«Ogni volta che gli italiani hanno provato a decidere del proprio destino, gli inglesi sono intervenuti». Lo afferma l’editore Chiarelettere presentando “Il golpe inglese”, libro-inchiesta di Mario Josè Cereghino e Giovanni Fasanella che illumina imbarazzanti retroscena sull’influenza britannica nella storia del Belpaese, fin dalla nascita dello Stato unitario nel 1861. Tra le ombre più inquietanti, la tragica fine di Enrico Mattei e quella di Aldo Moro, personaggi-chiave dell’emancipazione politica italiana. «Dai documenti desecretati, che i due autori hanno consultato negli archivi londinesi di Kew Gardens – continua l’editore – emerge con chiarezza che non è Washington a ordire piani eversivi per l’Italia, ma soprattutto Londra, che non vuol perdere il controllo delle rotte petrolifere e contrasta la politica filoaraba e terzomondista di Mattei, Gronchi, Moro e Fanfani».
Per gli inglesi anche i comunisti italiani erano un’ossessione, tanto da contrastarli con ogni mezzo: persino arruolando schiere di giornalisti, intellettuali e politici destinati a “orientare” l’opinione pubblica e il voto degli italiani. Lo dimostra l’attività di un apposito dipartimento del Foreign Office, che lavorava proprio a questo obiettivo. «Finché si arriva al 1976, l’anno che apre al Pci le porte del governo, e a Londra progettano un golpe. Ma l’ipotesi viene alla fine scartata a favore di un’altra “azione sovversiva”: si scatena così un’ondata terroristica che culmina nell’assassinio di Aldo Moro». Dalla nascita dello Stato unitario in poi, conferma Fasanella dal blog di Beppe Grillo, l’Inghilterra ha sempre avuto un ruolo fondamentale nelle nostre vicende politiche interne e in tutti i passaggi cruciali della storia italiana. Persino in tragici fatti di sangue, come l’omicidio di Giacomo Matteotti.
Per Fasanella, la longa manus di Londra è pressoché onnipresente: quando Mussolini e il fascismo presero il potere grazie anche all’appoggio dei conservatori inglesi, poi durante il ventennio «controllando e condizionando le scelte di una parte, quella più anglofila del regime», e infine al momento della caduta poi di Mussolini, «organizzando il colpo di stato del 25 luglio». Determinante l’impronta inglese «durante la guerra, nella lotta contro i nazisti e la Repubblica sociale», e poi anche nel dopoguerra: «Durante l’intero arco della Guerra Fredda, e anche dopo, c’è lo zampino inglese», persino «in molte delle vicende che hanno segnato la storia italiana dell’ultimo ventennio», con l’ingresso nella cosiddetta “seconda repubblica”, il passaggio all’euro e l’era berlusconiana.
«Nel corso dei 150 anni di storia unitaria – afferma Fasanella – gli inglesi hanno costruito delle loro quinte colonne interne, attraverso le quali hanno condizionato il corso della politica italiana». Per l’autore de “Il golpe inglese”, i britannici «avevano un’influenza enorme nel mondo dell’informazione, nel mondo della cultura e dell’industria editoriale, della diplomazia, degli apparati, quindi dentro le nostre forze armate e gli stessi servizi segreti italiani», e addirittura «nelle organizzazioni sindacali, nella politica italiana». In tutti questi ambienti, secondo Fasanella, «gli inglesi avevano costruito una sorta di loro partito che in qualche modo ubbidiva agli ordini di Londra o comunque era particolarmente sensibile agli input che partivano dalla Gran Bretagna».
