse formulata dalla Presidenza del Consiglio, lasciando Berlusconi senza la possibilità di compiere un colpo di mano.

Ma il Cavaliere è ben lontano dall’alzare bandiera bianca. Non è affatto detto, infatti, che l’ipotesi del decreto sulle intercettazioni non torni ad affacciarsi in un Consiglio dei ministri straordinario che potrebbe essere convocato a sorpresa, ma il messaggio del Colle non lascia adito a dubbi: se anche dovesse arrivare, Napolitano non lo firmerebbe. Però lui ci proverà comunque, perché ormai non ha più nulla da perdere.

La guerra ai giudici, comunque, adesso è stata ufficialmente dichiarata. In un consiglio di guerra convocato di fretta ieri dopo aver lanciato parole pesanti contro i pm di Milano, classificati “eversivi”, colpevoli di indagini “vergognose, uno schifo!”, che incardinano processi “farsa” tali da far venire voglia di “denunciare lo Stato”, Silvio Berlusconi ha anche pensato di denunciare i giudici di Milano in base all’articolo 289 del codice penale per attentato agli organi costituzionali. E quando Gianni Letta, tra le altre cose, gli ha fatto notare la gravità del gesto con annesse conseguenze, Silvio ha gelato tutti con una risposta secca: “Allora lo farò da privato cittadino; ci vogliono far cadere, dobbiamo reagire in ogni modo”.

Il blocco alle intercettazioni, il bavaglio alla magistratura, resta dunque all’apice dei suoi pensieri. E il perché risiede tutto nel terrore di Berlusconi che le tante, ormai troppe, ex arcorine in libera uscita possano essere intercettate ancora dai giudici svelando quant’altro possibile sul suo privato. Ma soprattutto, a turbare i sonni del Cavaliere ci sono quelle notizie che da giorni rimbalzano nei Palazzi della politica romana e che danno per imminente l’apertura di una nuova branca dell’inchiesta da parte della Procura di Roma relativa al periodo primavera-estate 2010, l’estate romana di Silvio, quando le mura di Palazzo Grazioli e i torrioni del castello romano di Tor Crescenza sono stati teatro di feste e cene con ospiti amici di sempre del Cavaliere, da Tarak Ben Ammar al direttore generale della Rai Masi passando per il direttore del Tg1 Augusto Minzolini; un’indagine molto temuta nel Pdl che con il tentato golpe del decreto intercettazioni ha inteso in qualche modo prevenire nuovi e più pesanti disastri.

Dal consiglio di guerra è uscito comunque un documento politico pesantissimo, dove i magistrati vengono definiti appunto “avanguardia politica rivoluzionaria in sfregio al popolo sovrano e ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato”. A giudizio del Cavaliere e dei suoi più stretti sodali, la decisione dei pm di Milano di chiedere il giudizio immediato denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche”, fa venir meno i “contrappesi dei rapporti tra poteri dello Stato attraverso l’applicazione arbitraria dell’azione penale” nel segno di una “giurisprudenza creativa che ha dilatato a dismisura l’autonomia della magistratura”. Giudici comunque considerati alla stregua di un potere realmente eversivo, capace di “azioni spregiudicate” tali da mettere a repentaglio i principi della “stessa democrazia”: ‘No a un nuovo ’94’ è lo slogan finale del delirio.

Il delirio di B. è comunque appena agli inizi. Nel conclave bellico di Palazzo Grazioli si è anche pianificata la strategia per sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale superando il muro dell’ufficio di presidenza della Camera in cui il Pdl non ha la maggioranza e che respingerebbe la richiesta. Gli avvocati del premier hanno pensato di far presentare alla giunta per le elezioni il documento di richiesta da sottoporre all’aula, in modo di arrivare a un voto positivo entro una quindicina di giorni, anche tenendo conto dell’eventuale – anzi più che certa – contrarietà del presidente dalla Camera e quindi di un necessario passaggio della richiesta alla giunta per il regolamento. Un meccanismo molto farraginoso che, comunque, investirebbe rapidamente la Corte della decisione riguardo al conflitto e che, a detta degli uomini Pdl, servirebbe comunque a rallentare il processo. Ma non a fermarlo. Quello che attende Berlusconi nelle prossime settimane, comunque, è un vero campo minato: il 28 ripartirà il processoMediaset, il 5 marzo ci sarà una nuova udienza per Mediatrade ma, soprattutto, l’11 marzo ripartirà il processo Mills. E lui non ha più lo scudo del legittimo impedimento. La guerra che lui stesso ha dichiarato potrebbe vederlo presto vittima più che carnefice.



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