L’ultima volta che abbiamo parlato dello stato d’emergenza, il professor Zagrebelsky ha iniziato così: “Quando scendono in campo i giuristi vuol dire che non siamo molto ben messi. Ci si rivolge a loro per avere una parola chiara e normalmente se ne ottengono molte e oscure, spesso contraddittorie. Una delle più frequenti prestazioni dei giuristi, nel loro insieme, è di rendere ‘meravigliosamente oscure’ (Rabelais) persino le questioni chiare”. “Mi sono permesso una battuta, perché anch’io appartengo alla categoria”, spiega l’interessato.
Anticipando su Repubblica un testo che uscirà in autunno per Laterza, il professore ha sostenuto che bisogna distinguere tra emergenza ed eccezione. La prima è interna al sistema, e lo difende da una minaccia; la seconda lo frantuma per travolgerlo e superarlo. Lo stato di emergenza, nel nostro caso, ha un fine: la tutela della salute pubblica. È strumento di garanzia di un diritto fondamentale.
La sua posizione ha innescato diverse repliche: proviamo a sottoporle le principali. Protrarre lo stato di emergenza costituisce una “forzatura illegittima e inopportuna”: illegittima, perché non essendoci emergenza, non c’è il presupposto per prorogarla; inopportuna, perché produce le note conseguenze sul piano economico.
Lo stato di emergenza come condizione generale che giustifica qualunque misura ad arbitrio del governo è non solo in-costituzionale, ma anche anti-costituzionale. Parlo, per intenderci, dei “pieni poteri”. È invece previsto che, nella normalità della vita del diritto, possano “emergere” casi straordinari (cioè non previsti) di necessità e urgenza. Quando ciò accade, il governo può adottare decreti con forza di legge che entrano in vigore immediatamente ma sono “provvisori”, cioè decadono se non sono convertiti in legge dal Parlamento entro sessanta giorni. In più, il governo agisce “sotto la sua responsabilità”: la conversione in legge, oltre a riportare l’eccezione nei binari della legalità, convalida il giudizio del governo circa l’esistenza delle condizioni straordinarie ecc. e lo esonera dalle sue responsabilità. Chi giudica sull’esistenza delle suddette condizioni? Ciascuno di noi può avere la sua visione delle cose: chi ha avuto l’infezione vicina a sé, chi ha operato e opera nelle strutture sanitarie e “ha visto”, avrà una convinzione; chi è lontano e filosofeggia nobilmente, ne avrà un’altra. Ma si tratta, in entrambi i casi, di opinioni private. Dal punto di vista costituzionale, ciò che conta sono le valutazioni del governo convalidate dal Parlamento, salvi i controlli che esistono presso il presidente della Repubblica e, alla fine, presso la Corte costituzionale.
Obiezione: dei decreti legge si è fatto larghissimo utilizzo, quasi mai nella ricorrenza di situazioni di necessità e urgenza…
E con ciò? Nei decenni passati s’è fatto abuso. Ma ciò significa forse che il decreto-legge non può più essere usato quando è lecito usarlo? L’abuso avrebbe abrogato l’uso?
L’osservatorio che porta il nome del professor Rodotà definisce la proroga una “rottura costituzionale”, annunciando ricorsi alla Consulta. Le libertà individuali, dicono, sono state limitate illegittimamente dai Dpcm che hanno alterato il sistema delle fonti del diritto, tanto che il governo ha goffamente cercato di porre riparo coi decreti legge. Che ne pensa?
Innanzitutto, sarebbe saggio non sfruttare l’autorità d’una persona che non c’è più. I ricorsi ci saranno, vedremo che esiti avranno. Sulla legittimità dei provvedimenti, è prevista dalla Carta la possibilità di limitare la libertà di circolazione per motivi di sanità e incolumità pubblica. Se si parte dal presupposto che tali motivi esistono, la conseguenza ovvia è la legittimità delle restrizioni alla libertà di circolazione. Si dice che queste restrizioni incidono su altri diritti: di riunione, di studio e socializzazione scolastica, di attività lavorativa, perfino di esercizio comunitario della libertà di culto. Ma queste sono conseguenze, di cui non è lecito sminuire la gravità, che tuttavia derivano dall’esigenza precauzionale relativa alla tutela della salute. È una questione logica: la circolazione può far circolare anche il virus. Del resto, che sarebbe di tali altri diritti se la pandemia dilagasse al punto che, nel panico, si dovessero rimpiangere le cautele e le restrizioni omesse in tempo utile. Col passare del tempo e la diminuzione dell’allarme, la ragionevolezza delle misure deve essere, però, bilanciata al sacrificio degli altri beni costituzionali.
