Il Pd si appresta a un’estate da equilibristi, con sconfitta incorporata: un “ni” al Referendum costituzionale che taglia i parlamentari nel nome della mancata riforma della legge elettorale e una battaglia per un accordo su un proporzionale, che è praticamente impossibile blindare prima del 20 settembre.
Astenersi sul testo base del proporzionale per permettere di iniziare a lavorare: è la proposta che gli sherpa del Pd stanno portando a Matteo Renzi. Lui prende tempo e si crogiola nel ruolo di ago della bilancia (con uno sguardo a Berlusconi che può contenderglielo). L’obiettivo è ottenere che la soglia passi dal 5% al 3%. Potrebbe spuntarla. Ma comunque, è tutto rimandato a dopo la pausa estiva. Nel frattempo, il Pd comincia ad accarezzare l’idea di boicottare il referendum. Se al Nazareno parlano di libertà di coscienza, in molti cominciano a mobilitarsi per il no. Hanno iniziato i senatori Tommaso Nannicini e Gianni Pittella. Ma il fronte si allarga. Si sono espressi per il no Matteo Orfini e Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, esponente di Base Riformista. Sono in arrivo alla causa una serie di intellettuali. Molti dem nel segreto dell’urna diranno no. Posizione pericolosa: rischiano di accusare una sconfitta, senza aver neanche combattuto la battaglia. Mentre dentro il partito c’è chi considera le barricate sul proporzionale il segno evidente che il Pd, nato nel segno della vocazione maggioritaria, ha abdicato al suo ruolo.
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