Decine di miliardi di vecchie lire: quello che negli anni Settanta era un vero tesoro, pari a centinaia di milioni di euro odierni. E' l'investimento che una cordata di mafiosi palermitani avrebbe affidato allora a Silvio Berlusconi: denaro raccolto con i proventi del narcotraffico. In prima fila in questa operazione ci sarebbe stato Stefano Bontate. Assieme a lui, un pool di altri boss avrebbe consegnato pacchi di milioni di lire al fondatore dell'Edilnord. Boss sterminati nella spietata guerra lanciata dai killer corleonesi di Totò Riina all'inizio degli anni Ottanta. Tutti morti, tranne uno. Almeno a dare fiducia alle ultimissime dichiarazioni di Giovanni Brusca: uno dei presunti finanziatori di Berlusconi sarebbe ancora vivo. E libero, perché è anche l'unico mafioso che ha ottenuto la revisione del celebre maxiprocesso.
Il nome messo a verbale da Brusca lo scorso 25 novembre è quello di Giovannello Greco, un sopravvissuto: scampato alla strage corleonese, fuggito in Spagna, arrestato 16 anni dopo e poi tornato in libertà grazie alla revisione della condanna definitiva. A 14 anni dal suo arresto si è scoperto che Brusca aveva custodito nel silenzio molte conoscenze. A partire dalla storia del presunto tesoro mafioso affidato a Berlusconi.
Il racconto – scrive l'Espresso nel numero in edicola domani - messo nero su bianco negli ultimi mesi secondo gli inquirenti è importante perché descrive nel dettaglio tutti i tentativi da parte dei boss di recuperare il capitale consegnato all'imprenditore milanese.
Brusca sostiene che ogni anno il Cavaliere avrebbe pagato 600 milioni di lire ai finanziatori siciliani. Poi la guerra corleonese tra il 1981 e il 1982 ha falcidiato Bontate e il suo gruppo, facendo interrompere i rapporti.
Oggi Brusca ha fornito nuovi racconti sui boss che negli anni Settanta avrebbero puntato sul Cavaliere. Tra loro ci sarebbe stato Pietro Marchese, ucciso in carcere nel 1982. E soprattutto Giovannello Greco, un fedelissimo di Bontate, accusato di aver commesso numerosi omicidi: uno dei pochi uomini del padrino palermitano sopravvissuto alla mattanza corleonese. Brusca racconta come Greco riuscì a spiazzare i sicari di Riina con un'azione improvvisa: sarebbe piombato nell'abitazione del mafioso Gaetano Cinà, amico di Dell'Utri e in quel momento alleato dei corleonesi. «Giovannello Greco torna da dove si trovava e fa una specie di sorpresa a questo Cinà, per recuperare i soldi». Cinà, secondo Brusca, è l'uomo che all'epoca poteva arrivare direttamente al braccio destro del Cavaliere. E tramite questo canale sarebbe riuscito a farsi riconsegnare la sua quota dell'investimento. Fuggito dalla Sicilia dopo la morte del suo capomafia, Giovannello Greco è stato arrestato dopo 16 anni di latitanza a Ibiza e – dopo una lunga resistenza all'estradizione – ha poi accettato di tornare in carcere in Italia. Nel 2001 Gaetano Grado, un altro degli alleati di Bontate che secondo i pentiti frequentava Arcore, ha deciso di collaborare e si è autoaccusato dell'unico tentato omicidio per cui Greco era stato condannato nel maxiprocesso.
Su questa base Greco ha ottenuto la revisione della sentenza, con l'assoluzione riconosciuta dalla Corte d'appello di Catania. Dopo avere scontato un'altra pena per associazione mafiosa, oggi Giovannello è libero e vive lontano dalla Sicilia insieme alla moglie e alle figlie.
Il nome messo a verbale da Brusca lo scorso 25 novembre è quello di Giovannello Greco, un sopravvissuto: scampato alla strage corleonese, fuggito in Spagna, arrestato 16 anni dopo e poi tornato in libertà grazie alla revisione della condanna definitiva. A 14 anni dal suo arresto si è scoperto che Brusca aveva custodito nel silenzio molte conoscenze. A partire dalla storia del presunto tesoro mafioso affidato a Berlusconi.
Il racconto – scrive l'Espresso nel numero in edicola domani - messo nero su bianco negli ultimi mesi secondo gli inquirenti è importante perché descrive nel dettaglio tutti i tentativi da parte dei boss di recuperare il capitale consegnato all'imprenditore milanese.
Brusca sostiene che ogni anno il Cavaliere avrebbe pagato 600 milioni di lire ai finanziatori siciliani. Poi la guerra corleonese tra il 1981 e il 1982 ha falcidiato Bontate e il suo gruppo, facendo interrompere i rapporti.
Oggi Brusca ha fornito nuovi racconti sui boss che negli anni Settanta avrebbero puntato sul Cavaliere. Tra loro ci sarebbe stato Pietro Marchese, ucciso in carcere nel 1982. E soprattutto Giovannello Greco, un fedelissimo di Bontate, accusato di aver commesso numerosi omicidi: uno dei pochi uomini del padrino palermitano sopravvissuto alla mattanza corleonese. Brusca racconta come Greco riuscì a spiazzare i sicari di Riina con un'azione improvvisa: sarebbe piombato nell'abitazione del mafioso Gaetano Cinà, amico di Dell'Utri e in quel momento alleato dei corleonesi. «Giovannello Greco torna da dove si trovava e fa una specie di sorpresa a questo Cinà, per recuperare i soldi». Cinà, secondo Brusca, è l'uomo che all'epoca poteva arrivare direttamente al braccio destro del Cavaliere. E tramite questo canale sarebbe riuscito a farsi riconsegnare la sua quota dell'investimento. Fuggito dalla Sicilia dopo la morte del suo capomafia, Giovannello Greco è stato arrestato dopo 16 anni di latitanza a Ibiza e – dopo una lunga resistenza all'estradizione – ha poi accettato di tornare in carcere in Italia. Nel 2001 Gaetano Grado, un altro degli alleati di Bontate che secondo i pentiti frequentava Arcore, ha deciso di collaborare e si è autoaccusato dell'unico tentato omicidio per cui Greco era stato condannato nel maxiprocesso.
Su questa base Greco ha ottenuto la revisione della sentenza, con l'assoluzione riconosciuta dalla Corte d'appello di Catania. Dopo avere scontato un'altra pena per associazione mafiosa, oggi Giovannello è libero e vive lontano dalla Sicilia insieme alla moglie e alle figlie.
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