Il ministro della Giustizia Paola Severino ha azzerato in un solo giorno i vertici dell'amministrazione penitenziaria a Bologna e la Procura ha aperto un fascicolo. Secondo gli ispettori del ministero tutti sapevano, ma non hanno mai denunciato cosa avveniva dentro al Pratello.
Di quei tre anni passati nel carcere è rimasta solo una cicatrice sul viso, uno sfregio guadagnato a 17 anni dopo un regolamento di conti tra detenuti. Oggi Aldo, ex adolescente rinchiuso nell’istituto minorile di Bologna, ricorda quell’episodio con distacco, come uno dei tanti che ogni giorno scandivano la vita dei giovani nella struttura. Risse, angherie, scherzi che sfociavano in prepotenze e scene del peggior bullismo. Una realtà con cui ha dovuto convivere dal 2007 al 2010, e che non è mai trapelata fuori dalle mura di quell’edificio a due passi dalla centro città. Fino all’ispezione ordinata a dicembre dal ministero della Giustizia, che ha azzerato i vertici dell’amministrazione carceraria minorile a Bologna, tutto è rimasto nascosto.
Non una denuncia né una parola che raccontasse quale difficile mondo fossero costretti ad affrontare ogni giorno i ragazzi. Un quadro a tinte fosche, in parte già raccontato dagli ispettori mandati dal ministro Paola Severino, su cui ora proverà a far luce anche un’inchiesta avviata dalla procura. E che ogni giorno si arricchisce di nuove storie di violenze. Come quella di Aldo raccolta dal fattoquotidiano.it.
“I litigi molte volte avvenivano all’insaputa degli agenti, ce la sbrigavamo fra noi – spiega il giovane al telefono – Funzionava così: il pesce piccolo veniva mangiato dal pesce più grosso. In altre parole, vinceva sempre il più forte”. Detenuto per tentato omicidio, furti vari e rapina a mano armata, Aldo rimane al Pratello di Bologna per tre anni: “Non sempre c’era un motivo alla base delle violenze. Basta che un giorno un ragazzo si alzi col piede storto. È bullismo, ti mettono alla prova.”. E via con le prepotenze: “Sparivano i vestiti. Altre volte erano gli altri detenuti che ti obbligavano a darglieli, e se non lo facevi rischiavi che ti spaccassero la faccia durante l’ora d’aria. Era fastidioso perché ti prendevi un provvedimento disciplinare o una denuncia per cosa? Un paio di pantaloni”. Motivi futili, ma quando si è dentro, ammette ancora, si è costretti a reagire. “Se stai zitto tutti gli altri ragazzi ti prendono di mira, perché diventi il pollo della situazione”. E si rischia grosso. “A me è stata tagliata la faccia con una lametta, perché volevano che i miei compagni di cella lavassero i pantaloni a un capo della gang. Ho reagito, e se non l’avessi fatto magari mi avrebbero tagliato anche la gola. Non sapevi mai quello che poteva succederti”.
Aldo rivela poi i trucchi per procurarsi le armi. “Venivano create rompendo dei termosifoni e affilando i pezzi. Ne uscivano vere e proprie lame. Oppure venivano rotti i sanitari: la porcellana è micidiale”. E quelli che lui chiama “giochi” appaiono come delle punizioni tra detneuti al limite della tortura. “Il più comune era il gioco della “bicicletta”: quando dormivi ti mettevano la carta tra le dita dei piedi e poi le davano fuoco”.
Ma le violenze non erano solo tra i ragazzi o tra le diverse bande del carcere. “Spesso i detenuti si credevano così potenti da alzar le mani anche contro gli agenti. Ma in tre anni non ho mai visto un poliziotto alzare le mani su uno di noi”. Mentre per quanto riguarda eventuali casi di violenze sessuali, Aldo nega: “Non ne ho mai sentito parlare. Ovviamente io non sono più lì dentro e non posso sapere, ma a meno che non sia cambiato il personale, non credo sia successo”.
Il racconto di Aldo conferma in parte ciò che è già emerso dalle indagini del ministero della Giustizia. Nella relazione finale dell’ispettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, mandato il 6 dicembre scorso, si parla di quattro tentativi di suicidio, un presunto abuso sessuale nei confronti di un ragazzo di quindici anni da parte di altri detenuti, risse, agenti della polizia penitenziaria percossi, estorsioni, incendi, danneggiamenti e lesioni. Ma anche di punizioni sopra le righe, manette usate impropriamente, scappellotti ai ragazzi detenuti e un uso eccessivo della cella di isolamento, a volte utilizzata dopo aver smontato la finestra, per lasciare i giovani al freddo.
