LA GIURISTA - Intervista a Marina Castellaneta, ordinaria di Diritto internazionale alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari: "L'ultimo provvedimento approvato dal Parlamento è in contrasto con una serie di regole di diritto internazionale. Il nostro legislatore non sta rispettando obblighi Ue. La situazione è allarmante, si potrebbe sollevare la questione di costituzionalità"
Il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare? Con la presunzione d’innocenza “non c’entra nulla” ed è “in contrasto con una serie di regole di diritto internazionale“. Anzi, nell’emendamento approvato dal Parlamento la citazione della direttiva Ue è “fuori luogo“. Di più: l’intero decreto che con cui il governo di Mario Draghi ha recepito nel 2021 la direttiva 2016/343 non è “assolutamente in linea” coi principi comunitari enunciati in quel provvedimento. Parola di Marina Castellaneta, ordinaria di Diritto internazionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, giornalista pubblicista e autrice di numerosi saggi sulla libertà di stampa e sul diritto europeo. La professoressa critica duramente le norme che influiscono sulla libertà di stampa nel nostro Paese: non solo per le ultime leggi varate, ma anche per quelle che il Parlamento non ha mai approvato. “Noi abbiamo un legislatore che non sta rispettando obblighi internazionali“, spiega.
Professoressa, partiamo dalla fine. L’emendamento approvato dalla Camera martedì chiede al governo di vietare la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare facendo esplicito riferimento agli articoli 3 e 4 della direttiva Ue 2016/343, quella sulla presunzione d’innocenza. Ma in che modo questa direttiva vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare?
Intanto vorrei dire che il provvedimento è in contrasto con una serie di regole di diritto internazionale. Poi faccio notare che gli articoli 3 e 4 della direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza non si occupano della stampa.
Di cosa si occupano?
L’intera direttiva ha un’unica norma sulla stampa che però prescrive di salvaguardarne la libertà. L’articolo 3 si limita a dire che deve essere garantita la presunzione d’innocenza agli indagati e agli imputati. Non devono apparire come colpevoli e dunque va esplicitato quale è il loro status: se sono indagati, imputati e non condannati in via definitiva. L’articolo 4 dice semplicemente che la persona non va presentata come colpevole. Nulla di nuovo rispetto a quanto noi prevediamo già nelle norme costituzionali e nel Testo unico sui doveri del giornalista.
Cosa c’entra dunque il divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare?
Nulla. Si può prevedere di rafforzare la presunzione d’innocenza, ma sempre in linea coi principi della direttiva che equivalgono semplicemente a non indicare come colpevoli persone non ancora condannate in via definitiva. Ma questa è una cosa diversa dal far sparire le notizie. Anzi il Considerando numero 19 della direttiva dice espressamente che gli Stati devono fare salva la libertà di stampa e dei media. Dunque l’interpretazione estensiva che fa il legislatore italiano è scorretta e non è in linea con la direttiva, che è citata fuori luogo.
Per questo motivo l’onorevole Costa, ispiratore della norma, è stato accusato di avere messo un bavaglio alla stampa. Accusa alla quale ha replicato facendo notare che si tornerà semplicemente al 2017, quando era vietato pubblicare l’ordinanza di custodia cautelare. Poi, però, la riforma di Andrea Orlando ha modificato l’articolo 114. Questo ritorno al passato è in linea coi principi comunitari?
Noi ormai abbiamo un quadro europeo che va chiaramente verso il rafforzamento della tutela della libertà di stampa. Abbiamo la Carta dei diritti fondamentali, è in via di ultimazione il regolamento del Media Freedom Act, c’è la proposta di una direttiva contro le querele temerarie. La Corte europea dei diritti dell’uomo varie volte ha detto che possono essere pubblicati atti d’indagine, intercettazioni, fotografie di persone indagate se questo serve all’interesse pubblico, cioè l’interesse della collettività a ricevere notizie. Quindi, secondo me, l’introduzione di queste norme potrebbe portare a far sollevare la questione di costituzionalità.
È quello che sostengono i giornalisti della Lombardia a proposito del cosiddetto “bavaglio Cartabia”, cioè il decreto varato dall’allora guardasigilli del governo di Mario Draghi proprio per recepire la direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza. Che opinione ha di quel decreto?
Che contiene sempre lo stesso errore di fondo: la direttiva Ue ha il fine di garantire la presunzione di innocenza, ma senza occuparsi della stampa. L’inserimento di norme che limitano la comunicazione giudiziaria, accentrando tutto il potere nelle mani del procuratore, eliminando la possibilità di interloquire con le forze dell’ordine e prevedendo la possibilità di indire conferenze stampa soltanto in ragione di un preminente interesse pubblico, rappresentano tutti freni alla libertà di espressione. Sia dal punto di vista dei giornalisti sia dal punto di vista della magistratura. Quindi il recepimento operato dal nostro esecutivo è sicuramente contrario alla direttiva dell’Unione europea. Quasi tutte le norme di quel decreto legislativo di recepimento sono delle aggiunte, elaborate dal nostro legislatore, rispetto a quanto troviamo nella direttiva. Cosa che non hanno fatto gli altri Stati membri.
Cosa hanno fatto gli altri Stati membri?
