Vorrei tanto che fosse vera una delle balle che si raccontano sul mio conto: e cioè che sarei il capo occulto, o addirittura palese, dei 5Stelle. Almeno capirei qualcosa dei loro Stati generali, che si tengono via web causa Covid: prima sui territori, ieri e oggi a livello nazionale. Da gennaio, uscito Di Maio, non hanno un capo eletto dalla base, ma un reggente di transizione, Vito Crimi, che in dieci mesi è invecchiato di dieci anni appresso alle beghe da asilo Mariuccia di galli e galletti. Fra qualche giorno verrà eletto dagl’iscritti un vertice collegiale di 5 persone (ma qualcuno ne vorrebbe 7). E questa è l’unica buona notizia: il partito di maggioranza relativa, principale azionista del governo Conte, non può più restare acefalo. Le altre sono pessime. Grillo è distante e silente, anche se non si esclude un colpo di teatro in extremis. Casaleggio jr. s’è tirato fuori perché “è già stato tutto deciso” e tra chi “scrive le regole” c’è chi “non le rispetta” (qualche bonifico in ritardo): cioè ha capito che non può decidere tutto lui e l’orientamento maggioritario è quello di usare la piattaforma Rousseau come struttura di servizio e non più come segreteria-ombra e cassa-ombra. La Appendino, candidata ideale al nuovo direttorio, l’ha impallinata un giudice con una sentenza lunare, ma soprattutto l’incapacità del M5S di riammetterla dopo l’autosospensione, alla luce dei fatti oggetto della condanna che non ledono minimamente la sua moralità (una posta del bilancio comunale inserita nell’anno sbagliato). Di Battista non ha ancora detto se si candida; però vuole un M5S equidistante da centrodestra e centrosinistra, ma senza far cadere il governo M5S-centrosinistra; paragona gli (ex?) amici ministri all’Udeur, anche se Mastella alla Giustizia debuttò con l’indulto e Bonafede con la Spazzacorrotti, la blocca-prescrizione, il nuovo voto di scambio e le manette agli evasori; e chiede, come Casaleggio, che non si deroghi al limite dei due mandati e si pubblichino i risultati del voto dell’altroieri dove pare sia arrivato primo (ma non era l’elezione del capo politico, né un concorso di bellezza: soltanto la scelta dei 30 relatori che parleranno oggi).
Regolette, formulette, schede, mandati, scontrini, quote sociali, piattaforme online: ma a chi interessa ‘sta sbobba? Siamo nel pieno di una pandemia mondiale che sta cambiando il pianeta e impone a tutti un nuovo Welfare, un nuovo ambientalismo, un nuovo modello di sviluppo. E i 5Stelle, cioè la forza politica italiana più attrezzata per storia e Dna a dare risposte innovative sul futuro, oltreché la spina dorsale del governo con un buon premier indicato da loro e una serie di buoni ministri, che fanno?
Si accapigliano su minutaglie da trapassato remoto che non fregano niente e non scaldano nessuno. Ieri, ai tavoli tematici, i 305 delegati hanno parlato di cose serie. E si spera che producano un nuovo programma all’altezza di questa fase drammatica e appassionante. Però, mediaticamente, chi ha la responsabilità di comunicare il percorso ha proposto all’opinione pubblica il solito spettacolo autoreferenziale di questioncine e ripicchine, tanto meschine quanto odiose e noiose. Proprio mentre al governo i 5Stelle danno prova di maturità e anche di capacità, nella gestione interna regrediscono all’infanzia, mostrando un’immaturità e un’inadeguatezza che ingigantiscono il vuoto lasciato dai due padri fondatori: l’uno distante, l’altro defunto. Nei momenti cruciali, Grillo e Gianroberto Casaleggio si erano sempre mostrati all’altezza del compito, dando prova di pragmatismo e flessibilità. Anche rispetto alle sacre regole interne che, non essendo i 10 Comandamenti o la Costituzione o il Codice penale, si possono cambiare o derogare, perché sono al servizio del Movimento (non viceversa). Una classe dirigente non si improvvisa: buttare a mare quella faticosamente formata in questi anni per il tabù del terzo mandato, o qualche scontrino in ritardo, o una sentenza su un bilancio comunale sbagliato, sarebbe follia. Basta spiegarlo e la base capirà, come l’ha già capito per la Raggi che si candida per la terza volta. Persino il più occhiuto custode delle regole, Casaleggio senior, era pronto a cambiarle per il bene del M5S: infatti nel 2015 pressò Di Battista perché si candidasse a sindaco di Roma, anche se per statuto non poteva farlo perchè era già deputato.
Oggi le ragioni per votare 5Stelle sono in parte diverse da quelle delle origini: onestà personale; sobrietà nei comportamenti politici; una leadership di persone competenti e perbene che non abbiano ancora ricoperto ruoli dirigenziali (modello Appendino o Patuanelli, per intenderci); una ritrovata unità interna con idee diverse e responsabilità comuni (anche con Di Battista o con un rappresentante della sua area); e soprattutto contenuti. È sui contenuti che ha senso “tornare alle origini”, cioè al radicalismo civico, ambientalista, legalitario, tecnologico e sociale dei primi Meetup, ribadendo e rimpolpando il programma iniziale delle 5 Stelle in pochi punti da attuare nei prossimi anni. Non sulle formulette tipo “terzo polo” che, per chi stava al governo con la Lega e ora col centrosinistra, fanno ridere i polli. Riusciranno i nostri eroi a ricordare chi sono e da dove vengono per capire dove andare? Lo sapremo presto. Il tempo per il colpo d’ala è poco: qualche giorno, non di più.
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