I reati sarebbero stati annotati nel registro disciplinare della struttura ma mai comunicati all’autorità giudiziaria. Per questo motivo il ministro Paola Severino ha già rimosso dai loro incarichi Lorenzo Roccaro, direttore del carcere del Pratello, di Giuseppe Centomani, direttore del Centro giustizia minorile di Bologna, e di Aurelio Morgillo, comandante della polizia penitenziaria. Mentre la procura di Bologna, su segnalazione del procuratore capo dei minori, Ugo Pastore, ha aperto un fascicolo (per ora non risultano indagati) per omissione di rapporto.
Gli incarichi ora sono stati affidati a Paolo Attardo, che assumerà ad interim la guida del Centro di giustizia minorile di Bologna, a Francesco Pellegrino, nuovo direttore del Pratello e ad Alfio Bosco, capo della polizia penitenziaria.
Non una denuncia né una parola che raccontasse quale difficile mondo fossero costretti ad affrontare ogni giorno i ragazzi. Un quadro a tinte fosche, in parte già raccontato dagli ispettori mandati dal ministro Paola Severino, su cui ora proverà a far luce anche un’inchiesta avviata dalla procura. E che ogni giorno si arricchisce di nuove storie di violenze. Come quella di Aldo raccolta dal fattoquotidiano.it.
“I litigi molte volte avvenivano all’insaputa degli agenti, ce la sbrigavamo fra noi – spiega il giovane al telefono – Funzionava così: il pesce piccolo veniva mangiato dal pesce più grosso. In altre parole, vinceva sempre il più forte”. Detenuto per tentato omicidio, furti vari e rapina a mano armata, Aldo rimane al Pratello di Bologna per tre anni: “Non sempre c’era un motivo alla base delle violenze. Basta che un giorno un ragazzo si alzi col piede storto. È bullismo, ti mettono alla prova.”. E via con le prepotenze: “Sparivano i vestiti. Altre volte erano gli altri detenuti che ti obbligavano a darglieli, e se non lo facevi rischiavi che ti spaccassero la faccia durante l’ora d’aria. Era fastidioso perché ti prendevi un provvedimento disciplinare o una denuncia per cosa? Un paio di pantaloni”. Motivi futili, ma quando si è dentro, ammette ancora, si è costretti a reagire. “Se stai zitto tutti gli altri ragazzi ti prendono di mira, perché diventi il pollo della situazione”. E si rischia grosso. “A me è stata tagliata la faccia con una lametta, perché volevano che i miei compagni di cella lavassero i pantaloni a un capo della gang. Ho reagito, e se non l’avessi fatto magari mi avrebbero tagliato anche la gola. Non sapevi mai quello che poteva succederti”.
Aldo rivela poi i trucchi per procurarsi le armi. “Venivano create rompendo dei termosifoni e affilando i pezzi. Ne uscivano vere e proprie lame. Oppure venivano rotti i sanitari: la porcellana è micidiale”. E quelli che lui chiama “giochi” appaiono come delle punizioni tra detneuti al limite della tortura. “Il più comune era il gioco della “bicicletta”: quando dormivi ti mettevano la carta tra le dita dei piedi e poi le davano fuoco”.
Ma le violenze non erano solo tra i ragazzi o tra le diverse bande del carcere. “Spesso i detenuti si credevano così potenti da alzar le mani anche contro gli agenti. Ma in tre anni non ho mai visto un poliziotto alzare le mani su uno di noi”. Mentre per quanto riguarda eventuali casi di violenze sessuali, Aldo nega: “Non ne ho mai sentito parlare. Ovviamente io non sono più lì dentro e non posso sapere, ma a meno che non sia cambiato il personale, non credo sia successo”.
Il racconto di Aldo conferma in parte ciò che è già emerso dalle indagini del ministero della Giustizia. Nella relazione finale dell’ispettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, mandato il 6 dicembre scorso, si parla di quattro tentativi di suicidio, un presunto abuso sessuale nei confronti di un ragazzo di quindici anni da parte di altri detenuti, risse, agenti della polizia penitenziaria percossi, estorsioni, incendi, danneggiamenti e lesioni. Ma anche di punizioni sopra le righe, manette usate impropriamente, scappellotti ai ragazzi detenuti e un uso eccessivo della cella di isolamento, a volte utilizzata dopo aver smontato la finestra, per lasciare i giovani al freddo.
I reati sarebbero stati annotati nel registro disciplinare della struttura ma mai comunicati all’autorità giudiziaria. Per questo motivo il ministro Paola Severino ha già rimosso dai loro incarichi Lorenzo Roccaro, direttore del carcere del Pratello, di Giuseppe Centomani, direttore del Centro giustizia minorile di Bologna, e di Aurelio Morgillo, comandante della polizia penitenziaria. Mentre la procura di Bologna, su segnalazione del procuratore capo dei minori, Ugo Pastore, ha aperto un fascicolo (per ora non risultano indagati) per omissione di rapporto.
Gli incarichi ora sono stati affidati a Paolo Attardo, che assumerà ad interim la guida del Centro di giustizia minorile di Bologna, a Francesco Pellegrino, nuovo direttore del Pratello e ad Alfio Bosco, capo della polizia penitenziaria.
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