Incarichi di prestigio alla moglie, consulenze d'oro al figlio, occupazione militare degli organi d'ateneo: ecco come, grazie alla legge Gelmini, il numero uno dell'ateneo di Lecce era diventato un padre padrone. Ispezioni ministeriali, azioni parlamentari e inchieste della Procura hanno scoperto il 'sistema'.
Alla moglie gli incarichi di prestigio, allo studio del figlio le consulenze d’oro. Ai sindacalisti da addomesticare la benedizione all’avanzamento di carriera, a quello da punire la denuncia per “uso privato del telefono”. Di mezzo, un gioco a scacchi minuzioso, per occupare con propri alfieri e proprie pedine le caselle più strategiche, con il risultato di azzoppare le più elementari regole di democrazia. Il tutto, quasi sempre, a norma di legge, quella Gelmini, della cui deriva l’Università del Salento è diventata l’emblema. Per renderlo chiarissimo, oltre che per minare alle fondamenta l’ateneo leccese, è bastato un mese di terremoto, inaugurato dalla richiesta di ispezione ministeriale avanzata da cinquantacinque parlamentari e culminato con le dimissioni, ritirate poi a sorpresa, del direttore generale Emilio Miccolis.
Scosse continue che hanno avvelenato il clima di Lecce, tanto da far lievitare a nove i fascicoli aperti in Procura. L’ultimo esposto, forse il più scottante, è arrivato nelle scorse ore sulla scrivania del sostituto Paola Guglielmi. Nell’inchiesta ci sono finiti incarichi e consulenze, che svelano un presunto conflitto d’interessi che travolge direttamente il rettore Domenico Laforgia. Nel 2011, infatti, il Cda dell’Ateneo ha autorizzato richieste all’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l’Innovazione, al fine di ottenere contributi pari a 53mila euro, alcuni dei quali tradotti in incarichi allo ‘Studio Laforgia, Bruni and partners’. A chi fa capo? Alla stessa famiglia del rettore, che all’epoca dei fatti, in qualità di socio fondatore, deteneva il 50% delle quote, donate, solo nel giugno scorso, al figlio Maurizio, ora amministratore unico. Ma, al di là dell’inchiesta, la saga del familismo s’allarga. Almeno sei atti confermano la moglie del rettore, Patrizia Guida, come referente per accordi con associazioni e una cooperativa. Nomine non onerose, ma comunque di pregio. Formalmente legittime, probabilmente inopportune, visto che lei già ricopre, contemporaneamente, i ruoli di ricercatrice presso la facoltà di Lingue, di vicedirettrice del Centro Linguistico d’Ateneo, di direttrice della Scuola d’italiano per stranieri, di responsabile del coordinamento redazionale de Il Bollettino, la rivista mensile, di cui il marito è direttore editoriale.
Che tutto sia stato possibile, finora nel silenzio quasi generale, tuttavia, non è un caso. Almeno settanta registrazioni audio depositate in procura testimonierebbero il metodo, a dir poco discutibile, adottato dall’ex braccio destro del rettore, Emilio Miccolis, per provare a mettere a tacere le minoranze sindacali. Lusinghe e promesse in cambio della non belligeranza, dell’inciucio. Nell’Università del Salento, però, vige anche un sistema di ‘maggioranze blindate’, figlio di un’esasperazione della riforma Gelmini, che trova somiglianze a Catania, dove i margini di discrezionalità del Magnifico diventano abnormi in caso di azione disciplinare.
A Lecce, lo Statuto d’Ateneo non ha fatto altro che portare alle estreme conseguenze quel dettato della legge 240/2010 che prevede che i componenti del Cda siano “designati o scelti”. Nel Salento, infatti, sono sì nominati dal Senato Accademico, ma sulla base di una “rosa di candidati proposta dal Rettore”, che individua quei nomi in maniera insindacabile, segreta e immotivata. Una disposizione che vale quanto un cavallo di Troia nella distorsione dell’intero sistema di governo democratico dell’ateneo. Il Cda, a sua volta, nomina tre su cinque componenti del Consiglio di amministrazione della Fondazione dell’Università. Tre su cinque. E per decisioni che possono essere assunte a maggioranza semplice, cooptata ‘a monte’ e agevolata dalla previsione che in quello stesso organo debba sedere pure il prorettore e che a presiedere la Fondazione debba essere lo stesso rettore. Il gioco è fatto e non è per niente un gioco da poco. Alla Fondazione sono state demandate attività fondamentali, come l’edilizia, con appalti da cento milioni di euro sui nastri di partenza. Ecco come un solo articolo della legge Gelmini è riuscito a trasformare un semplice rettore in un grande Leviatano, i cui delegati, i membri del cui Dipartimento, i sostenitori della cui campagna elettorale si ritrovano ora ad occupare le postazioni più significative nel Cda dell’Università e in quello della Fondazione, nelle diverse commissioni istituzionali e negli uffici di punta, tra cui quello alla Comunicazione.
C’è chi ad un’applicazione autocratica della legge Gelmini si è opposto, correggendola dal basso e assicurando al Cda ancora una composizione di tipo elettivo. E’ stato il caso, tra gli altri, degli atenei di Genova, Reggio Calabria, Pisa. A loro hanno dato ragione almeno due Tar, della Liguria e del Piemonte, che hanno ritenuto quella scelta “di qualità e genuina, in quanto difficilmente condizionabile da indebite pressioni”. Da questi esempi l’Università del Salento pare essere, per ora, lontana anni luce.
Nessun commento:
Posta un commento