domenica 10 luglio 2011

Il vuoto.


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David Wojnarowicz, Buffalo Falling

La natura rifugge il vuoto, l'Italia ne è attratta.

Politica, economia, società sono vuoti che ci ostiniamo a riempire con il nulla.

La nostra soluzione al vuoto che ci assedia, che divora gli spazi quotidiani, è sempre un altro vuoto.

A finzione si sussegue uguale finzione. A ogni problema, nessun rimedio. Navighiamo a vista, ma non vediamo più l'orizzonte e neppure la stella polare.

Siamo in default, con un Tremorti azzoppato, l'ennesimo ministro inconsapevole di favori ricevuti.

Un governo di figuri e figuranti presieduto da un vecchio corruttore è al comando della nazione.

Sindaci e assessori finiscono in galera senza sosta, gli arresti sono diventati routine. L'opposizione è una via di mezzo tra una larva e un parassita. Un vuoto a perdere.

Due eventi concomitanti ci attendono. Il primo è il fallimento economico conclamato dell'Italia, il secondo è il crollo degli attuali partiti.

Entro fine anno dovremo vendere 200 miliardi di titoli di Stato a interessi sempre più alti. Se non ci riusciremo salta il banco.

Non ci sarà una tragedia greca, ma una commedia all'italiana. L'improvvisa ricerca dei colpevoli da parte degli stessi colpevoli.

I moniti alti e circostanziati di Napolitano. I guaiti di Confindustria. Gli appelli all'Europa dei principali editorialisti e, in fondo al tunnel, la bandiera bianca, forse il nostro vero simbolo nazionale.

I maggiori responsabili, la triade Pdl, Pdmenoelle e Lega, collasseranno, come avvenne nel 1992 per Dc e per il Psi. Molti loro esponenti saranno ospiti delle patrie galere, altri ripareranno all'estero emuli di Bottino Craxi.

Si sente nell'aria una nuova Tangentopoli.

Gli arresti di Torino, Parma, Voghera possono saldarsi in una rivolta popolare.

Osservare i tranquilli parmigiani chiedere la testa del loro sindaco e affrontare a pugni nudi le forze antisommossa dovrebbe far scendere un brivido nella schiena di molti.

L'Italia può trasformarsi in un'enorme bacino di White Bloc, cittadini comuni che pretendono onestà dalle amministrazioni e dalle istituzioni a qualunque costo, con qualunque rischio personale.

Il vuoto politico di inizio anni '90 fu riempito con il trasformismo.

La Dc si divise in due, Dc di sinistra e Dc di destra, e sopravvisse tranquillamente.

Il Psi si arruolò sotto le bandiere di Forza Italia.

Il PCI si limitò a cambiare nome.

Oggi il trasformismo non è più possibile. In politica, i vuoti sono spesso riempiti dall'uomo della Provvidenza.

Da un cialtrone che dichiara poteri taumaturgici. L'italiano ne è da sempre affascinato come un coniglio da un serpente a sonagli. Il presidente della Repubblica deve, al più presto, dare l'incarico di formare un nuovo governo a un uomo estraneo ai partiti con l'unico obiettivo di evitare il peggio, altrimenti ci aspetta un altro 8 settembre, ma forse anche questo non sarà sufficiente.

Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.


http://www.beppegrillo.it/2011/07/il_vuoto/index.html


"Berlusconi è il corruttore" Illegalità per creare un impero. - di Giuseppe D'Avanzo







Le motivazioni della sentenza del processo Mondadori: decisioni cambiate a suo favore. Il premier ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna la più grande casa editrice del Paese.


Se non si ricorda come sono andate le cose venti anni fa, ci si può lasciare confondere dal frastuono sollevato dai commessi ubbidienti dell'Egoarca. Dunque. Due privati cittadini, capi d'impresa, si trovano in conflitto per la proprietà della Mondadori. Accade che gli eredi del fondatore (Arnoldo Mondadori) pattuiscano con Carlo De Benedetti (editore di questo giornale) la cessione della loro quota entro un termine, 30 gennaio 1991. Tra i soci c'è anche Silvio Berlusconi. Mai schietto, lavora nell'ombra. Traffica. Intriga. Ottiene che gli eredi passino nel suo campo. Nasce una lite. La decidono tre arbitri a favore di De Benedetti.

