domenica 29 aprile 2012

Amministrative, partiti in campo. Pdl chiama Lega. 'No' di Maroni.


Angelino Alfano e Mario Monti


Roma - (Adnkronos) - Alfano: "Non abbiamo mai ritenuto chiuso del tutto il nostro rapporto con i leghisti". La replica del leader del Carroccio: "I militanti vogliono andare avanti da soli". Casini: "Pdl faccia il suo percorso". Grillo attacca ancora Napolitano. Bersani: "Democratici uniti contro il populismo". Il 6 e 7 maggio al voto in 1.000 Comuni (SPECIALE)


Roma, 29 apr. - (Adnkronos) - Week end di campagna elettorale con un occhio alle amministrative di domenica prossima e non solo. Il test dei comuni è atteso dalle forze politiche per calibrare le mosse dei prossimi mesi, decisivi per l'assetto con cui si andrà alle politiche del 2013. Salvo interruzioni anticipate della legislatura che, ancora oggi, i leader impegnati in campagna elettorale sono tornati a smentire.
Avanti con il governo Monti, dunque, preparando il dopo Professore. Il Pdl continua il pressing sull'Udc di Pier Ferdinando Casini. Senza considerare "del tutto chiuso" però "il rapporto con la Lega", come ha detto oggi Angelino Alfano ricevendo però un 'no grazie' dal Carroccio. Sono i militanti leghisti che del Pdl non ne vogliono più sentir parlare a detta di Roberto Maroni. In casa Pd intanto Pier Luigi Bersani, in un messaggio al segretario del Psi, Riccardo Nencini, che celebra i 120 anni della nascita del partito, invita tutti i democratici (e non solo quelli di sinistra) ad unirsi contro il "populismo".
Quello di Beppe Grillo, tanto per cominciare. I partiti attendono con una certa apprensione il risultato del Movimento 5 Stelle e dell'onda antipolitica che porta con sé. Oggi il comico genovese in un comizio a Veggiano, vicino Padova, è tornato ad attaccare il Giorgio Napolitano. Il presidente, attacca Grillo, serve soltanto a "costare tre volte quello che costa la Regina d'Inghilterra a Buckingham Palace", a firmare il lodo Alfano e garantire i partiti.
Angelino Alfano, oggi impegnato in Veneto per la compagna elettorale, torna a blandire la Lega. "Noi -spiega- abbiamo dato al Paese stabilità e riforme governando con la Lega e non abbiamo mai ritenuto chiuso del tutto il nostro rapporto con il Carroccio, nonostante la Lega abbia scelto di separarsi da noi per queste elezioni amministrative non già per un problema relativo alle singole comunità locali ma per una scelta politica nazionale perché noi abbiamo deciso di sostenere il governo Monti e loro no''.
"Per la prospettiva -sottolinea il segretario del Pdl- noi non riteniamo chiuso il rapporto con la Legacosì come non lo riteniamo chiuso con i segmenti moderati del sistema politico italiano, perché noi faremo una grande offensiva diplomatica per riunire i moderati italiani e far sì che loro possano tornare a governare insieme il paese".
"Devo dire -ammette Alfano- che da questo punto di vista le elezioni amministrative in corso non aiutano; quindi crediamo tutto ciò a cui ho fatto cenno adesso dovrà avere come momento ideale il post voto amministrativo"
Il pressing del Pdl, però, resta innanzitutto concentrato sui centristi. Alfano assicura che questa apertura non crea "nessun problema con gli amici che provengono da An".
"Io -aggiunge- come segretario politico ho come obiettivo prioritario di fare sì che il Pdl rimanga qualcosa di molto robusto, forte e integro che non vada a parcellizzarsi o a frazionarsi". Secondo Alfano, quindi "l'obiettivo è quello di tenere insieme coloro i quali hanno una visione dei problemi sociali alternativa a quella della sinistra. Il modo migliore di cominciare non è di frazionarsi ma è di unificare".
Casini, però, continua a mantenere le distanze, invita il Pdl a fare il suo percorso e quanto ad Alfano che non considera chiuso il rapporto con la Lega, risponde: "E' un problema loro". Noi , aggiunge il leader dell'Udc, "abbiamo una convergenza a sostenere il governo con il Pdl e il Pd. Il giorno in cui ci presenteremo alle elezioni ci sarà una nuova offerta politica che stiamo costruendo. Il Pdl farà il suo percorso".
Anche Casini oggi è intervenuto sul 'fattore' Grillo invitando a non dare troppo peso al Movimento 5 Stelle. "Grillo non mi impressiona. Quello che mi preoccupa in questo momento è l'insieme di populismo e smemoratezza". Secondo il leader dell'Udc, Grillo "è l'altra faccia della medaglia del cappio agitato in Parlamento vent'anni fa" dalla Lega, ma "sono un signore e non dico com'è andata a finire".
Anche il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, attacca Grillo: "E' un populista, un qualunquista. Ma ve lo immaginate un Paese guidato da Grillo? Sarebbe una catastrofe". L'esponente di Fli parla anche dalla leadership del Terzo Polo e non ha buone parole per Casini: non può essere il leader alla prossime politiche perché, spiega, "per riunire tutti bisogna prendere un rappresentante esterno dalla politica, un papa straniero. Montezemolo, Marcegaglia, oppure soggetti del governo Monti che vogliono entrare in politica".
Meno che mai Bocchino vede un ruolo per Silvio Berlusconi. "Certo non può essere lui a riunire i moderati perché li ha divisi, deve lasciare la politica attiva mentre vedo che nel Pdl decide ancora tutto lui". E il Cavaliere, in un'anticipazione di un'intervista a 'Gente', dice di essere veramente intenzionato a lasciare l'impegno politico. "Non è vero che penso al Quirinale come al mio futuro. Quello che spero è che, profittando della pausa della contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, si possa arrivare a un cambiamento dell'assetto istituzionale che renda finalmente governabile questo Paese. Il mio impegno in politica potrebbe concludersi con questo successo".


