Non è ancora arrivato in aula a Palazzo Madama il ddl Zan ed è già iniziata la corsa a trovare i colpevoli per il suo fallimento. Sì, perché nella maggioranza non c’è accordo e non c’è neanche davvero la volontà di trovarlo. Ieri il Senato ha votato per la calendarizzazione il 13 luglio, dopo che ogni tentativo di mediazione è fallito.
Matteo Renzi si è intestato il dialogo con la Lega per le modifiche, sostenendo di lavorare per salvarlo, lo Zan: ma questo vuol dire rimandare la legge alla Camera, con ottime possibilità che venga affossata definitivamente lì. D’altra parte, senza Iv, i numeri per approvarla non ci sono. Il sospetto è che – davanti a moltissimi voti segreti – non ci sarebbero stati nemmeno prima. Tanto che la convinzione di molti è che anche per i dem sia più importante individuare un responsabile per il suo fallimento, che approvarla.
A farne le spese è Enrico Letta che l’ha scelta come bandiera identitaria e che ancora ieri twittava: “Calendarizzato il DdlZan. Quindi vuol dire che #iVotiCiSono. Allora, in trasparenza e assumendosi ognuno le sue responsabilità, andiamo avanti e approviamolo”. “O così o niente”, è la linea. Che evidentemente mette in conto il fallimento. Perché poi il tema è politico: al Nazareno di consegnare a Renzi l’atout della mediazione non ci pensano proprio. Un po’ per mancanza endemica di fiducia nei suoi confronti, un po’ per evitare di ridargli centralità, con l’elezione del Quirinale all’orizzonte.
Il film della giornata si dipana dentro questo macro-film. In mattinata, il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Andrea Ostellari presenta una serie di modifiche che ruotano intorno all’eliminazione delle parole “identità di genere”. Dall’articolo 4, quello con la cosiddetta clausola salva idee (“sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”), Ostellari elimina l’ultimo periodo, quello che comunque vieta espressioni che “determinano il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Profonde modifiche anche all’articolo 7: la giornata nazionale contro “l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, diventa la giornata contro “ogni discriminazione”. E mentre Davide Faraone di Iv si esprime a favore, il Pd fa le barricate. Per dirla con il vice capogruppo, Franco Mirabelli, “non c’è accordo. Si va in aula per votare il calendario”. Sulla stessa linea Monica Cirinnà, che tiene i contatti con le associazioni Lgbt, per condividere anche con loro le scelte. Ma in realtà dentro il Pd serpeggiano i dubbi, sia di chi pensa che si dovrebbe lavorare a una mediazione, sia di chi teme i giochi di Renzi. “Non possiamo lasciarlo a Salvini, in vista del Colle”, si è sentito dire Luigi Zanda.
Nel frattempo, però, si intensificano anche i contatti tra Andrea Marcucci, il capogruppo renziano Davide Faraone e i leghisti Roberto Calderoli e Massimiliano Romeo per arrivare a modifiche condivise. Puntano a un risultato “win-win”: se la legge sarà messa da parte alla Camera Salvini potrà rivendicare di averla affossata, se si arriverà a un accordo, i due Matteo potranno metterci il cappello. Un senatore del centrodestra gongola: “Questa settimana Letta dovrà fare un passo indietro perché senza un accordo la legge va a sbattere”. Tant’è che, inusualmente, interviene anche la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati: “I gruppi riflettano se prendersi una settimana in più”.
In questo clima, ieri, si è votato il calendario: Lega e Forza Italia chiedono che la legge vada in aula il 20; Pd, M5S e Leu votano contro. Alla fine si va in aula il 13. Martedì prossimo si comincia, risultato a rischio.
ILFQ
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