lunedì 28 maggio 2012

Esclusivo,Casta senza vergogna. Doppi stipendi ai politici italiani. - Antonio Amorosi.



la casta
La casta raddoppia. Stipendio doppio ai politici che vengono eletti nei consigli comunali, provinciali e regionali (e non solo) partendo da Bologna con nomi e cognomi. La rivelazione ad Affaritaliani Emilia-Romagna con un video e i documenti che dimostrano l’ingiustificabile privilegio di chi diventato politico, eletto in un qualche Ente, senza recarsi al lavoro ne percepisce ugualmente lo stipendio. Lo stabilisce la legge degli Enti Locali applicata da più di dieci anni ma che pochi conoscono. In un’Italia con persone che si suicidano per i debiti, destra, sinistra e movimenti partecipano all’incredibile spreco di circa 2 miliardi di euro annui a danno dei cittadini. C’è chi lancia da Bologna un S.o.s a Monti per cambiare la legge
In Italia c’è chi fa più di un lavoro per racimolare almeno uno stipendio e chi invece fa un solo lavoro e ottiene due stipendi! Sono i molti politici eletti nei consiglieri comunali, provinciali, regionali, circoscrizionali per uno scandalo di proporzioni tali da far impallidire i rimborsi elettorali ai partiti. Infatti se si è lavoratori dipendenti si può evitare di andare sul posto di lavoro senza perdere un euro della propria busta paga. Lo stipendio viene completamente rimborsato dal Comune al datore di lavoro, più tredicesima, quattordicesima, trattamento di fine rapporto e contributi previdenziali. Il  politico può così sommare alla paga per la sua attività quella del proprio stipendio da dipendente e senza muovere un dito. Paga l’Ente pubblico, cioè paghiamo noi.
GUARDA IL VIDEO CON I DOCUMENTI ORIGINALI
Le somme sono così imponenti, come dimostra il caso del Comune di Bologna sottoposto ad esame grazie al consigliere Lorenzo Tomassini, che se moltiplicate per tutti gli enti nazionali interessati incide sulla finanziaria di un Governo. Solo i rimborsi per i lavori che non svolgono in un anno costano al Comune di Bologna una cifra non inferiore ai 300 mila euro. Moltiplicate per 5 anni di mandato e (proporzionalmente al numero degli eletti) per 8100 Comuni, 110 Province, 20 Regioni e altri Enti tra cui le Comunità montane e viene fuori una cifra che fa tremare i polsi, non inferiore ai 2 miliardi di euro l’anno!
Si, avete capito bene. Stiamo dicendo che ogni politico che ha un lavoro dipendente una volta eletto in un Ente Pubblico continua a percepire anche lo stipendio del lavoro precedente che non svolge. 
L’assenza è rimborsata solo se causata da motivi istituzionali, ma fra sedute in Aula e commissioni (in Comune,  Provincia, Regione e Altri Enti) ogni giorno il politico è raro che possa timbrare il cartellino del primo lavoro. Lo stabilisce il Testo Unico degli Enti locali, legge N.267 del 2000, che permette a ogni eletto di essere rimborsato integralmente per il lavoro che “non svolge” presso il precedente datore di lavoro di cui continua ad essere dipendente. Costano addirittura tre volte coloro che sono dipendenti dello Stato, come gli insegnanti, che vengono pagati dal Ministero, ma è solo una variante formale al gioco perché paga sempre la collettività. La spesa per l’insegnante-politico infatti triplica: oltre la paga per l’attività da politico e lo stipendio del lavoro da insegnante (che non svolge) c’è anche il costo del supplente che lo Stato assume per sostituirlo.