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Amministrative-partiti-in-campo-Pdl-chiama-Lega-No-di-Maroni_313253211418.html

Africa: nuove violenze contro i cristiani. Almeno 20 morti tra Nigeria e Kenya.


africabomba_interno nuova

A Kano l'attentato più grave: in un teatro dove si stava celebrando una messa è avvenuta un'esplosione, poi si sono sentiti anche colpi d'arma da fuoco. Ci sono anche molti feriti. Anche a Nairobi l'attacco è partito durante una funzione religiosa. Mancano ancora rivendicazioni, ma entrambi i Paesi sono minacciati da tempo da gruppi fondamentalisti.

Sono almeno 20 i morti in seguito a un’esplosione nella zona universitaria di Kano, nel nord della Nigeria, avvenuta mentre si celebrava una messa di rito cristiano all’interno di un teatro. Prima è stata udita una forte esplosione davanti all’ingresso del teatro, poi testimoni hanno raccontato di aver udito colpi d’arma da fuoco, il che lascia pensare che dopo l’esplosione sia intervenuto un commando armato. Kano è stata teatro negli ultimi mesi di sanguinosi attentati targati Boko Haram, gruppo fondamentalista islamico che punta a imporre la Sharia nel paese e i gruppi cristiani presenti sono spesso bersaglio delle milizie fondamentaliste. 
Episodio simile in Kenya. Una granata lanciata appena prima della celebrazione di una messa aNairobi ha ucciso il sacerdote e ha ferito 10 fedeli. Il primo bilancio è stato diffuso dalla polizia locale. Si tratta della chiesa internazionali dei Miracoli situata nel distretto di Ngara. I feriti meno gravi, sei persone, sono stati trasportati  nell’ospedale Guru Nanak mentre gli altri nell’ospedale Nazionale Kenyatta. Secondo alcuni testimoni la bomba potrebbe essere stata sistemata sotto un altare da uno degli assistenti alla funzione religiosa, probabilmente quindi un complice degli attentatori. L’attacco non e’ stato rivendicato.
A marzo una persona rimase uccisa in un simile attacco a Mombasa e successivamente nove persone sono morte in un attacco alla stazione degli autobus di Nairobi. La settimana scorsa l’ambasciata americana aveva avvertito i propri concittadini in Kenya del pericolo attentati. E’ quindi l’ultimo di una lunga serie di piccolo attacchi registrati nel paese africano da quando Nairobi ha inviato le sue truppe nella confinante Somalia lo scorso ottobre, in reazione ad incursioni da parte di militanti somali in territorio keniota. Il timore dell’intelligence Usa è che ci si trovi nella fase finale di preparazione un attacco in grande stile, tipo quelli controle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania nel 1998.

