Com’è possibile tenere insieme la popolarità di Giuseppe Conte (il 60% costante in tutti i sondaggi) con le fragilità del rapporto tra Pd e 5Stelle? E come può sopravvivere un governo alla cui stabilità si affidano pur sempre sei italiani su dieci (Ilvo Diamanti, Demos &Pi) con il progressivo sfaldamento del gruppo M5S che al Senato rischia di mettere in crisi maggioranza ed esecutivo?
Certo, di premier forti e di governi deboli la politica italiana (ma non solo) ne ha conosciuti parecchi. Uno per tutti, Romano Prodi disarcionato due volte, nel 1998 e nel 2008, da manovre di palazzo, con il conseguente doppio tracollo del centrosinistra, e doppio trionfo di Silvio Berlusconi. Rispetto al passato esiste però una sostanziale differenza: l’Italia messa in ginocchio dallo tsunami coronavirus. Una catastrofe senza precedenti che dovrebbe fare seriamente riflettere: tale è la gigantesca responsabilità che pesa sulle spalle della politica, ma soprattutto dei singoli comportamenti. Imperdonabili se mossi da semplici, e a maggior ragione sciagurate, convenienze personali.
Per carità, alla larga dai cosiddetti uomini della Provvidenza (soprattutto se autoproclamati) ma per i profeti del Conte bollito e praticamente fritto (da quando, si può dire, il nostro fece udire i primi vagiti in quel di Volturara Appula) un governo vale l’altro, e dunque gli italiani se ne facciano una ragione. Infatti cosa può esserci di più opportuno, mentre la trattativa con l’Europa per i 172 miliardi del Recovery Fund (di cui 81 a fondo perduto) entra nella fase decisiva, di una bella crisi al buio, magari ferragostana? Per rinsaldare nei nostri alleati l’idea di un’Italietta inaffidabile, incasinata, perennemente alla deriva?
Siamo convinti che nella quotidiana consultazione dei divani (vuoti) di Montecitorio, gli aruspici della imminente caduta di Conte abbiano già nei loro taccuini le soluzioni belle che pronte. Finalmente avremo quel governissimo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, del resto da mesi fremente sulla soglia del casale umbro in attesa della convocazione al Quirinale. O se no, ancora meglio l’immediato ritorno alle urne auspicato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, elezioni precedute neanche a dirlo da una serena campagna elettorale al profumo di Covid-19. Nel tripudio delle masse avide di duelli televisivi mentre il Pil sprofonda e forse anche la democrazia.
Non conosciamo infine i nomi dei grillini che a sentire Salvini sarebbero in procinto di passare alla Lega, con le conseguenze che sappiamo. Speriamo di non conoscerli mai. Per non ripetere la famosa frase di Churchill: mai così tanti dovettero così tanto a così pochi. Solo che lui parlava di eroi. Non di traditori.
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