Chi è Bernard-Henri Lévy, il filosofo francese che negli ultimi tempi è onnipresente con i suoi attacchi contro la “deriva autoritaria” rappresentata da governi democraticamente eletti euroscettici, e contro le pulsioni anti-UE che guadagnano un crescente consenso nei popoli europei stremati dal deficit democratico e dalla perdita di contatto di una UE sempre più lontana dalla realtà quotidiana dei cittadini? Questo ritratto ce lo descrive come un esponente delle élite coccolato dai media francesi, famoso e celebrato in patria nonostante i suoi meriti siano alquanto inconsistenti e la sua filosofia appaia piuttosto semplicistica e senza solide basi. Ed è ironico che quest’uomo si presenti oggi come il “testimonial” della campagna elettorale a favore della UE.
Di Scott McConnell, 1 febbraio 2019
Il pensatore francese Bernard-Henri Lévy è recentemente salito alla ribalta come “ragazzo immagine” nella difesa dell'”Europa” contro l’avanzata dei partiti nazionalisti-populisti così temuti dall’establishment. Ma è più probabile che il coinvolgimento di Lévy finisca per costituire un vantaggio per i nazionalisti. Nella sua lunga carriera, buona parte della quale passata sui media, come noto filosofo parigino, Lévy è stato un fondamentale artefice degli atteggiamenti culturali che hanno portato ai guai attuali della Francia.
Una strategia politica più saggia, per quanto poco onesta, per i partiti neoliberisti merkelisti e macronisti sarebbe di smussare le loro caratteristiche ideologiche e presentare i loro candidati come dei comuni, ordinari patrioti di centro-sinistra o di centro-destra. È quello che sta tentando Macron, con discreto successo, nella sua stessa battaglia contro i gilet jaunes. Oggi appare in TV con una bandiera nazionale ben in vista al suo fianco, e cerca di conquistare il pubblico con lusinghieri riferimenti patriottici all’”eccezionalità” della Francia.
Ma ecco che arriva Lévy, che con una dichiarazione pubblica sottoscritta da 30 scrittori e intellettuali getta il guanto ideologico sulle prossime elezioni. “L’idea di Europa è in pericolo“, recitano Lévy e i suoi co-firmatari. È sotto attacco da parte di “falsi profeti ubriachi di risentimento e in delirio davanti all’opportunità di cogliere le luci della ribalta“. Le elezioni del Parlamento europeo di maggio, affermano Lévy e i suoi firmatari, “rischiano di essere le più disastrose mai viste“. Chiamano gli europei a “una nuova battaglia per la civiltà“. “Suonano l’allarme” senza indugio contro “questi incendiari dell’anima e dello spirito che vogliono fare un falò delle nostre libertà“. Ma a Lévy non basta una semplice lettera pubblica. Promette un tour in decine di città europee a partire da marzo. A 70 anni si propone di diventare il paladino continentale della resistenza ai partiti euroscettici.
Invero, la sua coerenza merita rispetto. Bernard-Henri Lévy, o BHL come lo chiamano in Francia, è da sempre stato acerrimo nemico del nazionalismo francese. Ne "L’Ideologie francaise", il libro del 1981 che cementò la sua fama come il più telegenico dei “Nuovi filosofi” francesi e fece di lui un brillante personaggio nel mondo degli intellettuali da piccolo schermo, BHL ha dato un energico impulso di nazional-popolarità a un’idea che è diventata il cliché preferito di ogni antifao casseur desideroso di soffocare la libertà di parola nel mondo accademico occidentale: chiunque abbia un’idea che non condividi è letteralmente Hitler.
Nel suo libro, BHL sostiene che non c’era bisogno di sconfiggere i nazisti nel 1940 perché la Francia diventasse fascista, dato che i precursori del regime di Vichy erano già ovunque nella vita intellettuale francese. Essi sono parte integrante, come proclama il titolo, de “L’ideologia francese”. Si tratta della distorta semplificazione di una tesi avanzata in altri modi da storici seri – secondo cui il disprezzo per la democrazia parlamentare, l’ostilità al capitalismo borghese, l’antisemitismo, tutti elementi insiti in Vichy, non erano certo esclusiva dei tedeschi. Ma BHL spinge il ragionamento ai suoi limiti estremi, includendovi praticamente qualsiasi scrittore francese di fama e sensibilità patriottica. Maurice Barrès, che ha celebrato in letteratura il popolo francese nato da sangue e suolo comuni: bollato come un precursore di Vichy. Il cristiano socialista Charles Péguy, anche lui precursore di Vichy. Al partito comunista francese BHL non rimprovera di essere eccessivamente stalinista, ma di essere troppo francese. Nella narrazione di BHL, ogni scrittore francese che abbia mai celebrato il popolo francese diviene un predecessore del nazional-socialismo.