sabato 28 aprile 2012

Parafarmacie, sarà l’Europa a decidere sulla vendita dei farmaci di fascia C. - di Alessandro Madron





L’esito del ricorso, che era stato proposto al Tar lombardo dalla titolare di una parafarmacia di Saronno (Va) contro l’Asl di Varese, il ministero della Salute, l'Aifa, il comune di Saronno e la Regione Lombardia, riaprirà la partita sull’estensione delle competenze delle 3800 parafarmacie italiane.

Sarà la Corte di Giustizia Europea a pronunciarsi sulla norma che vieta alle parafarmacie italiane di vendere farmaci di fascia C, quelli con obbligo di ricetta medica ma interamente a carico del cittadino. Il Tar della Lombardia, con un’ordinanza dello scorso 22 marzo, ha infatti deciso di rinviare alla Corte di Giustizia Europea la norma che vieta alle parafarmacie di vendere questa tipologia di medicinali (tra questi ci sono ad esempio antidepressivi, pillole anticoncezionali, farmaci per disfunzioni erettili). Per il Tar questa norma sarebbe infatti in contrasto con la legislazione comunitaria.
L’esito del ricorso, che era stato proposto dalla titolare di una parafarmacia di Saronno (Va) contro l’Asl di Varese, il ministero della Salute, l’Aifa, il comune di Saronno e la Regione Lombardia, riapre la partita sull’estensione delle competenze delle 3800 parafarmacie italiane: “Il Tar ha ritenuto fondate le discriminazioni operate nei confronti dei farmacisti di parafarmacie e dei relativi esercizi e ha rimesso la questione alla Corte di giustizia europea – spiega il Coordinamento nazionale delle parafarmacie presieduto da Giuseppe Scioscia -. L’ordinanza è motivo di soddisfazione per i farmacisti titolari di parafarmacia che purtroppo non hanno visto riconosciuti, se non in parte minima e insufficiente i loro diritti nemmeno nel recente decreto liberalizzazioni”. Infatti il decreto liberalizzazioni non ha sciolto il nodo dell’interdizione alla vendita dei farmaci di fascia C al di fuori delle farmacie, limitandosi a rinviare ad un secondo momento l’approvazione di un provvedimento che prevedesse una lista di medicinali da ammettere alla vendita anche nelle parafarmacie.
Nel provvedimento del Tar si sostiene che non vi sarebbero motivazioni per impedire la vendita di questi farmaci, sottolineando come la disciplina italiana sembri essere in contrasto con la normativa europea “in quanto idonea a rendere di fatto impossibile lo stabilimento di un farmacista in Italia che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C, oltre che rendere più difficile lo svolgimento di tale attività economica nel mercato nazionale”. Secondo il Tribunale amministrativo lombardo “non sembrano esserci motivi che possano giustificare una tale restrizione all’esercizio di una libertà economica, né vi è alcuna motivazione legata all’obiettivo di ripartire in modo equilibrato le farmacie nel territorio nazionale, né di aumentare la sicurezza e qualità dell’approvvigionamento della popolazione di medicinali, di un eccesso di consumo o di ammontare di risorse pubbliche assorbite”. “Vediamo ora come si pronuncerà la Corte europea – ha commentato Giuseppe Scioscia – noi comunque continueremo a lottare perché sia autorizzata la vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie”.
Le parafarmacie vedono nella notizia di questi giorni un segnale positivo, ma i tempi per il pronunciamento della Corte di giustizia europea non sono immediati: “A volte possono passare anche due anni – spiega Cristoforo Osti, avvocato dello studio legale internazionale Clifford Chance, esperto di antitrust e diritto europeo – dopodiché la questione tornerà al giudice italiano (in questo caso al Tar della Lombardia, nda), che dovrà emettere una sentenza sulla base di quanto espresso dalla Corte di giustizia europea”. Dunque, non solo si dovranno attendere i tempi della rigorosa giustizia dell’Unione, ma anche quelli dell’intero iter di quella italiana, con i suoi diversi gradi di giudizio.
In quanto al pronunciamento della Corte di giustizia dell’Ue, va sottolineato come questa non entri nel merito, ma si esprima solo su questioni di diritto: “È un giudizio su una questione di interpretazione – spiega Cristoforo Osti – il giudice non risolve il caso, fornirà dei principi interpretativi, vale a dire che stabilirà se la norma italiana è o non è in contrasto con la disciplina dell’Unione”.
Traducendo in pratica, l’organo che vigila sull’applicazione del diritto nei paesi membri potrebbe esprimersi contro la legge italiana se dovesse stabilire che, ad esempio, questa impedisca a un qualsiasi parafarmacista di un paese dell’Unione di impiantare la propria attività in Italia, perché la legge nazionale rende l’iniziativa imprenditoriale antieconomica. Ma sarà comunque il giudice nazionale a dover entrare nel merito della faccenda, intervenendo sulla controversia.
Nonostante tempi lunghi e le incertezze di una procedura complessa, per le parafarmacie il rinvio alla Corte di giustizia europea rappresenta comunque una speranza. Lo spauracchio di una procedura di infrazione, seppur ancora lontana nel tempo, potrebbe infatti bastare per innescare nel governo Monti, che ha dimostrato di essere decisamente sensibile alle pressioni dell’Unione, una revisione della norma finita sotto la lente dell’Ue.

