Munitevi di un bel sacchetto da vomito e leggete qua: “…Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito… Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità di tutte le Istituzioni”. L’autore di questa prosa ributtante è Matteo Renzi, già sindaco e ora senatore di Firenze, Comune parte civile nei processi per le stragi del 1993-’94, una delle quali sterminò 5 persone fra cui una bimba di 50 giorni proprio a Firenze in via dei Georgofili. Quando mai costui abbia “contrastato Berlusconi sul piano della politica”, non è dato sapere. A meno che l’intrepido “contrasto” non sia consistito nel correre ad Arcore a baciargli la pantofola con tacco e rialzo prima di diventare segretario Pd e, subito dopo, invitarlo al Nazareno per scrivere una legge elettorale incostituzionale (l’Italicum) e una schiforma costituzionale (poi rasa al suolo dagli elettori). Ora, avendo tentato per cinque anni di diventare come B. senza riuscirci, si accontenta di fregargli un paio di deputati e qualche elettore superstite, nella speranza di superare il 3-4% nei sondaggi con Italia Viva (si fa per dire).
Infatti, appena s’è diffusa la notizia che l’inchiesta di Firenze sui mandanti occulti delle stragi comprende l’attentato a Costanzo, l’impunito ha bruciato sul tempo gli altri leader di centrodestra, da Salvini alla Meloni, nel difendere in simultanea con Sallusti e Farina-Betulla il martire perseguitato dalle toghe fiorentine. Le stesse – ma è solo una coincidenza – che han fatto arrestare il su babbo e la su mamma e indagano sugli strani finanziatori della Leopolda. Renzi non sa nulla dell’inchiesta sulle stragi, e questa non è una colpa: c’è il segreto investigativo. Ma, se invoca a ogni piè sospinto “sentenze” possibilmente “definitive”, dovrebbe sapere qualcosa di quelle che han condannato i boss delle stragi (anche grazie ai pm di Firenze) e soprattutto quella che ha condannato Marcello Dell’Utri a 7 anni per mafia; senza contare quella di I grado sulla Trattativa (altri 12 anni a Dell’Utri). Così eviterebbe di fare lo gnorri sull’indagine riaperta due estati fa (non dalla Procura, ma dal gip) sull’ipotesi che B. e Dell’Utri siano coinvolti nell’ideazione di quelle stragi. O di approfittare dell’ignoranza generale (diffusa a piene mani dall’apposita stampa) per dire scemenze come “senza uno straccio di prova”.
Se l’inchiesta sui mandanti esterni, più volte aperta e archiviata in base a fior di prove ritenute però insufficienti, è ripartita nel 2017 è proprio perché ne sono giunte di nuove: le intercettazioni del boss Giuseppe Graviano, che pianificò le autobombe da via D’Amelio (19.7.’92) allo stadio Olimpico di Roma (23.1.’94). Raccontando le stragi al compagno di ora d’aria, Graviano parla guardacaso di “Berlusca” che “mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza… Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto: ‘Ci vorrebbe una bella cosa’… Nel ’93 ci sono state altre stragi, ma no che (non) era la mafia, loro dicono che era la mafia”. Una conferma al racconto del killer pentito Gaspare Spatuzza sul “colpetto”, il “colpo di grazia” che Graviano gli commissionò ai primi del ’94 con la strage all’Olimpico per dare l’ultima spinta a B. a entrare in politica. Ma non ce ne fu bisogno: il 26 gennaio B. annunciò la discesa in campo, l’indomani i fratelli Graviano furono arrestati a Milano e la strage, fallita al primo colpo, non fu più ritentata. B. andò al governo, ma – lamenta Graviano – non mantenne tutte le promesse: “Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: ‘Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore… 25 anni mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo… Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera… Al signor crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia”.
Eccoli gli “stracci di prova” che han fatto riaprire l’indagine. Se piovessero nel deserto, ci sarebbe da ridere. Ma sono solo l’ultima tessera di un mosaico terrificante che ha portato la Cassazione a condannare Dell’Utri per mafia perché “dal 1974 al ’92” fu il “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”: il “patto di protezione” siglato 45 anni fa a Milano fra B., Dell’Utri, i boss Bontate, Teresi, Di Carlo, Cinà e Mangano (che poco dopo si installò per due anni nella villa di Arcore). E poi la Corte d’assise di Palermo a condannare uomini di mafia e di Stato per la Trattativa, scrivendo che B. finanziò Cosa Nostra dal ’74 a fine ’94 (quand’era già premier e Cosa Nostra aveva già sterminato Falcone, Borsellino, le scorte e altri 10 innocenti a Firenze, Milano e Roma); e i boss, tramite Dell’Utri e Mangano, ricattarono il suo primo governo per ottenere leggi pro mafia.