Berlusconi impugna il lodo dinanzi alla Corte d'appello di Roma. E' qui si consuma il coup de théatre, il crimine, il robo. All'indomani della camera di consiglio, il giudice relatore Vittorio Metta deposita centosessantasette pagine d'una sentenza che dà partita vinta a Berlusconi. Era stata già scritta e non l'ha scritta il giudice e non è stata scritta nemmeno nello studio privato o nell'ufficio del giudice in tribunale. Preesisteva, scritta altrove. Il giudice ha venduto la sentenza per quattrocento milioni di lire - il giudizio è definitivo, è res iudicata (Corte d'appello di Milano, 23 febbraio 2007, respinto il ricorso dalla Cassazione il 13 luglio 2007) .

Il corruttore è Silvio Berlusconi. Ascoltate, perché questo è un brano della storia che solitamente viene trascurato. L'Egoarca porta a casa la ghirba per un lapsus del legislatore. Il parlamento vuole inasprire
la pena della corruzione quando il corrotto vende favori processuali. Ma i redattori della legge dimenticano, compilandola, il "privato corruttore". Così per Berlusconi - è il "privato" che corrompe il giudice - non vale la nuova legge più severa (corruzione in atti giudiziari), ma la norma preesistente più blanda (corruzione semplice). Questa, con le attenuanti generiche, decide della prescrizione del delitto. Un colpo fortunato sovrapposto a un "aiutino" togato. Nel 2001, l'Egoarca è a capo del governo. Per il suo alto incarico gli vanno riconosciute - sostengono i giudici (e poi, irriconoscente, il Cavaliere si lamenta delle toghe) - le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio in ragione delle pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini (gli avvocati Previti, Acampora e Pacifico) che, nel suo interesse, truccarono il gioco.

Allora, per chi vuole ricordare, le cose stanno così: Berlusconi ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna - come il bottino di una rapina - la più grande casa editrice del Paese, ma non può essere punito.
Con buona pace di Marina Berlusconi e dei suoi argomenti ("un esproprio") e arroganza ("neppure un euro è dovuto da parte nostra"), dov'è la politica in questa storia? C'è soltanto la contesa di mercato tra due imprenditori. Uno dei due, Berlusconi, si muove come un pirata della Tortuga. Non gli va bene. Lascia troppe tracce in giro. Lo beccano. La sentenza della Corte d'appello civile è molto chiara in due punti decisivi.

1. Berlusconi è il corruttore. Scrivono i giudici: "Ai soli fini civilistici del giudizio, Silvio Berlusconi è corresponsabile della vicenda corruttiva".
2. Con la corruzione del giudice, Berlusconi non ha soltanto sottratto a De Benedetti la chance di prevalere nella causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso (come ha sostenuto la sentenza di primo grado), ma gli ha impedito di vincere perché De Benedetti senza la corruzione giudiziaria avrebbe di certo conquistato un verdetto favorevole alle sue ragioni.

Oggi a distanza di venti anni, che non sono pochi soprattutto per chi ha patito l'inganno, Berlusconi - evitato il castigo penale - paga il prezzo della rapina, risarcendone il danno. Tutto qui?
Andiamoci piano. E' un "tutto qui" che ci racconta molte cose di Berlusconi e qualcuna sul berlusconismo.
Si sa, il Cavaliere si lamenta: "Mi trattano come se fossi Al Capone". Lo disse accompagnando la sentenza di primo grado, in questo processo civile. La sentenza di appello ci consente di comprendere meglio che cosa l'Egoarca condivida con Al Capone: il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l'avidità. Lo abbiamo già scritto in qualche altra occasione. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta - ne è il simbolo - l'Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. E' infatti irrealistico immaginare Berlusconi fuori dal corso di quegli eventi: capitali oscuri, costanti prassi corruttive, liaisons piduistiche, un'ininterrotta presenza nel sottosuolo pubblico dove non esiste un angolo pulito. Berlusconi è quella storia e senza amnistie, senza un incessante e rinnovato abuso di potere, senza riforme del codice e della procedura preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato oggi un "delinquente abituale".

Accostiamo, per capire meglio, la sentenza di ieri della Corte d'appello civile di Milano con gli esiti processuali di un altro processo per corruzione. Questa volta non di un giudice, ma di un testimone, David Mills.
Lo si ricorderà. David Mills, per conto e nell'interesse di Berlusconi e con il suo coinvolgimento "diretto e personale", crea e gestisce "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest", dove transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma tra i quali (appunto) Vittorio Metta; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. In due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), David Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere dai guai, da quella galassia societaria di cui l'avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza che lo ha condannato.

