Da quando è nato il partito-ossimoro Italia Viva, abortito ancor prima del parto, tutti si domandano che senso abbia, chi ne sentisse la mancanza e chi mai lo voterebbe. Ora però che la sventurata creaturina ha compiuto tre mesi di vita (anzi di morte), la risposta ai tre quesiti è chiara a tutti: siccome la politica è di una noia mortale, Iv serve a farci divertire un po’. Ha funzioni di svago, come i giullari nelle corti reali. Il primo partito che unisce l’inutile al dilettevole.
Il capocomico è Renzi, che si sta impegnando allo spasimo per scendere nei sondaggi dal 3 allo zero per cento e, per quanto ardua sia l’impresa, ce la può fare. Per lui la politica è come il tressette, dove chi ha più punti perde e chi ne ha meno vince. Infatti, non bastando la sua faccia, pur utilissima come sfollagente, ci mette pure le parole: ogni volta che apre bocca, se ne vanno 10 mila elettori. L’altro giorno, per dire, ha dichiarato che Craxi era “un gigante” e fu “condannato perché non poteva non sapere”. Una minchiata che ormai non osano ripetere nemmeno i figli di Craxi. Figurarsi l’entusiasmo dei suoi eventuali elettori, in un Paese che si beve di tutto, persino che B. era un perseguitato (tesi ovviamente sostenuta anche da Renzi per le accuse di mafia e strage), ma almeno i ladroni di Tangentopoli non li ha mai perdonati, specie se latitanti.
Tre giorni fa, con mirabile scelta di tempo, Renzi ha dipinto il sindaco Pd di Bibbiano come un perseguitato solo perché la Cassazione aveva annullato le sue misure cautelari (piuttosto blande: arresti domiciliari e obbligo di dimora, mai il carcere): un minuto dopo la Procura di Reggio ha depositato gli atti dell’indagine, confermando e anzi rincarando le accuse. Che solo in minima parte riguardano il sindaco e in massima parte la galleria degli orrori di una terrificante setta di presunti assistenti sociali e sedicenti psicologi protetti dal “sistema Emilia” che rubavano i bambini ai genitori inducendoli ad accusarli di abusi inesistenti con ogni sorta di violenza psicologica. Se il sindaco tenuto a casa per qualche settimana è un martire, cosa sono quei poveri padri, madri e bambini?
Poi, l’altroieri, il capolavoro: il voto di Iv alla controriforma della prescrizione del forzista Costa, a braccetto con FI, Lega e FdI che ha battezzato l’ingresso trionfale dei renziani nel centrodestra. Per giunta gratis, visto che la legge Costa è stata bocciata comunque, relegando i renziani al rango di pelo superfluo della politica italiana. Ora però, senza offesa per il Cazzaro di Rignano, il suo primato di cialtroneria è insidiato da una nuova stella che brilla nel firmamento italo-vivo.
È il senatore Giuseppe Luigi Salvatore Cucca, avvocato cassazionista di Nuoro. Entrato in Parlamento nel 2013 col Pd e ora trasmigrato in Iv, non ha lasciato nelle cronache alcuna traccia di sé, fuorché per una meritoria impresa: nel maggio del 2016 firmò con l’ex pm Felice Casson un emendamento che tagliava drasticamente la prescrizione, prima delle indagini e dopo il processo di primo grado. In pratica, la aboliva.
Già, perché il Pd, allora guidato dal segretario Matteo Renzi, voleva bloccarla addirittura alla richiesta di rinvio a giudizio, o al massimo al rinvio a giudizio. Il 18 febbraio 2015 il capogruppo in commissione Giustizia, Giuseppe Lumia, aveva fatto mettere a verbale testuali parole: “La posizione ufficiale del Pd è che la prescrizione deve cessare di decorrere dopo l’emanazione del decreto di rinvio a giudizio”. E nessuno s’era adontato, sostenendo magari che così il processo diventa eterno e si viola la Costituzione (queste stronzate le dicevano Schifani, ancora in Ncd, e i forzisti). Infatti tutti i senatori pidini che si occupavano di giustizia, da Casson a Cucca, dalla Capacchione a Lo Giudice, dalla Cirinnà alla Filippin alla Ginetti, avevano firmato emendamenti fotocopia. Poi, il 26 maggio 2016, per non urtare troppo alfaniani e verdiniani, si era optato per il blocco alla sentenza di primo grado. Ma con un formidabile freno anche in fase d’indagine, facendo decorrere la prescrizione non più dalla consumazione, ma dalla scoperta del reato.
Sentite che meraviglia. Comma 1: “La prescrizione cessa comunque di operare dopo la sentenza di primo grado”. Comma 2: “Il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la notizia di reato viene acquisita o perviene al pubblico ministero”. Firmato: “Casson e Cucca”. Roba che, al confronto, la legge Bonafede è acqua fresca. Infatti i 5Stelle si affrettarono ad applaudire e ad annunciare voto favorevole, pur preferendo l’alt al rinvio a giudizio.
Alfaniani e verdiniani alzarono le barricate insieme ai forzisti, Cucca fu costretto a ritirare la firma dal suo doppio emendamento e non se ne fece più nulla (la riformicchia Orlando della prescrizione era, appunto, il nulla). Dopodiché, un anno fa, la maggioranza giallo-verde approvò la riforma Bonafede che copiava il comma 1 della norma Casson-Cucca, ma non il 2, e ammorbidiva di parecchio quella che ancora nel 2015 era “la posizione ufficiale del Pd”. Ma il Pd votò contro insieme a FI. E il pidino Cucca, con faccia tosta ai limiti dell’autofagia, tuonò: “Sulla prescrizione si fanno errori che puniscono tutte le parti in causa nel processo, con rischi di incostituzionalità”.
Errori e rischi che, ove mai fossero fondati, sarebbero identici a quelli della legge firmata da lui. Ora il renziano Cucca partecipa ai vertici di maggioranza in quota Iv, assieme alle onorevoli avvocate Boschi e Annibali. E chiede, pancia in dentro e petto in fuori, di riesumare la vecchia prescrizione plenaria che solo quattro anni fa il pidino Cucca e il suo partito volevano cancellare molto più drasticamente della legge Bonafede.
Resta a questo punto da stabilire che differenza passi fra un senatore renziano e un giullare.
FQ 17 gennaio
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