Se guardiamo ad esempio a Bologna da cui parte la nostra inchiesta grazie al consigliere comunale Lorenzo Tomassini, che si sta battendo contro questa vergogna, il Comune di Bologna impegna per i costi nel 2011 la cifra di 1milione 275mila euro per i lavoratori eletti nei consigli comunali e circoscrizionali, per rimborsarli del loro lavoro da dipendenti di aziende 300mila euro circa. E troviamo consiglieri comunali dipendenti di partiti (il Pd ad esempio) che per ogni mese hanno il loro rimborso, come l’attuale europarlamentare Salvatore Caronna, dal 2004-2009 consigliere comunale e prima consigliere provinciale o il suo “figlioccio” Marco Lombardelli (ex capo di Gabinetto dimissionario del Sindaco Merola) o da fondazioni (la Fondazione Gramsci) come nel caso di Siriana Suprani, moglie del presidente Unipol Pierluigi Stefanini, o la Lega Autonomie Emilia Romagna che rimborsa 3932 euro di Tfr del 2008 all’attuale Sindaco Virginio Merola (per quando era assessore).
Poi ci sono gli insegnanti che rappresentano le spese più elevate come il capogruppo Pd Sergio Lo Giudice, Mirco Pieralisi di Sel e la neo eletta dirigente scolastica Daniela Turci (Pd). Ma anche Pasquale Caviano di Idv, medico radiologo dell’Ospedale Maggiore o Patrizio Gattuso del Pdl e funzionario FS, che non costano poco. A cui aggiungere il sindacalista Cgil Gianguido Naldi che ora è consigliere regionale Selma che quando era consigliere comunale Ds prendeva un rimborso tramite il suo vecchio datore di lavoro (la G.D. Spa) così come adesso, attraverso l’impresa presso per cui lavora, il grillino del Movimento 5 Stelle Marco Piazza. Lo stesso è accaduto per l’ex consigliere dell’IDV Serafino D’Onofrio che si è visto rimborsare la cospicua cifra di 73799 euro, per meno di 2 anni di lavoro anche se non svolto. Ma questi sono solo alcuni esempi delle migliaia di rimborsi che vengono erogati dal 2000.
Quello che non si capisce è perché la collettività debba garantire lo stipendio per il lavoro che i politici non svolgono presso le imprese dove sono assunti. La spesa per le casse pubbliche così è diventata davvero imponente, altro che tagli per la crisi! Diversamente la cosa non vale per i consiglieri che sono lavoratori autonomi perché non percepiscono alcun rimborso per la loro attività professionale persa. A differenza dei primi, possono conciliare con difficoltà i due lavori a causa degli orari delle commissioni nell’ente pubblico dove sono stati eletti. Come fa notare Tomassini, “guarda caso le commissioni sono spalmate su tutti i giorni della settimana così che i consiglieri-dipendenti non possono quasi mai recarsi in ufficio”. Si perché le commissioni ci sono praticamente sempre e la maggioranza di coloro che fanno politica sono impegnati quasi ogni giorno.
C’è poi, come ammettono altre testimonianze di “Palazzo”, chi firma ed esce dalle commissioni e prende due stipendi senza essere in nessuno dei due posti di lavoro. E quando qualche collega cerca di accorpare le commissioni per ottimizzare il lavoro si sente rispondere: “Ué! Ma siete pazzi! Così mi tocca di andare a lavorare!”
E’ proprio vero, più che cercare un lavoro, in Italia, è conveniente diventare   politico. Gli Enti pubblici sono galline dalle uova d'oro grazie a leggi come questa che obbligano la collettività a pagare lauti stipendi per attività mai svolte. Soldi che potrebbero essere impegnati per investimenti, servizi, creare lavoro e aiutare chi non ha garanzie. Anche il Ministro Dino Giarda che deve rivedere la spesa pubblica ha dichiarato che gli sprechi in Italia sono enormi: “Tutto il settore pubblico, dallo Stato fino all’ultimo dei Comuni". In questo caso uno sperpero di proporzioni incredibili. In un’Italia con cittadini che si suicidano per i debiti, il doppio stipendio per la casta è un privilegio ingiustificabile.
Bisognerebbe raccogliere l’ S.o.s che arriva da Bologna e cambiare la legge.