Sono sufficienti questi due approdi processuali (Mondadori e Mills) per guardare dentro la "scatola degli attrezzi" di Silvio Berlusconi e lasciare senza mistero la sua avventura imprenditoriale. Da quelle ricostruzioni, che non hanno mai incontrato un'alternativa accettabile, ragionevole, credibile nelle parole o nei documenti del Cavaliere, si può comprendere come è nato il Biscione e di quali deformità pubbliche e fragilità private ha goduto per diventare un impero. Se solo la memoria non avesse delle sincopi, spesso determinate dal controllo pieno dell'informazione, che cosa ne sarebbe allora del "corpo mistico" dell'ideologia berlusconiana, della sua agiografia epica? Chi potrebbe credere alla favola del genio, dell'uomo che si fatto da sé con un "fare" instancabile, ottimistico e sempre vincente, ispirato all'amore e lontano dal risentimento?

La verità è che finalmente, dopo un ventennio, comincia a far capolino e - quel che più conta - a diventare consapevolezza anche tra chi gli ha creduto come, al fondo della fortuna del premier, ci sia il delitto e quindi la violenza. Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. Salta fuori il resoconto degli "attrezzi" del Mago: evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il controllo dei "dispositivi della risonanza" - ripeto - sarebbe chiaro da molto tempo come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.
Oggi come ieri per far dimenticare la sua storia, per nascondere il passato, salvare il suo futuro, tenere in vita la mitologia dell'homo faber, Berlusconi non inventerà fantasmagoremi. L'Egoarca muove sempre gli stessi passi, ripete sempre le stesse mosse. Come per un riflesso automatico, si esibirà nell'esercizio che gli riesce meglio: posare da vittima "politica", bersaglio di un complotto politico-giudiziario. Confondendo come sempre privato e pubblico, con qualche metamorfismo mediatico - ha degli ordigni e sa usarli - trasformerà la sua personale e privatissima catastrofe di imprenditore, abituato all'imbroglio e al crimine, in affaire politico che decide del destino della Nazione. Ha cominciato la figlia Marina, accompagnata dalla volgarità ingaglioffita e aggressiva dei corifei. Domani - comoda la prognosi - sarà il Cavaliere a menare la danza in prima fila. Con un mantra prevedibile e in attesa di escogitare un qualche sopruso vincente, dirà: "Contro di me tentano un attacco patrimoniale".

Vedremo così allo scoperto il più autentico statuto del berlusconismo: l'affermazione di un potere statale esercitato direttamente da un tycoon che sfrutta apertamente, e senza scrupoli, la funzione pubblica come un modo per proteggere i suoi interessi economici. Ieri, ne abbiamo già avuto un saggio nella tempesta declamatoria dell'intero gruppo dirigente del "partito della libertà" dove si è distinto Maurizio Lupi, che nella settimana che si apre sarà addirittura ministro di Giustizia. Le sue parole sono quasi il paradigma della devastazione della legalità che il berlusconismo ha codificato. L'uomo spesso posa a riformista dialogante, ma nell'ora decisiva mostra il suo volto più reale. Dice: "In qualsiasi Paese una sentenza che intima al leader di maggioranza di risarcire il vero leader dell'opposizione (De Benedetti ha la tessera n. 1 del Pd) avrebbe suscitato unanime condanna". Davvero in qualsiasi Paese, con l'eccezione di un'Italia gobba afflitta da malattie organiche, un imbroglione avrebbe potuto nascondere agli elettori le sue tecniche fino a diventare capo del governo? In quale altro Paese, scoperto l'imbroglio, il neoministro di Giustizia quasi come atto programmatico ne invoca l'impunità pretendendo la severa punizione dell'eretico che, truffato, ha chiesto il rispetto dei suoi diritti? In quale altro Paese un delitto commesso da un privato può essere cancellato in nome della sua funzione pubblica? Nelle poche parole del neoministro si può rintracciare il compendio delle "qualità" del ceto politico berlusconiano, i suoi strumenti, il suo metro: ignoranza, immoralismo cinico, illegalismo istituzionale, chiassosi stereotipi, menzogna sistematica e la totale eclissi dei due archetipi del sentimento morale: la vergogna e la colpa. Con tutta evidenza, siamo soltanto all'inizio del triste spettacolo che andrà in scena nelle prossime settimane perché - è chiaro - Berlusconi può abbozzare sulla manovra fiscale che riguarda gli altri, ma qui parliamo di lui, della sua "roba". E' per la "roba" che si è fatto politico e con la politica che vorrà salvare la sua "roba". Costi quel che costi.