Farmaci da banco e fascia C, la lotta per una torta da 3,5 miliardi di euro. - di Franco Stefanoni





Era la fetta più grossa della torta in palio: circa 3,5 miliardi di spesa annua presa dalle tasche dei cittadini. Il fatto che, dopo un’aspra battaglia politica e lobbystica, la vendita dei farmaci di fascia C sia rimasta monopolio dei 17mila titolari di farmacia, ha segnato una vittoria per la Fofi (Federazione degli ordini dei farmacisti) e Federfarma (sindacato di categoria). Viceversa, a perdere sono state le parafarmacie e i corner aperti negli ipermercati, punti vendita introdotti nel 2006 e da allora autorizzati a commercializzare solo farmaci da banco, ovvero senza ricetta. Erano sei anni che spingevano per vendere anche la fascia C, che prevede obbligo di prescrizione da parte del medico e costi a carico dei cittadini. Il governo Monti le aveva illuse. Niente da fare: le parafarmacie hanno avuto altro, come la partecipazione facilitata ai concorsi per l’aumento delle farmacie sul territorio o la possibilità di vendere anche prodotti veterinari. Ma ciò che non potranno fare è offrire sui loro banconi quei farmaci a cui tanto aspiravano.
L’elenco di fascia C comprende circa 3.800 medicinali per la cura, tra l’altro, di depressione, infezioni, infiammazioni, forti dolori, stitichezza, disfunzioni erettili, ansia. In termini di spesa nazionale, dominano le benzodiazepine con 550 milioni di euro, i contraccettivi orali con 270 milioni, i prodotti anti-impotenza con 240 milioni. Ne fanno parte farmaci di largo consumo come Aulin, Tavor, Viagra, Yasmin. La posta in gioco era alta. Tra medicinali da banco e fascia C, si tratta di circa il 30% dell’intero mercato farmaceutico italiano. Alle parafarmacie faceva gola per motivi di sopravvivenza economica e di dignità professionale: in Italia oggi sono circa 4mila (circa la metà, però, secondo i colleghi avversari) e dicono di essere discriminate. Grazie alla fascia C, hanno detto, ci sarebbero stati inoltre sconti a vantaggio degli utenti. Ma tutto questo alle farmacie tradizionali non poteva andare giù: hanno così evocato l’uso improprio di farmaci sensibili (soprattutto nei corner degli ipermercati) con il rischio di consumi anomali e pericolosi, mentre gli sconti a loro dire sarebbero stati una chimera. A fine marzo, con 365 sì, 61 no e sei astenuti, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il cosiddetto decreto Cresci Italia che ha escluso che le parafarmacie e i corner possano condividere il business dei medicinali di fascia C con i colleghi e avversari titolari di farmacia.
Questi ultimi, ben rappresentati in Parlamento e molto attivi nell’influenzare le decisioni politiche, si sono comunque lamentati poiché reputano un danno il futuro aumento di 4-5 mila esercizi sul numero complessivo di farmacie, che dovrebbe avvenire in seguito alla modifica del quorum minimo di abitanti necessario per aprire ogni singolo punto vendita. Hanno anche minacciato serrate e manifestazioni di protesta. Le associazioni che raccolgono le parafarmacie, invece, in un primo tempo hanno gridato alla falsa liberalizzazione, si sono dette deluse, ma poi hanno finito per accontentarsi. A parziale compensazione, la nuova legge ora prevede che una parte dei farmaci inclusi nella fascia C possano essere declassificati ed essere venduti anche nelle parafarmacie. È una valutazione che farà l’Aifa (Agenzia unica del farmaco) e che sarà oggetto di decisioni del ministero della Salute. Ne potrebbero far parte prodotti come Fluimicil, Voltaren o Tachipirina. Ma, viene detto, su cosa far entrare oppure no nella lista inciderà non poco il peso delle lobby, dove i titolari di farmacia dominano.