Non sono mancate fasi segnate da aspri conflitti tra Italia e Gran Bretagna: «E’ successo tutte le volte che l’Italia ha tentato di emanciparsi dai vincoli che derivavano dall’esito della Seconda Guerra Mondiale, perché per i britannici, a differenza degli americani, l’Italia non era un paese che si era liberato dal nazi-fascismo combattendo al fianco degli eserciti alleati, ma era un paese sconfitto in guerra e quindi soggetto alle leggi dei paesi vincitori». Secondo la dottrina britannica, elaborata da Churchill già nella fase finale delsecondo conflitto mondiale, c’erano tre cose che l’Italia non poteva assolutamente fare: dotarsi di un sistema realmente democratico, autogestire la propria sicurezza e dispiegare una propria politica estera autonoma.
Il primo veto, quello sulla “democrazia bloccata”, derivava dalla presenza in Italia del Pci, il partito comunista più forte dell’Occidente. Ma si inglesi, rivela sempre Fasanella, non intendevano lasciare che Roma badasse da sola alla propria sicurezza. E soprattutto, Churchill non tollerava l’idea che l’Italia potesse sviluppare una politica estera indipendente, basata cioè sulla esclusiva tutela dell’interesse nazionale. «Ogni mossa di politica estera del nostro governo doveva essere concordata con gli inglesi e avere il visto britannico», afferma Fasanella, che ricorda: «Quando l’Italia, nel tentativo di emanciparsi da questa condizione di dipendenza, ha tentato di bypassare quelle regole, sono nati i conflitti più duri con gli inglesi».
Fra i tanti personaggi della politica italiana del Secondo Dopoguerra che hanno incarnato un’idea nazionale dell’Italia, cioè di un paese allineato con la Nato ma propiettato nel suo ambito naturale, quello del Mediterraneo, spiccano soprattutto due nomi: quelli di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni, e quello di Aldo Moro, l’uomo delle larghe intese col Pci di Berlinguer. Attraverso la sua politica energetica spregiudicata e coraggiosa, l’ex partigiano Mattei contribuì a fare dell’Italia una delle potenze economiche mondiali, e Moro può essere considerato il suo successore, sul piano politico. «Entrambi erano considerati dai britannici dei nemici mortali, dei nemici degli interessi inglesi da eliminare con ogni mezzo», scrive Fasanella. Mattei morì in un incidente aereo provocato da un sabotaggio e sedici anni dopo Moro morì assassinato dalle Brigate Rosse.
America e Inghilterra, continua l’autore de “Il golpe inglese”, non avevano la stessa visione del problema italiano: «Per gli americani eravamo il paese in cui sviluppare il sistema democratico, per gli inglesi invece il sistema democratico doveva rimanere un sistema sostanzialmente chiuso». In passaggi delicati della nostra storia, anche drammatici come quelli a cavallo tra il ‘69 e il 1970, quando Junio Valerio Borghese «progettava con l’aiuto inglese un colpo di stato in Italia», gli americani si opposero. E la stessa cosa, dice ancora Fasanella, gli americani fecero quando nella seconda metà degli anni ‘70, si pose il problema dell’ingresso del partito comunista nel governo italiano: «Per gli americani il problema poteva essere superato limitando all’Italia la possibilità di accesso ai segreti Nato più sensibili, per l’Inghilterra invece il problema doveva essere risolto in modo più radicale».
Fu Londra, rivela Fasanella, a tagliare la strada alla sinistra italiana che – al prezzo di continui “strappi” ideologici – stava diventando riformista. Un processo di crescente partecipazione democratica, che andava fermato a tutti i costi, «addirittura attraverso un golpe, che gli inglesi avevano progettato e organizzato nei minimi particolari per un anno intero». Poi però cambiarono idea e lasciarono cadere il progetto del colpo di Stato, come confermano gli stessi documenti desecretati della diplomazia britannica. Ma fu solo un cambio tattico, non strategico: «Il governo inglese optò per, parole testuali, l’appoggio a una diversa azione eversiva».
(Il libro: Mario Josè Cereghinon e Giovanni Fasanella, “Il golpe inglese”, editore Chiarelettere, 354 pagine, acquistabile anche on-line dal blog di Beppe Grillo).
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