Eurozona, riunione d'emergenza per gli attacchi speculativi all'Italia.


Eurozona, riunione d'emergenza per gli attacchi speculativi all'Italia

All'esame della Ue, in particolare, la situazione della Grecia 2e del Portogallo 3e, soprattutto, la crisi vissuta venerdì 4 scorso dalla Borsa italiana con una forte tendenza speculativa che ha portato Piazza Affari a chiudere in fortissimo ribasso, maglia nera dell'Europa. Al centro del summit, oltre agli attacchi speculativi contro l'Italia, sarà la discussione circa il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia. All'incontro, proseguono le fonti, è stato invitato anche il commissario europeo agli Affari economici e monetari Olli Rehn.

"L'Europa ha bisogno di crescita per risolvere il problema del debito, che è già arrivato all'89% del Pil". Lo ha dichiarato il consigliere speciale alla direzione del Fondo monetario internazionale, Zhu Min, intervenendo ai 'rencontres economiques' di Aix en Provence. "C'è bisogno di una strategia di crescita", ha sottolineato, invitando in particolare l'Unione europea ad impegnarsi per l'effettiva unificazione del mercato e a favorire l'apertura del settore finanziario ai flussi di capitale da investitori extraeuropei.

"Serve un approccio basato sul mercato per il 'capital raising' ", ha spiegato, mentre in Europa "c'è ancora del protezionismo, protezionismo sulle partecipazioni azionarie, e presenza degli Stati nel capitale delle aziende". Eliminare queste barriere, ha aggiunto, è un elemento chiave per "la stabilizzazione del settore finanziario" europeo.

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Favole … - di Claudia Petrazzuolo.


Due diversi tribunali di questa Repubblica, in due gradi di giudizio successivi e differenti tra loro per sedi e membri componenti, hanno sentenziato che il Sig. Cav. Dr. On. SEMPRONIO deve risarcire un altro signore, mettiamo a nome PINCO PALLO, per avergli sottratto a mezzo corruzione giudiziaria qualcosa di sua proprietà. Esiste ancora un grado di giudizio che, in teoria, potrebbe ribaltare le sentenze: La Corte di Cassazione; ma « La corte suprema di cassazione assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge … » (wikipedia), quindi si capisce bene che, a meno di nuovi casi META o di improvvise ed inopinabili scoperte di storture procedurali, non vi è in pratica nessuna possibilità in questo senso. Ora è norma che dopo il secondo grado di giudizio una sentenza civile divenga effettivamente esecutiva, per cui è diritto del risarcito incassare il suo credito così come è dovere del risarcente pagarlo. Chiunque di noi si trovi in una simile situazione, e nella fattispecie i nostri protagonisti SEMPRONIO e PINCO PALLO, non può fare altro che mettere le mani al portafogli e contati gli sghei rimetterli nelle altrui mani, e questo perché la legge prevede che non venga tirata troppo a lungo la corda dei rinvii in modo che il danneggiato non abbia a soffrirne oltre misura; va detto che è la stessa legge la quale valuta il risarcimento anche in funzione del danno che esso potrebbe arrecare al risarcente: in parole povere una sentenza di risarcimento non sarà mai talmente punitiva da rovinare il risarcente. Tutto ciò è quello che accade ogni giorno a centinaia, forse migliaia, di quei cittadini che rispettano la legge nella convinzione che essa sia al più possibile giusta e corretta, non pensando minimamente che essa possa, invece, essere tale solo quando è rispettivamente e soggettivamente favorevole.