Alcuni, come la Francia, hanno comunicato alla Commissione europea che avevano già norme interne sulla presunzione di innocenza. Nel caso dell’ordinamento francese la direttiva era già rispettata attraverso l’articolo 9 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo ma anche grazie alle norme del codice penale. Poi c’è il caso del Lussemburgo, che non ha incluso alcuna norma sulla libertà di informazione. Non ho trovato provvedimenti analoghi a quelli introdotti dal legislatore italiano.
Anche l’Italia si sarebbe potuta limitare a far sapere all’Ue di avere già le sue leggi sulla presunzione d’innocenza?
Certamente, perché la presunzione di non colpevolezza è già prevista dalla Costituzione italiana. Abbiamo tantissime altre norme, incluso il Testo unico sui doveri dei giornalisti, che impongono di usare la corretta informazione giudiziaria cioè ribadire sempre che una persona è presunta innocente fino alla sentenza definitiva. E invece non solo l’Italia è intervenuta, ma ha inserito queste leggi limitative dell’informazione giudiziaria.
Quel decreto, dunque, è stato solo un pretesto per mettere un bavaglio alle fonti giudiziarie?
Per rispondere a questa domanda ricordo soltanto che le questioni riguardanti la comunicazione e il rispetto della presunzione di innocenza di altri organi come le autorità politiche non vengono proprio inserite nel nostro decreto di recepimento.
Nella direttiva Ue si parla di politici?
C’è un richiamo alle autorità pubbliche che devono rispettare nella comunicazione il principio della presunzione di innocenza. E nel rapporto della Commissione europea si chiarisce che quel richiamo riguarda anche i politici.
Ma in che modo i politici dovrebbero rispettare la presunzione d’innocenza?
Ci sono tantissimi esempi. Pensiamo ai casi di cronaca nera e alle persone additate subito come colpevoli, magari proprio dai politici sui social.
E tutta questa parte non viene recepita in Italia?
No, non c’è traccia.
Lei ha scritto che il cosiddetto decreto Cartabia è uno “strumento il cui fine è proprio quello di limitare la comunicazione di informazioni alla collettività, con conseguenze negative sia per lo Stato di diritto sia per le vittime di reati”. In pratica ha un effetto completamente opposto rispetto a quello pubblicizzato: è corretto?
Secondo me è assolutamente così. Tra l’altro io vedo anche dei margini di incompatibilità con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Cioè?
Il discorso sarebbe molto tecnico, però, certamente l’applicazione rigida di quelle norme ostacola il procedimento in base al quale il giornalista informa la collettività su questioni di interesse generale. Anche a livello temporale.
In che senso?
La Corte europea varie volte ha detto che le notizie di stampa sono un bene deperibile, quindi va assicurata anche la tempestività nella comunicazione delle notizie.
Invece in varie procure si creano problemi perché a dare il via libera ai comunicati stampa può essere solo il procuratore. Ecco: come fa un procuratore, che non è un giornalista, a decidere se una questione è di rilevanza pubblica o no?
Dovrebbe basarsi sui parametri della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quindi oggettivamente la sua attività è piuttosto complessa. Perché, per esempio, la Corte di Strasburgo ha detto che a volte anche una notizia piccola, detto tra virgolette, è comunque una notizia di interesse pubblico.
Tipo gli incidenti stradali o i morti sul lavoro?
Esatto, sono piccole notizie ma molto importanti per una piccola comunità. Però leggo che da quando è in vigore il decreto i giornalisti hanno spesso problemi a recepire anche i nomi delle vittime.
Abbiamo citato il decreto Cartabia, ma c’è anche la riforma Nordio, che prevede il divieto di pubblicare intercettazioni non contenute nell’ordinanza di custodia cautelare. Dopo quest’ultimo emendamento approvato alla Camera, sembra che ci sia una sorta di attacco concentrico alla libertà di informazione, soprattutto a quella giudiziaria: è d’accordo?
Assolutamente sì. Tanto più che, appunto, gli organismi internazionali hanno già sottolineato varie volte che l’Italia non rispetta gli standard in materia di libertà di stampa. Se agli elementi per così dire commissivi, in cui lo Stato è intervenuto limitando la libertà di stampa, aggiungiamo quelli omissivi, abbiamo sicuramente un quadro che ci deve per forza di cose allarmare. E non poco.
A cosa si riferisce quando parla di elementi omissivi?
Ad esempio alle norme sulla protezione delle fonti: l’articolo 200 deve essere modificato da tempo. Ma questa questione non è stata mai affrontata correttamente dal legislatore italiano. Oppure alla detenzione per i giornalisti, che è scomparsa dalla legge sulla stampa ma è rimasta nel codice. Tra l’altro la Corte costituzionale aveva chiesto al legislatore d’intervenire, ma il legislatore non è intervenuto. E non è mai intervenuto neanche sulle querele temerarie, utilizzate per avere il cosiddetto chilling effect, cioè un effetto paralizzante sulla libertà di stampa.
Non è intervenuto nonostante gli appelli continui a governo e Parlamento.
E nonostante i rapporti sul Rule of law, preparati ogni anno dalla Commissione europea sullo Stato di diritto, abbiano evidenziato come in Italia ci sia un problema derivante dalle intimidazioni e dalle querele temerarie contro i giornalisti. Quindi noi abbiamo un legislatore che non sta rispettando obblighi internazionali con rango costituzionale e sub costituzionale, cioè che prevalgono anche sulla legge interna. Ecco perché ripeto, secondo me, si potrebbe sollevare la questione di costituzionalità.
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