Il successo è:



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10150773480757490&set=a.10150125068887490.298134.85251367489&type=1&theater

«Dossier illegali di Belsito sui leghisti Milioni verso un conto in Svizzera». - Fiorenza Sarzanini



Francesco Belsito (Ansa)


Nella «lista nera» dell'ex tesoriere oltre a Maroni, Reguzzoni e Giorgetti. Archiviate anche foto, forse frutto di pedinamenti.

REGGIO CALABRIA - Dossier illegali per ricattare uomini della Lega. Documenti riservati, fotografie e altre informazioni segrete che Francesco Belsito custodiva nei files dei suoi personal computer. L'inchiesta sul tesoriere della Lega Nord accusato di riciclaggio e appropriazione indebita arriva a una svolta che potrebbe rivelarsi decisiva. Gli investigatori della Dia hanno recuperato il materiale informatico e adesso sono sulle tracce di un conto cifrato svizzero che il gestore contabile del Carroccio avrebbe utilizzato per alcuni investimenti. Si tratta di un deposito messo a disposizione dagli uomini che risultano emissari della 'ndrangheta a Milano, i procacciatori d'affari della «cosca De Stefano». Le verifiche già disposte dal pubblico ministero antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo dimostrano quanto stretto fosse il collegamento tra Belsito e il gruppo criminale. E quanto forte fosse diventata la loro capacità di infiltrazione nelle istituzioni con accessi illeciti alle banche dati degli Enti e il procacciamento di atti da usare contro gli avversari politici. Nella «lista nera» dell'ex tesoriere non c'erano soltanto Roberto Maroni e i suoi «barbari sognanti». Anche Marco Reguzzoni e Giancarlo Giorgetti sarebbero stati spiati. 
Le commesse estere
Il sistema di archiviazione utilizzato da Belsito prevedeva la creazione di un sito internet al quale lui e i suoi presunti complici potevano accedere utilizzando la stessa password. In questo modo evitavano spedizioni di posta elettronica che avrebbero potuto essere intercettate. Proprio analizzando il contenuto di questi "faldoni informatici" gli specialisti della Dia e della polizia postale hanno rintracciato atti che riguardano appalti esteri ottenuti da Finmeccanica e Fincantieri, l'azienda di costruzioni navali di cui Belsito è stato vicepresidente. Carte coperte dal segreto che rivelano il procacciamento di informazioni preziose come i costi di gestione, i nomi dei mediatori scelti per le trattative, i manager impegnati, gli eventuali collegamenti di questi ultimi con uomini politici, le autorità straniere coinvolte negli affari. Dati "sensibili" che in alcune circostanze potrebbero essere addirittura coperti dal segreto di Stato visto che queste aziende si occupano di armamenti e di altre sofisticate apparecchiature impiegate nei sistemi di difesa.
Una mole impressionante di notizie che il tesoriere avrebbe acquisito grazie al proprio ruolo istituzionale, ma anche attraverso chiavi di accesso ottenute in maniera illegale. L'analisi del materiale informatico dimostra intrusioni abusive, ma il sospetto degli inquirenti è che Belsito abbia potuto contare anche su "talpe" interne alle aziende disposte a fornirgli materiale riservato. Certamente ha condiviso una parte di queste informazioni con Romolo Girardelli, conosciuto come "l'ammiraglio", il procacciatore d'affari della "cosca De Stefano" con il quale aveva creato una società a Genova; e ha potuto contare sulle ricerche effettuate da un investigatore privato che aveva assoldato negli ultimi mesi. Probabilmente lo stesso che si era occupato della «pratica Maroni». I contatti intercettati rivelano anche la collaborazione di un appartenente alle forze dell'ordine che poteva consultare gli archivi di polizia e degli uffici giudiziari e sul ruolo di questa persona sono state disposte ulteriori verifiche. 