“ Non un centesimo è dovuto … ennesimo pazzesco attacco a mio padre …” parole di Marina Berlusconi. “ Piuttosto che darli a De Benedetti, i soldi li do in beneficenza …” parole di Silvio Berlusconi. La figlia del nostro PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ed il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO STESSO, tutto il suo governo e tutta la maggioranza che lo sostiene, si sono espressi, oltre che nei termini riportati, con parole ulteriori simili nei contenuti e nei toni, rappresentando al mondo intero per l’ennesima volta un totale di sprezzo ed una totale ignoranza per e delle leggi del paese di cui dovrebbero essere ossequiosi esponenti e rappresentanti. Premesso che il loro sfogarsi ha una valenza pari a zero in quanto la legge farà il suo corso a prescindere da ogni e qualsiasi valutazione di parte, premesso che questa destra si è più volte lamentata di una mancanza nella certezza della pena per i colpevoli di un reato, premesso che “ a chi tocca tocca e nun ce se deve ‘ngrugnà”, tutto ciò premesso, a me questi atteggiamenti fanno piacere, li prendo come un esempio di comportamento ed esorto tutti quelli interessati a farlo e cioè TUTTI VOI, a non tralasciare questa opportunità, ma anzi di estenderla a tutte quelle occasioni in cui ciascuno può ritenere, a torto o a ragione, di sentirsi discriminato, perseguitato, vessato, trascurato, non capito, ignorato, tradito da questo stato imbelle e dalle sue leggi perché ciò che vale per uno in funzione di quanto stabilisce l’articolo 3 della COSTITUZIONE, deve giocoforza valere per tutti quanti GLI ALTRI; quindi chiedete al deputato o al senatore della vostra circoscrizione, a quel tipo che così liberamente avete scelto su velato suggerimento delle segreterie di partito, chiedetegli di promuovere, a vostra insaputa e contro la stessa vostra una volontà, ad esempio una legge contro le multe per divieto di sosta se queste superano i 5 euro e se ne fregano della mancanza di parcheggi; oppure potreste chiedere una legge per la prescrizione breve dei tempi d’attesa nelle prenotazioni di un’ecografia o di una tac; o ancora almeno un decreto di legge a carattere d’urgenza ed interesse nazionale a che si dia una VALENZA DI SACRALITA’ alla mia e vostra voglia di mandare tutti e tutto AFFANCULO!.

P.S. le righe a seguire sono UN INVITO A TUTTI GLI ELETTORI DEL CENTRO DESTRA ED ATUTTI QUELLI CHE SONO CONVINTI DELLA PERSUCUZIONE IN ATTO NEI CONFRONTI DEL CAVALIERE ad autotassarsi per quanto possono onde dargli un valido aiuto e contributo … : SECONO ME NON ARRIVIAMO AI CENTO EURO!.

estratto da fb - 10 luglio 2011


sabato 9 luglio 2011

Il Titanic-Italia verso la tempesta perfetta. - di Peter Gomez



Alla fine ce l’hanno fatta! I capitani coraggiosi che per quasi vent’anni si sono alternati alla guida del Paese sono finalmente riusciti a portarci a un passo dalla tempesta perfetta. Ancora un piccolo sforzo e, forse già lunedì mattina con la riapertura delle borse, la nave Italia si trasformerà in un Titanic dal destino quasi ineluttabile.

Una menzione speciale va perciò al premier Silvio Berlusconi, che proprio oggi ha visto riconoscere da una sentenza civile di appello, ciò che tutti sapevano, ma che quasi tutti facevano finta di non vedere.

Lo straordinario imprenditore che dal niente è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta deve buona parte delle sue fortune alle tangenti. E se adesso si riparla di quelle versate dall’avvocato Cesare Previti ai giudici di Roma in modo che il suo cliente e amico potesse impadronirsi della Mondadori, scippandola a Carlo De Benedetti, bisogna ricordare che l’elenco delle mazzette Fininvest è ben più corposo.

Ci sono quelle allungate dall’ex manager e attuale parlamentare Salvatore Sciascia per addolcire gli accertamenti della Guardia di Finanza. Ci sono quelle, da molti miliardi di lire, bonificate estero su estero a Bettino Craxi. E c’è quella da 600.000 dollari intascata dal legale inglese David Mills per dire il falso e salvare Berlusconi dalle condanne penali.

Una lista impressionante (e incompleta) utile per comprendere ciò che è accaduto, e sta accadendo, all’Italia. Berlusconi, il leader del centrodestra che ora piange falsamente miseria e protesta assieme a quasi tutto il suo partito, ha selezionato una classe dirigente fatta a sua immagine e somiglianza. Un gruppo di figuri bravi soprattutto ad arricchirsi e spingere tutti gli altri (noi) verso il baratro.

