Luigi Di Maio non ha il nostro preventivo sostegno e nemmeno un nostro acritico apprezzamento. Non lo conosciamo e non abbiamo mai discusso con lui. Dubitiamo anche che sia stato opportuno ricoprire l’incarico di ministro degli Esteri, sia per l’inesperienza passata, ma soprattutto per il fatto di ricoprire già quello di Capo politico del M5S.
Ma il susseguirsi di attacchi contro di lui, la derisione costante e la tiritera che vorrebbe l’Italia ormai fuori dalla grande politica internazionale per colpa del leader pentastellato è divenuta insopportabile. Come se, poi, l’Italia avesse mai giocato un ruolo di primo piano a livello internazionale. Stretta tra l’alleanza atlantica, fedele serva di Washington, si è solo ritagliata uno spazietto di manovra mediorientale dosando un po’ di filo-arabismo con l’alleanza indistruttibile con Israele: tutto qui. Fino all’avventura europeista imboccata senza ragionare.
Ora si rimprovera a Di Maio di tutto: di fare “inutili fatiche” in giro per il Mediterraneo (Mattia Feltri su La Stampa), di lasciare “tracce di confusione” sulla politica estera (Massimo Franco sul Corriere della Sera), di perseguire inutilmente “il dialogo” dove il dialogo non c’è (Daniele Raineri sul Foglio). Basterebbe il colpo a effetto di ieri a Palazzo Chigi per smentire l’incapacità dell’Italia di seguire una bussola. Portare a Roma Khalifa Haftar (al Serraj si è ritirato all’ultimo minuto), vale al governo un riconoscimento di competenza evidente.
Ma il punto va oltre questa contesa e oltre le rispettive esibizioni di forza da parte dei vari schieramenti. Il punto riguarda l’Europa tutta e la capacità di stare sullo scacchiere internazionale, soprattutto se, nel caso attuale dell’Italia, non si voglia perseguire una politica estera basata sui militari. Perché se è vero che la Turchia e la Russia possono vantare dei successi è solo perché hanno deciso di inviare truppe. Se è questo che si chiede al governo italiano lo si faccia apertamente senza chiamare in causa competenze o inesperienze pretestuose.
Se poi si avesse la pazienza di spulciare le agende degli altri ministri europei si scoprirebbe che la Libia non è certo in cima ai pensieri di tutti. Prendiamo la Francia. Il ministro degli Esteri, certamente di grande esperienza e competenza, Jean-Yves Le Drian, si è occupato di Libia solo negli ultimi due giorni, come Di Maio. A dicembre la sua agenda lo vede a colloquio con il ministero georgiano, poi nella conferenza sulle Comore, a colloquio con il ministro giapponese, in viaggio verso Praga, impegnato sull’Ucraina, poi nel meeting con il nuovo responsabile Esteri della Ue, Josep Borrell, per passare a questioni di governo francese, della Nato, dell’Organizzazione mondiale della Sanità, occuparsi del Laos fino all’ultimo viaggio del 2019: in Messico, certo non in Libia.
Guardiamo invece gli impegni di Josep Borrell: viaggio a Bratislava per il vertice Osce, una serie di incontri con i vari ministri degli Esteri (Grecia, Francia, ) poi il ministro del Kirghizistan, il Segretario generale della Nato, il ministro del Tagikistan, del Giappone, della Corea del Sud, della Thailandia, del Vietnam, della Cambogia e della Cina in vista del vertice Europa-Asia di dicembre, dove sono in ballo rilevanti questioni commerciali. Solo il 7 e 8 gennaio Borrell si è occupato di Libia, insieme a Di Maio. Il quale si sta sobbarcando un tour del Mediterraneo, non sappiamo quanto fruttuoso, ma comunque all’insegna del ruolo di ministro che gli è proprio.
La situazione è stata ben inquadrata, invece, dal quotidiano francese Le Monde che a proposito della Libia, qualche giorno fa, parlava di “disastro geopolitico” in corso. “L’Europa ha le sue divisioni – scriveva l’autorevole giornale – in particolare tra Francia e Italia privandosi così di qualsiasi azione efficace”. E a proposito di Macron, nei confronti del quale il quotidiano non nutre certo un’avversione, si notava che “se il volontarismo di Emmanuel Macron era a un certo punto benvenuto, si è poi accompagnato a un gioco poco limpido, se non opaco, della Francia a vantaggio di Haftar che ha imballato la mediazione diplomatica”. In questo gioco, va aggiunto, la Francia è stata surclassata dalla Russia e, come scriviamo nelle pagine internazionali, ci sarebbe proprio la Francia dietro la mancata venuta di al Serraj.
La politica estera è una questione complessa, fatta di rapporti di forza che si costruiscono nel tempo. L’Italia raccoglie oggi il peso costruito negli ultimi venti anni, fatti di emarginazione, crisi e cecità soprattutto nei confronti del Mediterraneo. Che ieri Roma sia stata sotto i riflettori dovrebbe far riflettere chi commenta e analizza giusto per il piacere di farlo.
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