Un'indagine finora inedita svela i retroscena della carriera di Domenico Mantoan, il super direttore degli ospedali veneti ora nominato al vertice dell'Aifa.
Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità.
Maledetta auto blu. Più che un privilegio, sembra una disgrazia per Domenico Mantoan, potentissimo neo-presidente dell’Aifa, l’agenzia che gestisce l’intera spesa farmaceutica e controlla il mercato miliardario dei medicinali. Perché sono proprio due infortuni con l’auto di servizio a insidiare la sua irresistibile carriera di super-dirigente della sanità nel ricco Veneto e ora in tutta Italia. Una nomina, decisa dalla conferenza delle Regioni, che sancisce il passaggio alla Lega di questo cruciale centro di potere sanitario, economico e politico.
Mantoan, 62 anni, vicentino di Brendola, occupa da un decennio, ininterrottamente, la poltrona di direttore generale della sanità veneta: è il capo indiscusso di un apparato regionale che muove ogni anno dieci miliardi di euro di spesa pubblica.
A Venezia è considerato un tecnico molto preparato e capace, con un carattere duro: una sorta di Richelieu, riverito e temuto anche ai piani alti di Palazzo Balbi, sede della Regione. Laureato in medicina a Padova, specializzato in endocrinologia a Verona, il super-manager ha la gerarchia nel sangue: inizia la sua carriera nel 1984 come ufficiale medico dei Carabinieri di Udine e del distretto militare di Verona, dove lavora fino al 1993. Nella sanità regionale entra nel 1995, quando il Veneto, dopo Tangentopoli e la fine della Dc, diventa un feudo del centrodestra. Da allora Mantoan continua a fare carriera sotto tutte le giunte.
Con il berlusconiano Galan, viene chiamato a replicare il modello sanitario lombardo dell’era Formigoni (tagli agli ospedali pubblici, soldi alle cliniche private), che riesce ad applicare senza troppi danni sociali. Il Veneto diventa la terza regione italiana per spesa sanitaria privata (41 per cento del totale, secondo la Corte dei Conti) restando in vetta alla classifica dei livelli di assistenza. Dal 2010 ad oggi Mantoan resiste a tutti i cambiamenti di pelle della Lega: mentre il partito passa da Bossi a Maroni per arrivare a Salvini, e nell’assessorato alla sanità la cerchia del veronese Tosi è sostituita dai fedelissimi del trevigiano Zaia, il super-tecnico resta al suo posto, dove è riconfermato almeno fino alla primavera prossima. Ed è proprio l’attuale governatore Luca Zaia a candidarlo con successo alla presidenza dell’Aifa.
A rovinare la festa per la nomina, il 31 ottobre scorso, arriva un’interrogazione dei Cinquestelle, che chiede al neo-ministro Roberto Speranza di chiarire una bruttissima storia di malasanità e malagiustizia che coinvolge l’auto blu di Mantoan. A Padova, il 13 settembre 2016, la vettura pubblica che trasporta il direttore, guidata dal suo autista di fiducia, fa una manovra vietata e uccide un motociclista. A effettuare l’autopsia si precipita il professor Massimo Montisci, direttore dell’istituto di medicina legale di Padova, che scagiona l’autista con una tesi incredibile: il motociclista, Cesare Tiveron, sarebbe morto d’infarto un attimo prima di essere travolto dall’auto blu. I familiari della vittima insorgono, denunciano un conflitto d’interessi (l’istituto di Padova dipende dal grande capo della sanità veneta) e ottengono una nuova perizia, affidata a una squadra di luminari, che capovolge il verdetto: ora il professor Montisci è accusato di falso, l’autista di Mantoan di omicidio stradale.
La stessa auto blu è finita al centro di un’altra indagine, finora tenuta segreta. Un procedimento aperto nel 2014 e chiuso pochi mesi fa, nell’aprile 2019. Mantoan non è accusato di alcun reato, ma i fatti accertati documentano rapporti, metodi di lavoro e incontri di potere finora sconosciuti: una specie di biografia non autorizzata. Tutto nasce da un fascicolo minore. La Procura di Vicenza ipotizza un «peculato d’uso»: Mantoan ha diritto di usare la vettura regionale con l’autista pubblico per gli spostamenti tra casa e ufficio, cioè tra Venezia e Vicenza, mentre è sospettato di servirsene anche per trasferte private. Quindi la Guardia di Finanza comincia a seguire la sua auto blu, segnalando una serie di anomalie. Il 26 settembre 2014, in particolare, la macchina pagata dalla Regione effettua una deviazione: esce dall’autostrada a Padova Est e si ferma in un hotel a quattro stelle dove lui rimane fino all’alba successiva. Qui il super manager pubblico incontra una imprenditrice della sanità, che ha una ditta a Padova e vende prodotti ospedalieri. Un incontro riservato tra controllore e controllata.