In una feroce critica dell’opera, Eric Zémmour conclude: “Amare la Francia è di destra ed estrema destra; l’estrema destra è Vichy; Vichy è la retata di Vel d’Hiv; Vel ‘d’Hiv, è la Shoa. QED, amore per la Francia = sterminio di ebrei“. Il libro è stato un successo e ha venduto bene, nonostante le feroci critiche alla sua eccessiva semplificazione da parte di alcuni (come Raymond Aron) che pure erano vicini a Lévy e generalmente favorevoli nei confronti dei Nuovi Filosofi come gruppo. Il lavoro di Lévy è stato strumentale all’avvio di una guerra culturale nella quale il ministro degli interni francese non riesce ad espellere un immigrato clandestino senza essere bloccato da attivisti per i diritti umani benpensanti che lo paragonano a Hitler. Questa, ovviamente, è l’era in cui oggi viviamo.
La carriera di BHL non si è fermata qui: è diventato un energico attivista appassionato di diritti umani, anche se in modo selettivo. Esistono filmati dove appare sulle barricate di Maidan, o a convincere il suo amico presidente Nicolas Sarkozy che la Francia aveva il dovere aiutare i ribelli che cercavano di rovesciare il Moammar Gheddafi in Libia. Tuttavia, secondo BHL non tutte le vittime dei diritti umani meritano la stessa attenzione, e alcuni nazionalismi basati sul sangue e sul suolo sono più accettabili di altri. Col passare degli anni Levy ha sviluppato un grande attaccamento per Israele. Oggi è diventato un apologeta per qualunque cosa il governo israeliano abbia voglia di infliggere ai palestinesi, a Gaza o altrove. Come dice Zémmour, notando il contrasto tra gli interventi di Lévy sui media riguardo la Francia e Israele, “BHL ha preso l’abitudine di interpretare un doppio ruolo, Zola a Parigi e Barrès a Gerusalemme“.
E adesso, questo anziano e facoltoso filosofo sarà il volto pubblico più importante della campagna per salvare l’Europa dai partiti euroscettici. Il dibattito elettorale promette di essere avvincente e senza precedenti. I partiti di destra e nazionalisti hanno, in generale, una visione articolata dell’Europa – il loro nazionalismo, in quanto tale, è diretto non contro gli altri europei, ma contro l’immigrazione di massa extra-europea. I loro punti di vista sono più o meno quelli sostenuti da Charles de Gaulle: che un’Europa degli stati nazione è più propensa a mantenere e promuovere gli aspetti creativi della civiltà europea rispetto a un’Europa dominata da burocrati che hanno elevato la libertà di movimento e diritti umani universali al rango di una pseudo-religione. Ma, nella pratica, sono molti i punti su cui occorre ancora lavorare.
Un altro gruppo di intellettuali europei [chiamato The True Europe, che include nomi come Philippe Bénéton e Roger Scruton, N.d.T.], che mira a preservare l’identità europea a fronte della globalizzazione e delle pressioni migratorie, ha pubblicato un proprio manifesto. La sottigliezza e profondità in esso espresse sono in netto contrasto con la dichiarazione redatta da BHL e dai suoi amici. Ne hanno discusso commentatori come Robert Merry, ma nel complesso ha attirato molta meno attenzione da parte dei media rispetto a BHL. I suoi autori sostengono una tesi difficile da riassumere, ma uno dei suoi punti chiave è che esiste un’Europa storica, forgiata culturalmente dal cristianesimo e politicamente dall’ascesa di stati nazione in opposizione all’imperialismo centralizzatore. Questa Europa è l’unica casa possibile dei popoli europei, e non può essere sostituita dalla falsa Europa di una UE che continua ad espandere i suoi poteri in maniera incontrollata, di un’immigrazione di massa senza assimilazione e di una cultura accademica dominata dal rimorso per qualsiasi aspetto del suo passato.
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