I ricatti ai politici
Si tratta di personaggi che, soprattutto negli ultimi mesi, compaiono spesso al fianco di Belsito. Lo scorso gennaio, quando il quotidiano di Genova "Il Secolo XIX" svela gli investimenti dei fondi della Lega in Tanzania e a Cipro, numerosi esponenti del partito chiedono conto al vertice di quanto sta accadendo. Sono le conversazioni telefoniche e ambientali a rivelare le preoccupazioni di Umberto Bossi e dei fedelissimi inseriti nel "cerchio magico" come Rosi Mauro, per le ricadute che la vicenda potrà avere sul movimento e soprattutto sulla leadership. Ma consentono anche di ricostruire le "pressioni" di alcuni esponenti di primo piano del Carroccio - ad esempio Roberto Castelli - su Belsito affinché scopra le carte e spieghi come ha gestito il denaro proveniente dai rimborsi elettorali e dal tesseramento. L'esame dei files ha consentito di scoprire come in quei giorni Belsito abbia intensificato la propria attività di raccolta di notizie e dunque di dossieraggio su coloro che ne sollecitavano le dimissioni.
Nel mirino entrano Maroni e i suoi collaboratori più stretti. Ma non solo. La raccolta di dati riservati riguarda molte altre persone: tra i nomi già emersi ci sono quelli di Reguzzoni e Giorgetti. Si tratta di materiale che, dicono gli investigatori, è stato certamente ottenuto utilizzando strumenti illeciti. Nei files archiviati ci sono fotografie e ciò fa presumere che gli esponenti politici possano essere stati pedinati, o comunque tenuti sotto controllo. Il resto degli elementi raccolti attraverso intrusioni illegali nei sistemi, riguarda aspetti della loro vita privata, con ricerche effettuate nelle banche dati dell'Agenzia delle Entrate, del Catasto, della Camera di Commercio e di altri Enti per conoscere l'entità dei redditi, le proprietà immobiliari e societarie, eventuali partecipazioni in aziende. Si tratta di informazioni riservate e spesso coperte dalla legge sulla privacy servite a costruire i dossier che, sostiene l'accusa, servivano a ricattare i nemici, a tenerli in scacco.
Il conto svizzero cifrato
In questa partita giocata dal tesoriere un ruolo chiave sembra averlo avuto Girardelli. Gli interrogatori dei testimoni hanno consentito di scoprire che i rapporti tra quest'ultimo e la Lega non sono cominciati con la nomina dello stesso Belsito, ma ben prima, quando la cassa del partito era gestita da Maurizio Balocchi. In particolare è stata l'ex dipendente del settore contabilità di via Bellerio Helga Giordano, interrogata nuovamente ieri, a ricordare le visite dell'"ammiraglio" nella sede del partito. Sarebbe stato proprio Girardelli a metterebbe in contatto Belsito con Bruno Mafrici, l'avvocato calabrese con studio in via Durini a Milano, accusato di aver riciclato attraverso commesse pubbliche e transazioni private i soldi della 'ndrangheta. Tra i soci del legale figura anche Pasquale Guaglianone, condannato con sentenza definitiva per appartenenza ai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari dell'estrema destra. Entrambi risultano aver avuto rapporti con il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti.
