Proprio mentre si diffondeva la notizia del presunto tentato suicidio di Bernardo Provenzano, una crisi cardiaca avrebbe colpito un altro dei boss di Cosa nostra. Si tratta del ‘cassiere della mafia’ Pippo Calò, 81 anni, detenuto nel carcere di Ascoli. Secondo quanto si è appreso sarebbe stato trasportato in un ospedale di Ancona.La notizia arriva da Palermo dove oggi il boss avrebbe dovuto presenziare in teleconferenza a un processo per un delitto di mafia in provincia di Agrigento. E’ lo stesso processo in cui è imputato Bernardo Provenzano che, ieri sera, ha tentato di togliersi la vita in carcere.
http://oltrelostretto.blogsicilia.it/il-cassiere-della-mafia-pippo-calo-colpito-da-crisi-cardiaca/86900/
Superboss Provenzano tenta suicidio in carcere
Ma per Dap sarebbe stata solo una simulazione. Crisi cardiaca, ricoverato Pippo Calo'
Il superboss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano ha tentato il suicidio nel carcere di Parma: è stato salvato da personale della polizia penitenziaria. Il fatto è avvenuto nella tarda serata di ieri nell'area riservata della struttura: secondo quanto ha appreso l'ANSA, Provenzano, che era a letto, ha infilato la testa in una busta di plastica con il proposito di uccidersi. In uno dei ripetuti controlli, si è subito accorto del fatto un poliziotto penitenziario del Gom (Gruppo Operativo Mobile), il quale è intervenuto, evitando il suicidio. L'episodio non ha avuto conseguenze su Provenzano, che non è stato neppure portato in ospedale. Sono stati informati l'autorità giudiziaria e il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria.
Considerato il capo di tutti i capi di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano - che ha 79 anni ed è detenuto dal 2006, in regime di 41 bis (il carcere duro), dopo essere stato protagonista di una latitanza record di 43 anni - sta scontando nella sezione protetta del carcere di Parma alcune condanne all'ergastolo. Nonostante sia gravemente malato - reduce da un tumore alla prostata, soffre di un inizio di Parkinson e di un'encefalite destinata a peggiorare - recentemente è stato ritenuto in grado di partecipare ai processi e di "difendersi utilmente".
Qualche tempo fa è stato chiesto di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane, che non sarebbe più in grado di assolvere. Potrebbe essere stato, dunque, uno stato di prostrazione legato alle sue precarie condizioni di salute a indurre Provenzano a tentare un gesto estremo. Ma c'é anche chi - tra gli addetti ai lavori - si chiede se davvero il boss volesse togliersi la vita; o, se, piuttosto, il suo sia stato un gesto per segnalare il suo grave disagio o, addirittura, un messaggio per altri. L'avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di Provenzano, si interroga su chi abbia dato al boss il sacchetto di plastica. Il legale fa notare che da anni, da quando altri mafiosi al 41 bis tentarono il suicidio, ai detenuti al carcere duro non è consentito tenere alcun oggetto pericoloso in cella. "Come mai - si chiede - nessuno si è accorto della presenza del sacchetto visto che Provenzano è l'unico detenuto del braccio in quel carcere ed è continuamente sorvegliato?". Sulla vicenda interviene anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, il quale sottolinea che il tentativo di suicidio del boss "é stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano". "Anche in questa occasione, che accende di nuovo i riflettori sugli istituti di pena - prosegue Beneduci - resta la denuncia forte dell'Osapp sulla disastrosa situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani: sovraffollati, malmessi e privi di adeguato personale".
Considerato il capo di tutti i capi di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano - che ha 79 anni ed è detenuto dal 2006, in regime di 41 bis (il carcere duro), dopo essere stato protagonista di una latitanza record di 43 anni - sta scontando nella sezione protetta del carcere di Parma alcune condanne all'ergastolo. Nonostante sia gravemente malato - reduce da un tumore alla prostata, soffre di un inizio di Parkinson e di un'encefalite destinata a peggiorare - recentemente è stato ritenuto in grado di partecipare ai processi e di "difendersi utilmente".
Qualche tempo fa è stato chiesto di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane, che non sarebbe più in grado di assolvere. Potrebbe essere stato, dunque, uno stato di prostrazione legato alle sue precarie condizioni di salute a indurre Provenzano a tentare un gesto estremo. Ma c'é anche chi - tra gli addetti ai lavori - si chiede se davvero il boss volesse togliersi la vita; o, se, piuttosto, il suo sia stato un gesto per segnalare il suo grave disagio o, addirittura, un messaggio per altri. L'avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di Provenzano, si interroga su chi abbia dato al boss il sacchetto di plastica. Il legale fa notare che da anni, da quando altri mafiosi al 41 bis tentarono il suicidio, ai detenuti al carcere duro non è consentito tenere alcun oggetto pericoloso in cella. "Come mai - si chiede - nessuno si è accorto della presenza del sacchetto visto che Provenzano è l'unico detenuto del braccio in quel carcere ed è continuamente sorvegliato?". Sulla vicenda interviene anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, il quale sottolinea che il tentativo di suicidio del boss "é stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano". "Anche in questa occasione, che accende di nuovo i riflettori sugli istituti di pena - prosegue Beneduci - resta la denuncia forte dell'Osapp sulla disastrosa situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani: sovraffollati, malmessi e privi di adeguato personale".
E l'altro sindacato, il Sappe, ricorda che "nel 2011 la polizia penitenziaria ha salvato la vita a 1.037 persone che hanno tentato il suicidio in carcere". Un dato - osserva il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, che testimonia una "attenzione altissima da parte degli agenti in servizio, nonostante le tante carenze da cui, purtroppo, il carcere di Parma non è esente". Insieme a Provenzano, a Parma sono una cinquantina i detenuti in regime di 41 bis. "Sorprende che un boss come Provenzano - aggiunge Durante - abbia compiuto un gesto del genere. Per un criminale del suo calibro è un fatto inusuale, forse sintomo delle sue precarie condizioni di salute".