Mentre il presidente del Consiglio viene condannato a sborsare mezzo miliardo di euro come risarcimento per la rapina perpetrata sulla Mondadori, nel suo governo e nella sua maggioranza siedono frotte di pregiudicati, di imputati, di prescritti e di ladri di varia specie. Venerdì il responsabile dell’Agricoltura, Saverio Romano, nominato ministro nonostante le indagini in corso, si è ritrovato imputato per fatti di mafia. Il giorno prima Marco Milanese, il braccio destro del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, aveva ( con poca sorpresa) scoperto di esseredestinatario di una richiesta di arresto per tangenti e associazione per delinquere.

Tremonti, che gli aveva di fatto delegato il compito di tenere i rapporti con la Guardia di Finanza e quello di sovrintendere alle nomine nelle società partecipate dal Tesoro, lo aveva mantenuto al suo posto sebbene sapesse da sei mesi di cosa era accusato. Il fatto poi che il responsabile dell’Economia abitasse in una casa pagata da Milanese 8.500 euro al mese e che la sua portavoce fosse la compagna dello stesso Milanese, deve spingere a una riflessione: o Tremonti è un uomo poco intelligente incapace di scegliersi i collaboratori (e perciò non può continuare a fare il ministro) o ha qualcosa da nascondere.

Continuare a far finta che questo quadro – al quale vanno aggiunte le storie dei vari Fitto,Berruti e compagnia cantante – non c’entri con la rincorsa che il Paese sta facendo per raggiungere la Grecia, é da stupidi. Prendersela con i cosiddetti mercati, maledire gli speculatori, è da ipocriti.

In tempi di crisi economica la credibilità delle classi dirigenti è fondamentale. Sostenere che gente del genere possa mettere la faccia su una manovra economica in grado di rassicure gli investitori esteri e di ristabilire un po’ di giustizia sociale in Italia, è da incoscienti.

Certo, inutile nasconderlo, anche guardando dall’altra parte, nelle fila della cosiddetta opposizione, spesso c’è poco da stare allegri. Quella che stiamo vivendo è una crisi di sistema. Del nostro sistema politico di cui Berlusconi è solo il piu visibile, ma non unico, campione.

La lettura dei giornali ci fa intuire come l’Italia sia a un passo dallo scoperchiare una nuova tangentopoli. Le varie fondazioni di cui si sono dotati molti sedicenti leader a partire dagli anni Novanta si stanno rivelando semplicemente degli schermi per tentare di nascondere, in maniera formalmente legale, finanziamenti di dubbia provenienza e, forse, vere e proprie tangenti. Lo insegnano sia il caso Pronzato, il responsabile dei trasporti aerei del Pd, che incassava denaro da imprenditori interessati a ottenere rotte dall’Enac, sia il caso Milanese.

Il parallelismo tra le due vicende è evidente. Chi, secondo l’accusa, pagava Pronzato versava anche soldi – con finanziamenti registrati, ma non pubblici – alla fondazione Italiani Europei che fa capo a Massimo D’Alema. Chi invece dava barche sottocosto a Milanese per ottenere nomine all’Enav foraggiava pure la Fondazione Casa delle Libertà.

Se si tiene conto che le fondazioni sono decine e decine e che in qualche caso alla testa di esse si trovano personaggi già condannati in Mani Pulite o coinvolti in altre indagini sulla pubblica amministrazione, ecco che il sospetto di trovarsi davanti a un metodo di sottogoverno diventa fortissimo. Anche perché i nomi dei finanziatori delle fondazioni vengono mantenuti riservati, invocando senza imbarazzo alcuno (lo ha fatto proprio D’Alema) le leggi sulla privacy.

E’ il lato oscuro della Casta. E’ il non detto di un’oligarchia inefficiente e costosa che a volte si palesa votando contro l’abolizione delle provincie (o astenendosi). E altre volte si mostra approvando leggi finanziarie che colpiscono solo i piccoli risparmiatori e rimandano di anni ogni riduzione dei costi della politica.

Imprecare, disperarsi, tentare di raggiungere in massa le scialuppe di salvataggio del Titanic-Italia, però non serve. La tempesta è brutta è vero. Ma fortunatamente non è ancora perfetta. Meglio che i passeggeri comincino a spiegare con calma a tutti che cosa sta accadendo. E che si organizzino per cambiare ciurma e comandante. Invertire la rotta ancora si può, lo dimostra quello che è successo a Napoli e Milano. Ma bisogna farlo in fretta. Prima che sia troppo tardi.



Indebitamento imprese a 980 miliardi di euro.


