Chi mi legge sa cosa ho sempre pensato di Silvio Berlusconi e del suo governo; bene, ora ce ne siamo liberati, ma a che prezzo? Il discredito internazionale dell’Italia e la possibile rovina del paese: troppo, anche per un antiberlusconiano della prima ora.
Avevano un bel dire Rosy Bindi e Susanna Camusso, invitate a Ballarò, che il governo è caduto per un voto parlamentare. Non è vero: è caduto perché era divenuto impresentabile per i nostri partner europei, costretti a finanziare il nostro debito pubblico, e soprattutto per i mercati finanziari, che attaccavano noi, e non altri, perché da anni il Cavaliere non governava più. Ma fosse stato per la politica, ce lo saremmo tenuti sino al 2013, se non oltre.
L’unica via di uscita onorevole è stata indicata subito da Giorgio Napolitano: un accordo politico alto fra i maggiori partiti, la formazione di un governo politico di salvezza nazionale, con dentro i leader dei partiti maggiori, benché presieduto da un tecnico autorevole e gradito ai mercati. È bastata l’indicazione di un nuovo Presidente del Consiglio, diffusa irritualmente dal Presidente della Repubblica nominando senatore a vita Mario Monti, per fare calare di cento punti lo spread con i titoli tedeschi e farci risparmiare miliardi di debito. Ma fra l’indicazione lungimirante di Napolitano e il governo tecnico che sembra profilarsi, l’unica cosa comune sembra il nome di Monti.
Se si fosse formato un esecutivo con gli esponenti più autorevoli dei due schieramenti – e ce ne sono ancora, in entrambi – ci saremmo presentati all’Europa con un volto infinitamente più credibile. Invece, questa prospettiva è stata sabotata anzitutto dalla destra: da Berlusconi, interessato solo ad avere garanzie per sé e per le sue aziende, e da Umberto Bossi, pronto a gettarsi nelle praterie dell’antipolitica e della secessione. Ma la sinistra non è stata da meno, quanto a disinteresse; sin dal primo momento ha fatto pesare che tutti i sondaggi la danno in testa di almeno dieci punti, e che rinunciando alle elezioni rinunciava a una sicura vittoria elettorale: come se questo non fosse un suo preciso dovere, di fronte alla possibile rovina del paese.
Quel che rischia di uscirne, così, è un governo non politico ma tecnico, tecnicissimo, formato quasi esclusivamente di professori universitari e di alti funzionari dello Stato: un esecutivo figlio di nessuno che, per programma e durata, dipenderà mani e piedi dagli umori e dai veti incrociati degli opposti schieramenti, ugualmente refrattari a prendersi le proprie responsabilità e a pagarne il prezzo elettorale. Ma non si dica, se questa sarà la soluzione, che la democrazia e i politici italiani sono stati commissariati dall’Europa: si sono commissariati da soli, perdendo l’ultima occasione per riscattarsi.
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