G8: De Gennaro, “nessuna prova”. “Inqualificabili violenze” alla Diaz.

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La Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado per l'ex capo della polizia, condannato per istigazione alla falsa testimonianza per i fatti di Genova. Per i giudici della Suprema Corte "i fatti non sussistono" e nelle motivazioni si parla di "palesi errori di diritto".

Nessuna prova contro Gianni De Gennaro ma sugli occupanti della Diaz sono state compiute “inqualificabili violenze”. Lo scorso 22 novembre la Cassazione ha deciso di annullare senza rinvio la sentenza di condanna a un anno e 4 mesi pronunciata dalla Corte d’appello di Genova  e oggi, nelle motivazioni, spiega che contro l’ex capo della polizia “non si è acquisita alcuna prova o indizio di un ‘coinvolgimento’ decisionale di qualsiasi sorta nell’operazione Diaz”. De Gennaro, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, era accusato di istigazione alla falsa testimonianza sui fatti avvenuti alla scuola Diaz durante il G8 del 2001.
Secondo la sesta sezione penale della Suprema Corte la sentenza presenta un “deserto probatorio” ed è stata ”scandita da sommarietà valutativa e da palesi lacune della motivazione”. Per i giudici della Cassazione “i fatti non sussistono” e nelle motivazioni di assoluzione si parla di “palesi errori di diritto” ma sul fronte degli occupanti della Diaz puntualizza che su di loro sono state compiute “inqualificabili violenze”.
La sentenza di secondo grado, scrivono i giudici di piazza Cavour, “pone confusamente in relazione la vicenda” della falsa testimonianza “ad una questione di immagine compromessa della Polizia, che, essendosi tradotta in un grave insuccesso (per le inqualificabili violenze compiute sugli occupanti della scuola Pertini), avrebbe indotto l’allora Capo della Polizia De Gennaro a prendere ogni distanza possibile dall’operazione e altresì a persuadere o esortare Francesco Colucci (ex questore di Genova all’epoca del G8, ndr) a modificare le anteriori sue dichiarazioni sulla vicenda”. Il processo principale sui fatti della Diaz, che vede imputate 25 persone tra funzionari e agenti di polizia, inizierà in Cassazione l’11 giugno.
“La vicenda afferente a chi abbia disposto, tra il capo della Polizia e il Questore di Genova, l’invio presso il complesso Diaz del responsabile del servizio di comunicazioni esterne della Polizia di Stato, dottor Roberto Sgalla, si presenta destituita di ogni profilo di seria pertinenza con i fatti reato integranti la regiudicanda del processo Diaz, costituiti da condotte di calunnia, lesioni volontarie, falsità ideologiche ed altri reati”.  Un “difetto di pertinenza” che di conseguenza diventa “di rilevanza della pretesa falsità delle dichiarazioni con cui il questore Colucci avrebbe ‘ritrattato’ le sue anteriori affermazioni sull’indicazione ad informare dell’operazione Diaz il dottor Sgalla ricevuta dal capo della Polizia De Gennaro”. La questione, osserva la Suprema Corte, “è priva di qualsiasi inferenza con i fatti e i comportamenti resi oggetto del processo Diaz. Soltanto una travisante lettura dei dati processuali può condurre a supporre la questione pertinente e pur anche rilevante rispetto al ‘thema decidendum’ del processo Diaz e al percorso di formazione del convincimento decisorio del giudice di quel processo”.

“Da Formigoni un milione di euro per l’acquisto di una villa di Daccò”.

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Il Corriere della Sera racconta un nuovo capitolo dei rapporti tra il governatore della Lombardia e il faccendiere. Il Presidente avrebbe versato 1.100.000 euro - pari a dieci anni di reddito - all'amico Alberto Perego, che li ha utilizzati per comprare una dimora in Costa Smeralda dall'uomo che risolveva i problemi della aziende sanitarie con la Regione.

Il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha versato un milione e 100 mila euro al suo amico – e già tesoriere di Comunione e Liberazione – Alberto Perego, “convivente” del governatore nella comunità dei “Memores Domini“. La somma, pagata nella primavera del 2001, è poi servita a Perego per acquistare una lussuosa villa in Sardegna da Pierangelo Daccò, il mediatore tra aziende sanitarie private e Regione arrestato per gli scandali San Raffaele e Maugeri.
Lo scrive il Corriere della sera, che nell’articolo di Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella sottolinea: “Parsimonia e amicizia devono essere due valori molto cari a Roberto Formigoni, altrimenti non si riesce a capire come il presidente della Regione Lombardia, che dichiara redditi per poco meno di 100.000 euro netti l’anno, nella primavera 2011 abbia dato 1 milione e 100.000 euro – cioè l’equivalente di 11 anni di entrate interamente risparmiate senza spendere neppure un centesimo per mangiare o vestirsi o pagare le bollette – al suo amico e convivente Alberto Perego”.
Perego, scrive ancora il Corriere, prende il denaro versato da Formigoni, lo mette insieme a un mutuo da un milione e mezzo di euro e, con un rogito firmato nell’ottobre 2011, diventa “il solo acquirente formale” di una lussuosa villa in Costa Smeralda (guarda le foto) “da 13 vani vendutagli da una società dietro la quale c’era, guarda caso, Pierangelo Daccò”. Sette giorni dopo, Daccò viene arrestato.
Anche l’acquisto della villa in Sardegna, secondo il Corriere, è oggetto di accertamento da parte degli investigatori, perché per immobili di quel genere nella stessa zona “si stimano prezzi ben maggiori e persino doppi”. Formigoni e Perego, tra l’altro, sono stato ospiti di quella stessa dimora anche prima dell’acquisto. Le carte mostrano inoltre numerosi versamenti da Formigoni a Perego, tra il 2005 e il 2009, ciascuno per decine di migliaia di euro, per un totale di circa 350mila. 