L’indagine si chiude con un’archiviazione chiesta dal pm Giovanni Parolin: il giudice Massimo Gerace certifica che il peculato «non sussiste», perché i «singoli episodi» si riducono a «deviazioni di pochi chilometri», che «non hanno provocato danni apprezzabili alle casse pubbliche». Anzi, nella notte in hotel c’è stato «un considerevole risparmio», perché l’autista lo ha lasciato a Padova anziché portarlo a casa nel Vicentino. Un proscioglimento pieno, che però riconferma l’incontro notturno tra il dirigente pubblico e l’imprenditrice privata «per ragioni comprovatamente personali».
Un altro dato certo è che, nei mesi successivi, l’amica di Mantoan fa un grande salto di carriera. Prima era solo una rappresentante di commercio, con una ditta individuale di «prodotti medicali, chirurgici e ortopedici». Dal gennaio 2017 diventa amministratrice unica di una società con 100 mila euro di capitale, che gestisce un centro radiologico in provincia di Padova, di cui è anche socia con il 20%. Il primo azionista, con il 40%, è un soggetto misterioso, che vuole restare anonimo: la sua quota è intestata a una fiduciaria del Montepaschi. Il restante 40%, invece, fa capo al gruppo Hfc, che controlla diverse società importanti, con fatturati milionari. Una di queste, F.R. Engineering, negli ultimi anni si è aggiudicata decine di grandi contratti per la sanità veneta: dal ciclotrone dell’ospedale di Castelfranco, a sofisticati macchinari come la Pet di Padova, alla rete di condizionatori dell’Istituto oncologico veneto, di cui Mantoan è stato commissario fino al 2016. Intanto l’imprenditrice padovana ha trovato altri partner d’affari importanti, come la società milanese Adexte, che si è fatta rappresentare proprio da lei, come risulta dalla sua firma in un documento del giugno 2018, in almeno una gara d’appalto da 64 mila euro: forniture per la medicina nucleare dell’ospedale di Vicenza, aggiudicate alla Adexte.
Dagli atti giudiziari emerge che il fascicolo sull’auto blu era nato da un’indagine molto più ampia: pressioni politiche per nominare primari ospedalieri fedeli alla Lega. Mantoan viene intercettato, nello stesso periodo della notte in hotel, mentre incontra segretamente, in un bar vicino a un altro casello, il direttore sanitario di un ospedale di Vicenza e il responsabile di una Usl veronese, entrambi leghisti. Il primo, riassume la Finanza, «si adopera attivamente per indirizzare e determinare le nomine di due primari, a Verona e Vicenza». E incontra Mantoan perché «ne conosce il potere di interferenza nelle decisioni sulla sanità veneta». Il procedimento si chiude nel 2018 per la morte del dirigente vicentino inquisito. Mentre Mantoan non viene neppure indagato: in quell’incontro «certamente anomalo» ha subito pressioni politiche, ma non risulta che sia mai arrivato a truccare i concorsi dei primari.
Il 7 novembre anche il ministro Speranza ha ratificato la sua nomina all’Aifa. Per il direttore della sanità veneta, la presidenza di un’agenzia così strategica segna anche una rivincita personale su Roma, dopo le polemiche con l’ex ministro Beatrice Lorenzin sull’obbligatorietà dei vaccini. Nel settembre 2017, infatti, era stato un decreto firmato proprio da Mantoan a sospendere per due anni l’obbligo di presentare i certificati di vaccinazione come requisito per l’ammissione nelle scuole. La Regione Veneto è arrivata a impugnare le norme statali davanti alla Corte Costituzionale, senza successo. Quindi il governatore Zaia ha dovuto sospendere il decreto Mantoan. Ora il burocrate torna a Roma, nello stesso ministero, da vincitore: come numero uno dell’Aifa, sarà lui a rappresentare lo Stato negli incontri e scontri con le potenti multinazionali dei farmaci. Non in un hotel vicino all’austostrada, si spera.
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