Invece sulla questione dei Dpcm?
I famigerati Dpcm hanno o non hanno base legale nei decreti legge e nelle leggi di conversione e sono proporzionati alla gravità dell’infezione? La questione è tutta qui.
I giuristi hanno messo sul tavolo la vecchia legge sulle calamità naturali.
Ma non c’è bisogno di appellarsi a questa norma. La situazione attuale è regolata dalle leggi del Parlamento, dai decreti del governo e dai Dpcm.
Il premier Conte sostiene che negli ultimi 4 anni lo stato d’emergenza è stato dichiarato 84 volte e rinnovato 154 volte. Gli è stato però obiettato che si tratta di casi circoscritti, legati a terremoti, alluvioni… È la prima volta, poi, che lo stato di emergenza riguarda tutta l’Italia. Questa è una anomalia?
È una caratteristica della situazione! La dimensione spaziale (e temporale) della legislazione d’emergenza dipende dalla dimensione dell’emergenza. Mi pare ovvio. Che finora non si sia verificato un allarme così vasto da investire potenzialmente l’intero territorio nazionale significa solo che siamo stati fortunati. Purtroppo, ci può essere sempre una prima volta.
Il timore che l’emergenza venga normalizzata è fondato?
Su questo veglieranno il presidente della Repubblica, i giudici e la Corte costituzionale e, alla fine, l’opinione pubblica che è la vera garanzia. L’assuefazione è un pericolo e, tanto più in situazioni come l’attuale, l’attenzione di coloro che amano la democrazia deve essere vigile. Ci sono contromisure istituzionali e ci siamo noi che stiamo all’erta responsabilmente.
Qualcuno pensa che queste misure siano comunque autoritarie.
Sì, ci sono alcuni che, per il gusto del beau geste libertario assomigliante al “menefreghismo” estetizzante dei futuristi d’altri tempi, non esitano a mettere in pericolo la salute altrui. Ma, qui non c’è il diritto di fare della propria salute quello che si vuole, ma c’è il dovere di non giocare con la salute degli altri. Sono degli irresponsabili che hanno della loro libertà un concetto totalmente egoistico.
Un giudice di pace ha annullato la multa di 400 euro comminata a padre e figlia, trovati fuori dalla loro abitazione durante il lockdown, sostenendo anche che la misura di permanenza domiciliare può essere stabilita solo dall’autorità giudiziaria. Neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento un simile obbligo.
Si invoca l’art. 13 e la garanzia della libertà personale. Ma questa norma ha a che vedere con la libertà della persona rispetto a misure personali. Non c’entra nulla con la pandemia. Mi stupisco che non si trovi nulla di assurdo nel postulare che, per stabilire limiti che valgono per tanti e, al limite, per tutti, sia ragionevole ipotizzare per ciascuno di essi un provvedimento (quanti milioni, nell’insieme?) dell’autorità giudiziaria, naturalmente in altrettanti procedimenti, con le garanzie del contraddittorio, la presenza di avvocati, impugnazioni, ecc. Quanto ai poteri del giudice, certamente egli può, anzi deve disapplicare gli atti amministrativi illegittimi. Ma bisognerebbe dimostrare che essi “non stanno” nella legge. Se invece stanno nella legge ma questa è costituzionalmente illegittima, allora non si dà disapplicazione, ma ricorso alla Consulta contro la legge che si suppone incostituzionale. C’è una logica nel sistema.
Quindi torniamo all’inizio: quando entrano in campo i giuristi…
Siamo abituati a partire dall’astrattezza delle leggi e delle nostre costruzioni teoriche per planare sulla contingente realtà. Nell’emergenza, bisogna ragionare al contrario, cioè partire dalla realtà e cercare nelle leggi il modo per gestirla. Sennò si fa fare una brutta figura al diritto.
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