Serie A, perquisita la casa di Conte Blitz a Coverciano, nel mirino Criscito.


In manette 19 persone tra cui i calciatori Mauri, Milanetto e Gritti. Accertamenti su Pellissier, Sculli e Kaladze.


MILANO - Due calciatori di serie A in manette, la polizia a Coverciano, perquisita la casa dell'allenatore campione d'Italia. All'alba di lunedì il mondo del calcio italiano precipita ancora una volta nel buio delle scommesse proprio alla vigilia degli Europei. E poi la dura accusa: associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. I calciatori, Stefano Mauri, capitano della Lazio, e Omar Milanetto del Padova sono finiti in manette, due tra i destinatari dei 19 provvedimenti restrittivi emessi nell'ambito di un'operazione contro il calcio-scommesse.
L'ACCUSA - Secondo le accuse, Mauri e Milanetto, erano disponibili, in cambio di denaro, a combinare gli incontri delle loro rispettive squadre. A condurre le operazioni la procura di Cremona, con il pm Roberto Di Martino che coordina gli uomini della Polizia di Stato di Cremona, Brescia, Alessandria, Bologna e del Servizio Centrale Operativo (Sco). A destare clamore anche il fatto che fra gli indagati c'è l'allenatore della Juventus Antonio Conte. Al neo campione d'Italia è stata perquisita l'abitazione, anche per lui l'accusa è di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva ma nessun riferimento alla Juventus ma relativamente al periodo in cui allenava il Siena e in particolare per la presunta combine della trasferta con il Novara giocata il 30 aprile 2011. A coinvolgerlo nell'indagine della Procura di Cremona sul calcioscommesse sarebbe stato il «suo» ex calciatore Filippo Carobbio nel corso dell'audizione alla Procura federale della Federcalcio, durante la quale aveva spiegato di aver saputo da Conte «che potevamo stare tranquilli in quanto avevamo raggiunto l'accordo con il Novara per il pareggio». Antonio De Rencis, avvocato del tecnico della Juventus assicura che «la reazione di Conte è quella di una persona completamente estranea e fortemente determinata a dimostrare la sua totale estraneità ai fatti contestati». Anche il presidente del Siena Massimo Mezzaroma sarebbe indagato e gli sono state perquisite le abitazioni (sotto inchiesta per 7/8 partite quando era in B). A chiamare in causa il presidente dei bianconeri è stato Carlo Gervasoni che agli inquirenti ha raccontati di aver saputo tramite il gruppo degli «Zingari» che Mezzaroma avrebbe pagato due giocatori di un'altra squadra.
Calcioscommesse, i fermatiCalcioscommesse, i fermati    Calcioscommesse, i fermati    Calcioscommesse, i fermati    Calcioscommesse, i fermati    Calcioscommesse, i fermati
IN MANETTE - Tra gli altri arrestati, anche il calciatore dell'Albinoleffe Matteo Gritti è stato arrestato dalla polizia a San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), dove trascorreva un periodo di vacanza. Perquisita anche l'abitazione ascolana dell'attaccante dell'Ascoli Andrea Soncin, in relazione a presunti illeciti commessi nello scorso campionato, quando militava nel Grosseto. Estranea alla vicenda l'Ascoli calcio.
Il pm Roberto Di Martino (Afp)Il pm Roberto Di Martino (Afp)
PERQUISIZIONI ANCHE A COVERCIANO - Nel corso della mattinata sono state condotte 30 perquisizioni domiciliari nei confronti di altrettanti indagati: calciatori di serie A e B, tecnici e dirigenti di società professionistiche coinvolti nelle indagini, precisa la nota. Una di queste ha riguardato anche il ritiro della Nazionale a Coverciano. Nel mirino il difensore della Nazionale Domenico Criscito (unico azzurro coinvolto, attualmente in forza allo Zenith di San Pietroburgo). L'avviso di garanzia, al difensore azzurro, sarebbe stato consegnato lunedì mattina intorno alle 6.30 al ritiro degli azzurri a Coverciano (Firenze) dalla polizia, che avrebbe anche effettuato una perquisizione, oltre che nella sua stanza a Coverciano (dove attende di essere inserito nella lista dei 23 per gli Europei) anche l'abitazione di Genova. I poliziotti hanno eseguito controlli nella sua casa di Nervi, nel levante genovese. «Ho sentito Mimmo questa mattina ed è assolutamente tranquillo. È caduto dalle nuvole perchè è totalmente estraneo a qualsiasi vicenda». Queste le prime parole di Andrea D'amico l'agente di Mimmo Criscito. «Mimmo auspica di essere sentito al più presto perché è prontissimo a spiegare qualsiasi cosa che possa avere gettato la lente di ingrandimento su di lui».
