Correva l’anno 1995 quando il deputato Franco Marini, nella sua “qualità di ministro del lavoro e della previdenza sociale pro tempore”, veniva accusato di concussione dal sostituto procuratore di Roma Pietro Giordano. L’inchiesta era partita un po’ più a sud, a Napoli, dove s’indagava sulla tangentopoli partenopea e due giovani pm – Francesco Menditto e Vincenzo Piscitelli – iniziarono a occuparsi della Sme, il ramo agro-alimentare dell’Iri.
La procura di Napoli trasmise a Roma la tranche che riguardava Marini: ex segretario della Cisl, democristiano molto vicino a Comunione e liberazione, il deputato nei primi anni Novanta era in forte ascesa, tanto da ricoprire il ruolo di ministro.
E infatti: il suo fascicolo fu trasmesso al Tribunale dei ministri, che poi chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere, che però la negò.
E il procedimento venne così archiviato.
L’accusa: aver dirottato soldi al settimanale d’area cattolica Il Sabato, all’epoca diretto da Paolo Liguori, in cambio d’una mano alla Sme che, in quel momento, doveva procedere a ben 365 prepensionamenti.
Ad accusarlo, uno degli uomini più potenti d’Italia, sin dalla Prima Repubblica: Giancarlo Elia Valori, in quegli anni presidente della Sme. “Aveva riferito il Valori – si legge nella richiesta di autorizzazione a procedere – che, tra l’ottobre 1991 e il febbraio 1992, aveva più volte incontrato Marini, nelle trattative per ripartire fra le imprese le quote di prepensionamento”.
Il ministero guidato da Marini assegna alla Sme ben 365 prepensionamenti. Secondo Valori, però, Marini “aveva chiesto un aiuto alla rivista Il Sabato” e così il presidente Sme contatta il direttore Paolo Liguori (la sua posizione fu poi archiviata, ndr) “assicurandogli che avrebbe erogato complessivamente 100 milioni di lire, sia per la pubblicità, sia per un contributo al meeting di Cl”.
Valori confermò la sua versione al Collegio del Tribunale dei ministri, spiegando che Marini “lo pregò di comprare pubblicità da Il Sabato, ed egli corrispose il contributo di 100 milioni di lire”: ritienne quindi che la richiesta di procedere contro Marini “merita l’accoglimento”.
La Camera però negò la richiesta di autorizzazione a procedere e, di conseguenza, la posizione di Marini fu archiviata.
Lui proseguì la sua carriera fino a presiedere il Senato e ad acquistare dall’Inpdai una casa nel quartiere Parioli, in via Lima, al costo di un milione di euro: 14 vani che, secondo le stime dell’epoca, valevano circa 3 milioni: “Quelli dell’Agenzia del territorio – spiegò – quando hanno valutato l’appartamento, si sono resi conto che era un piano rialzato. E mi hanno fatto lo sconto”. Dal piano rialzato al Colle più alto, con il consenso di Bersani e Berlusconi, in queste ore il passo sembrerebbe breve.
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