L’altro giorno, usando un verbo a lui piuttosto ostico, Salvini annunciava a Libero: “Sto studiando da premier”. Probabilmente per corrispondenza. Non conosciamo i testi né gli esiti di uno sforzo tanto vano. Ma la sua memoria presentata ieri alla Giunta delle Elezioni e delle Immunità del Senato sul caso della nave Gregoretti fa temere il peggio. A meno che non sia stata scritta prima che il nostro prendesse in mano quegli oggetti misteriosi detti comunemente “libri”. Il Tribunale dei ministri chiede l’autorizzazione a processarlo per un reato ministeriale, cioè commesso nelle funzioni di ministro dell’Interno: il sequestro di persona, per aver costretto per sei giorni a bordo della nave della Guardia Costiera 131 migranti soccorsi nel Mediterraneo il 25 luglio di quest’anno prima di autorizzarne lo sbarco il 31. Reato arduo da dimostrare, ma questo è affare dei giudici, non del Senato. Salvini risponde che:
1) il suo fu un “intervento di competenza”, cioè agì in qualità di ministro dell’Interno;
2)la decisione fu di tutto il “governo in modo collegiale”, frutto della “attività di tutta la compagine governativa in modo del tutto sovrapponibile a quanto avvenuto per la nave Diciotti” (per cui il Senato negò l’autorizzazione a procedere);
3)l’obiettivo non era politico o propagandistico, ma il “preminente interesse pubblico, rappresentato dalla salvaguardia dell’ordine e della sicurezza, che sarebbero messi a repentaglio da un incontrollato accesso di migranti nel territorio dello Stato”.
E allega e-mail di funzionari del ministero e di Palazzo Chigi e due dichiarazioni dei ministri Di Maio e Bonafede che dovrebbero dimostrare il loro pieno accordo con lui. Ora, purtroppo per il nostro studente ripetente, il punto 1 non smentisce, ma anzi conferma la necessità di autorizzare il processo: lo sanno pure i giudici che Salvini agì da ministro, altrimenti non avrebbero chiesto l’autorizzazione a procedere al Parlamento, prevista solo per i reati ministeriali.
Il punto 2 non sposterebbe di un millimetro la questione neppure se fosse vero: non tutti gli atti collegiali di un governo sono di per sé leciti (altrimenti non esisterebbero i reati ministeriali) e di essi, anche se sono tutti d’accordo, risponde penalmente solo il ministro competente (altrimenti, per ogni reato ministeriale, si processerebbe l’intero governo).
In ogni caso il punto 2 è falso perché – diversamente dal caso Diciotti – il caso Gregoretti non fu mai affrontato collegialmente nell’unica sede deputata, il Consiglio dei ministri, ma fu gestito in solitaria da Salvini dalla spiaggia del Papeete. Il punto 3 è una frase a caso che Salvini non tenta neppure di dimostrare: per sottrarre un ministro al Tribunale, in base alla Costituzione, il Parlamento deve avere la certezza che abbia agito per un “interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” e un “preminente interesse pubblico”. E come fa Salvini a sostenere che, se i 131 migranti fossero sbarcati dalla Gregoretti il 25 anziché il 31 luglio, avrebbero compromesso “l’ordine e la sicurezza” nazionali?
Non c’era alcun “interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” da tutelare. Quanto al presunto “interesse pubblico”, non era certo “preminente” sul dovere di far sbarcare in Italia una nave militare italiana (che ne aveva diritto, diversamente da quelle private e straniere delle Ong). Gli allegati che, come strombazzava Salvini, dovevano dimostrare il coinvolgimento di Conte sono un misero bluff: il premier non scrisse né disse una sillaba sul blocco della nave, mentre si attivò come sempre per ricollocare i migranti nell’Ue. E quelli che dovevano incastrare Bonafede e Di Maio sono addirittura un autogol: Bonafede commentava lo sbarco già avvenuto, non il precedente divieto di Salvini; e Di Maio, dopo aver ripetuto che dei migranti doveva farsi carico l’Europa, criticava proprio il no di Salvini alla Guardia Costiera: “Non si tràttino i nostri militari su quella nave come pirati. Pieno rispetto per le forze dell’ordine”. Il guaio è che lo studente ripetente non ha ancora capito perché i giudici vogliono processarlo: infatti, le nove pagine della memoria sono dedicate alla pratica per ricollocare i 131 migranti in Europa e in Vaticano. Ma l’accusa riguarda il rifiuto da lui opposto per 6 giorni alla Guardia Costiera di indicare un porto sicuro (Pos): su quel diniego, che è il cuore dell’accusa, non scrive una parola. Perché sa benissimo che per la Gregoretti, diversamente che per la Diciotti, spettava all’Italia indicare il Pos e che i due casi sono molto diversi. Per quattro motivi.
1) La Diciotti rilevò i naufraghi dopo un’operazione di salvataggio coordinata da Malta, cui spettava l’obbligo del Pos, mentre la Gregoretti ospitava migranti “salvati” in un’operazione tutta italiana.
2) La Diciotti è una nave adibita ai soccorsi in mare, dunque può ospitare decine di persone sottocoperta, mentre la Gregoretti è destinata alla vigilanza sulla pesca e non garantisce un’adeguata sistemazione, infatti i migranti restarono per quasi una settimana sul ponte, sotto la canicola.
3) Dalla Diciotti furono subito fatti sbarcare dal governo donne e bambini; dalla Gregoretti la gran parte dei minori poterono scendere solo per ordine della Procura minorile. 4) L’attesa della Diciotti in porto (agosto 2018) fu decisa perché prima Malta sul Pos e poi la Ue sui ricollocamenti facevano le gnorri; quella della Gregoretti (luglio 2019) fu decisa quando il meccanismo dei ricollocamenti Ue era oliato e non c’erano più dubbi sulla distribuzione dei migranti. Di tutto questo, nella memoria smemorata di Salvini, non c’è traccia. Lo studente non si applica o non capisce. Però ha un’attenuante formidabile: prende lezioni da Giulia Bongiorno.
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