L'aumento del tasso d'interesse porterà un incremento pari a circa 2,45 miliardi di euro. Le regioni col più alto tasso di esposizione verso le banche sono la Puglia e la Sicilia

MESTRE - L'indebitamento delle imprese italiane ha superato i 980 miliardi di euro e con l'aumento del tasso di interesse avvenuto nei giorni scorsi, il sistema delle imprese dovrà farsi carico di un costo aggiuntivo pari a 2,45 miliardi di euro.

A lanciare l'allarme è il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che ha analizzato la situazione debitoria delle imprese italiane (aumentata nell'ultimo anno del +6,1%) e gli effetti economici che le stesse subiranno nei prossimi mesi a fronte dell'aumento di un quarto di punto percentuale del tasso ufficiale di sconto (Tus) deciso nei giorni scorsi dalla bce.

Pertanto, a fronte di un livello di indebitamento delle nostre imprese nei confronti del sistema bancario italiano pari a 980,169 mld di euro (dato riferito al 30-04-2011), l'innalzamento del Tus all'1,50% (aumento +0,25%), comporterà un incremento degli interessi annui a carico del sistema imprenditoriale italiano, pari a 2,45 mld di euro. A livello di singola impresa, secondo le stime della Cgia, questo aumento del costo del denaro causerà una spesa media annua aggiuntiva di 464 euro.

"Intendiamoci - prosegue Giuseppe Bortolussi - la decisione della Bce di aumentare il tasso di interesse determinerà un incremento del costo del denaro a livello locale sicuramente superiore allo 0,25%. Pertanto, possiamo dire con certezza che il costo aggiuntivo di 2,4 miliardi di euro è sottostimato. Inoltre - prosegue Bortolussi - non è nemmeno da escludere che questa operazione penalizzerà in maniera più pesante le piccole imprese delle grandi. Infatti, per un piccolo imprenditore il potere contrattuale nei confronti del sistema bancario è spesso molto modesto. Cosa diversa è quando al tavolo della trattativa con un istituto bancario si siede una grande impresa: questa può contare su un peso politico molto diverso da quello esercitabile, ad esempio, da un artigiano o da un piccolo commerciante".

A livello regionale, invece, saranno gli imprenditori della Lombardia, del Trentino e dell' Emilia Romagna a pagare il conto più salato. Per i primi, a fronte di un indebitamento complessivo pari a 269,4 miliardi di euro, ciascuna impresa subirà un aumento medio dei costi, pari a 818 euro l'anno. Per i secondi, gli incrementi di spesa saranno altrettanto importanti. Per le aziende del Trentino (debito complessivo pari a 28,8 miliardi di euro), l'incremento medio annuo dei costi per impresa sarà di 706 euro; per gli emiliano-romagnoli (con una esposizione bancaria di 108,2 mld di euro), l'aumento di spesa pro-azienda sarà di 631 euro.

"Infine - conclude Bortolussi - l'incremento dei debiti registrati nell'ultimo anno (30 aprile 2011 su 30 aprile 2010) è stato molto forte soprattutto nelle regioni del sud. A fronte di un dato medio nazionale pari al +6,1%, in calabria è stato del +8,1%, in basilicata del +8,2% e in campania del + 8,3%. Le punte massime, invece, si sono toccate in Puglia (+9%) ed in Sicilia (+9,9%").



Tremonti, discussione con Berlusconi: «Non sarà vittima del metodo Boffo».



Il ministro nell'interrogatorio del 17 giugno ai pm di Napoli Leggi l'interrogatorio
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NAPOLI - Ci fu una discussione animata ai primi di giugno con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulla «politica in generale e sulla manovra di pareggio economico da fare», nel corso della quale «manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella Boffo». È quanto riferito dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ai pm di Napoli che lo hanno ascoltato lo scorso 17 giugno nell'ambito dell'inchiesta sulla P4. L'Ansa ha potuto prendere visione del verbale dell'interrogatorio, durante il quale i magistrati hanno fatto ascoltare a Tremonti la registrazione di una telefonata avvenuta il 7 giugno scorso tra il presidente del Consiglio e il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, generale Michele Adinolfi. «Avevo già voci del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi, attesa la comune passione per il Milan». E ai pm che gli chiedono se rientra nella «fisiologia istituzionale» un rapporto diretto tra il premier ed il capo di stato maggiore della Gdf, Tremonti risponde: «Mi attengo a criteri istituzionali diversi e cioè mi relaziono solo con il comandante generale del corpo che, sia detto per inciso, è persona che stimo particolarmente».