La scorsa settimana Mafrici è stato interrogato dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo e ha dato la sensazione di voler "scaricare" Belsito. Quando gli sono stati chiesti chiarimenti su operazioni finanziarie comuni, l'avvocato ha dichiarato: «Belsito mi chiese di poter investire soldi all'estero e io gli misi a disposizione almeno dieci faccendieri di mia fiducia che avrebbero potuto aiutarlo ad operare in Svizzera, in particolare a Lugano». Nelle carte già acquisite dal magistrato ci sono tracce che fanno ipotizzare passaggi di denaro per un totale di almeno 50 milioni di euro. Soldi della Lega, ma non solo. Il sospetto è che quello stesso deposito cifrato possa essere stato utilizzato da tesoriere del Carroccio e dalla 'ndrangheta. Per questo nei prossimi giorni la Procura di Reggio Calabria inoltrerà una richiesta di rogatoria alle autorità svizzere per chiedere di interrogare i mediatori indicati da Mafrici e soprattutto di visionare la documentazione bancaria.
Il direttore di Arner
Secondo Nadia Dagrada, segretaria amministrativa della Lega, nello studio di via Durini Belsito aveva a disposizione una stanza. Gli inquirenti stanno cercando di scoprire perché il tesoriere del Carroccio avesse deciso di usufruirne, visto che a Milano la sua sede era in via Bellerio. In realtà il sospetto è che proprio lì svolgesse incontri riservati, attività che faceva figurare come svolte per la Lega, ma che in realtà servivano a gestire il denaro dei personaggi collegati alla 'ndrangheta. In questo quadro viene inserita una riunione che si sarebbe svolta nel febbraio scorso.
È il periodo di massima allerta per Belsito che ha urgenza di recuperare le somme investite in Tanzania e a Cipro: oltre sette milioni di euro portati all'estero attraverso due distinte operazioni finanziarie. Il partito reclama il rientro dei capitali, il tesoriere chiede aiuto a Stefano Bonet, l'imprenditore ora indagato insieme a lui per riciclaggio. E l'interlocutore è categorico: «Gli unici che possono aiutarti sono quelli di Arner». Si tratta della banca diventata famosa perché il suo conto numero uno è intestato a Silvio Berlusconi e tutti i "fedelissimi" del Cavaliere - da Cesare Previti a Salvatore Sciascia, il direttore dei servizi fiscali del gruppo Fininvest condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 6 mesi per la corruzione di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza - hanno un deposito aperto presso l'istituto. Belsito decide di provarci e qualche giorno dopo viene organizzato un incontro con il direttore di Arner Italia proprio nello studio di via Durini. Non si sa che cosa sia accaduto, quali accordi siano stati presi, ma l'operazione comunque salta perché poco dopo scattano le perquisizioni e la Lega viene travolta dalle inchieste avviate dalle Procura di Milano, Reggio Calabria e Napoli. 
Gli immobili a Cap d'Antibes
La divisione dei fascicoli appare ormai definita: mentre in Lombardia ci si concentra sui soldi utilizzati per pagare i conti della famiglia di Umberto Bossi e di altri politici del Carroccio, in Campania viene esplorata la pista delle commesse internazionali di Finmeccanica e in Calabria quella dei rapporti con la criminalità organizzata. Il pubblico ministero Lombardo ha interrogato ieri il "pentito" di 'ndrangheta Luigi Bonaventura che vive sotto protezione. Altri collaboratori di giustizia potrebbero essere ascoltati nelle prossime settimane.
Al centro delle verifiche c'è il ruolo di Girardelli e i rapporti con i tesorieri della Lega per scoprire se anche loro possano essere stati coinvolti in alcuni investimenti immobiliari effettuati in Costa Azzurra, in particolare a Cap d'Antibes, per conto della «cosca De Stefano». Si tratta di operazioni da milioni di euro servite soprattutto a riciclare denaro proveniente dai traffici illeciti e in questo caso si deve verificare se gli esponenti politici possano essere stati utilizzati come «copertura» e per fornire garanzie.