Solo chi, in totale malafede, finge di non conoscere queste sentenze, facilmente reperibili online, può dirsi “attonito” se si ipotizza un ruolo di B. nelle stragi, perpetrate dagli stessi boss amici di Dell’Utri e finanziati da B.. E può accusare magistrati che rischiano la pelle indagando sui mandanti di rendere “un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni”. Istituzioni che la Procura di Firenze onora cercando la verità e Renzi&C. disonorano tentando di sbianchettarla.
Infatti, appena s’è diffusa la notizia che l’inchiesta di Firenze sui mandanti occulti delle stragi comprende l’attentato a Costanzo, l’impunito ha bruciato sul tempo gli altri leader di centrodestra, da Salvini alla Meloni, nel difendere in simultanea con Sallusti e Farina-Betulla il martire perseguitato dalle toghe fiorentine. Le stesse – ma è solo una coincidenza – che han fatto arrestare il su babbo e la su mamma e indagano sugli strani finanziatori della Leopolda. Renzi non sa nulla dell’inchiesta sulle stragi, e questa non è una colpa: c’è il segreto investigativo. Ma, se invoca a ogni piè sospinto “sentenze” possibilmente “definitive”, dovrebbe sapere qualcosa di quelle che han condannato i boss delle stragi (anche grazie ai pm di Firenze) e soprattutto quella che ha condannato Marcello Dell’Utri a 7 anni per mafia; senza contare quella di I grado sulla Trattativa (altri 12 anni a Dell’Utri). Così eviterebbe di fare lo gnorri sull’indagine riaperta due estati fa (non dalla Procura, ma dal gip) sull’ipotesi che B. e Dell’Utri siano coinvolti nell’ideazione di quelle stragi. O di approfittare dell’ignoranza generale (diffusa a piene mani dall’apposita stampa) per dire scemenze come “senza uno straccio di prova”.
Se l’inchiesta sui mandanti esterni, più volte aperta e archiviata in base a fior di prove ritenute però insufficienti, è ripartita nel 2017 è proprio perché ne sono giunte di nuove: le intercettazioni del boss Giuseppe Graviano, che pianificò le autobombe da via D’Amelio (19.7.’92) allo stadio Olimpico di Roma (23.1.’94). Raccontando le stragi al compagno di ora d’aria, Graviano parla guardacaso di “Berlusca” che “mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza… Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto: ‘Ci vorrebbe una bella cosa’… Nel ’93 ci sono state altre stragi, ma no che (non) era la mafia, loro dicono che era la mafia”. Una conferma al racconto del killer pentito Gaspare Spatuzza sul “colpetto”, il “colpo di grazia” che Graviano gli commissionò ai primi del ’94 con la strage all’Olimpico per dare l’ultima spinta a B. a entrare in politica. Ma non ce ne fu bisogno: il 26 gennaio B. annunciò la discesa in campo, l’indomani i fratelli Graviano furono arrestati a Milano e la strage, fallita al primo colpo, non fu più ritentata. B. andò al governo, ma – lamenta Graviano – non mantenne tutte le promesse: “Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: ‘Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore… 25 anni mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo… Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera… Al signor crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia”.
Eccoli gli “stracci di prova” che han fatto riaprire l’indagine. Se piovessero nel deserto, ci sarebbe da ridere. Ma sono solo l’ultima tessera di un mosaico terrificante che ha portato la Cassazione a condannare Dell’Utri per mafia perché “dal 1974 al ’92” fu il “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”: il “patto di protezione” siglato 45 anni fa a Milano fra B., Dell’Utri, i boss Bontate, Teresi, Di Carlo, Cinà e Mangano (che poco dopo si installò per due anni nella villa di Arcore). E poi la Corte d’assise di Palermo a condannare uomini di mafia e di Stato per la Trattativa, scrivendo che B. finanziò Cosa Nostra dal ’74 a fine ’94 (quand’era già premier e Cosa Nostra aveva già sterminato Falcone, Borsellino, le scorte e altri 10 innocenti a Firenze, Milano e Roma); e i boss, tramite Dell’Utri e Mangano, ricattarono il suo primo governo per ottenere leggi pro mafia.
Solo chi, in totale malafede, finge di non conoscere queste sentenze, facilmente reperibili online, può dirsi “attonito” se si ipotizza un ruolo di B. nelle stragi, perpetrate dagli stessi boss amici di Dell’Utri e finanziati da B.. E può accusare magistrati che rischiano la pelle indagando sui mandanti di rendere “un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni”. Istituzioni che la Procura di Firenze onora cercando la verità e Renzi&C. disonorano tentando di sbianchettarla.
Renzi difende un suo simile, un personaggio alquanto discutibile che lui ha sempre guardato con ammirazione, che ha cercato di emulare ma senza risultati, perchè gli manca il cinismo necessario per commettere le azioni riprovevoli delle quali è sospettato il suo idolo. Lui sa solo emulare, non ideare, lui non ha gli stessi appoggi del calafatato.
C.
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