LA DISCUSSIONE - Con Berlusconi, spiega Tremonti ai magistrati, «ebbi una discussione (...), seguito di precedenti discorsi sulla politica in generale, sulla manovra di pareggio economica da fare, eccetera», nella quale «io e il presidente del Consiglio manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio». Ad un certo punto della discussione, prosegue il ministro, Berlusconi espresse «posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta, alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto, se non ricordo male, manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella «Boffo». Ciò trovava riscontro in voci di Parlamento che mi sono permesso di segnalare al presidente». «Quando parlo di metodo Boffo - precisa poi Tremonti - mi riferisco alla propalazione sui mass-media di notizie riservate e/o infondate atte a screditare chi viene preso di mira. Non alludevo dunque, come voi mi chiedete, all'utilizzazione di notizie di carattere giudiziarie e riservate per fini strumentali. Con riferimento alla vostra indagine, ne ho appreso dell'esistenza solo dai giornali».

ALLA FINANZA - Capitolo Guardia di Finanza. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti disse al comandante generale della Guardia di Finanza «meno salotti, meno palazzi, consegne in caserme». Anche questa espressione è contenuta nel verbale di interrogatorio in qualità di persona informata dei fatti che Tremonti ha reso il 17 giugno scorso ai pm di Napoli Curcio e Woodcock nell'ambito dell'inchiesta sulla P4 e che è stato allegato all'indagine su tangenti in cui è coinvolto l'ex consulente di Tremonti, Marco Milanese.

LE CORDATE - I pm chiedono a Tremonti delle eventuale esistenza di cordate contrapposte all'interno della Guardia di Finanza. «A distanza di qualche tempo mi vado più sempre convincendo - risponde il ministro, nel verbale di interrogatorio come persona informata dei fatti di cui l'Ansa conosce il contenuto - del fatto che la rimozione dell'impedimento di legge a che gli alti ufficiali della Gdf potessero ricoprire l'incarico di comandante generale è stata, per un verso, positiva, perché al vertice del Corpo viene nominata persona che conosce le problematiche dello stesso e ha le necessarie competenze, ma ha portato anche conseguenze negative, nel senso che si sono creati meccanismi di competizione tra possibili candidati, meccanismi potenzialmente negativi».

INDIRIZZO - «Voglio essere chiaro - ha spiegato il ministro - gli alti ufficiali nella prospettiva di diventare comandanti generali hanno preso a coltivare relazioni esterne al Corpo che non trovo opportune: più esattamente c'è il rischio, la tendenza di eccesso di competizione». «Mi sono permesso nella mia qualità di ministro, qualche tempo dopo la nomina del primo comandante generale appartenente al Corpo, avendo verificato o avendo avuto voce di un certo attivismo relazionale di alcuni generali in servizio a Roma di suggerire al Comandante generale di dare alcune direttive nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Gli dissi: «meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma». «Ribadisco che nella mia funzione, anche memore di alcune polemiche passate, ho sempre evitato di avere rapporti diretti di tipo operativo con alti ufficiali della Gdf. Applicando correttamente la legge ho ritenuto giusto limitare la mia funzione a quella di indirizzo esercitando la stessa direttamente ed esclusivamente verso il comandante generale».

«MAI AVUTO DA LUI OROLOGI IN REGALO» - «Per quanto riguarda il dono di un orologio da parte di Milanese alla mia persona, escludo di aver mai ricevuto il dono in oggetto» dice il ministro dell'Economia Giulio Tremonti al pm di Napoli Vincenzo Piscitelli. Nell'interrogatorio, di una pagina, il ministro sottolinea che Milanese, in qualità di consigliere politico del ministero, «svolge un ruolo di raccordo con il Parlamento, essendo egli stesso parlamentare». Tremonti racconta inoltre di aver conosciuto Milanese «intorno al 2001, in occasione della sua applicazione quale aiutante di campo presso il ministero dell'Economia». E infine risponde ad una domanda degli inquirenti: «non c'è mai stata una collaborazione professionale del Milanese nello studio professionale di cui sono stato socio». (fonte Ansa)

http://www.corriere.it/politica/11_luglio_08/tremonti-pm-gdf_91e6d190-a980-11e0-b750-7ee4c4a90c33.shtml