IL SUMMIT AL RISTORANTE - Ma agli atti dell'indagine di Cremona vi è anche il resoconto di un summit in un ristorante genovese, il 10 maggio 2011, nei giorni precedenti la partita Lazio-Genova a cui parteciparono Giuseppe Sculli e proprio Domenico Criscito (guarda le foto), un pregiudicato bosniaco e due dei maggiori esponenti degli ultrà del Genova. L'incontro è stato documentato dagli agenti della polizia che hanno condotto le indagini. Su mandato della procura di Cremona la squadra mobile della Questura di Aosta ha perquisito lunedì mattina, alle 4, l'abitazione di Fenis di Sergio Pellissier, attaccante del Chievo coinvolto nell'inchiesta sul calcioscommesse. Analoga ispezione è avvenuta nella casa di Verona del giocatore, che risulta essere indagato. All'interno della villa sulla strada statale 26 sono stati sequestrati computer, ipad e pennette usb che verranno messi a disposizione degli inquirenti.
LE PARTITE - Accertamenti sono in corso anche per i genoani Sculli (per il quale era stato chiesto l'arresto ma il gip lo ha negato) e Kaladze. «In questa nuova tranche dell'inchiesta sono emerse manipolazioni di partite di A del campionato 2010-2011, tra cui Lazio-Genoa 4-2 e Lecce-Lazio 2-4», ha detto Raffaele Grassi, dirigente dello Sco, al telefono a SkyTg24. «Le indagini hanno oltremodo confermato l'esistenza di questa organizzazione transnazionale composta da singaporiani e balcanici, a cui si è aggiunta una componente ungherese», ha spiegato Grassi. Ecco l'accusa per i 19 destinatari di provvedimenti restrittivi, 17 sono arresti in carcere o ai domiciliari. Cinque - tre già eseguiti - riguardano l'Ungheria: «Per conto del gruppo criminale transnazionale, i giocatori italiani - militanti in serie A, B, Lega Pro - avrebbero agito, a vario titolo, come referenti del sodalizio transnazionale sul territorio italiano per la combine delle partite di calcio», spiega la polizia nella nota. Il gruppo criminale fa capo «al boss singaporiano Tan Seet Eng, colpito da provvedimento restrittivo nel dicembre scorso e ritenuto il capo dell'organizzazione internazionale dedita al match fixing».
L'OPERAZIONE - Le indagini sono concentrate su appartenenti ad una organizzazione transnazionale dedita alla combine di partite di calcio (match fixing), operante in Italia e in diversi Stati esteri», dice una nota della polizia di Cremona. L'operazione «Last Bet» costituisce una nuova tranche dell'inchiesta conclusasi lo scorso 17 dicembre con l'arresto di 17 persone. «Una delle novità più importanti è la presenza di un gruppo di ungheresi tra i destinatari dei provvedimenti. Alcuni di loro sono già detenuti in Ungheria per fatti identici», spiega il sostituto di Cremona Roberto Di Martino in conferenza stampa. «Questo gruppo si è parzialmente sostituito al gruppo degli zingari che ha subito in Croazia degli arresti per il campionato locale. Ci sono comunque rapporti tra Ungheresi e slavi. La partita alla quale fanno riferimento gli atti che ci sono stati trasmessi è Lecce-Lazio (due milioni di euro la vincita realizzata su questa partita, per la quale, secondo gli investigatori, sarebbero stati spesi 600mila euro per la corruzione dei calciatori), però il gruppo degli ungheresi si è inserito in tutta un'altra serie di partite del campionato di serie A come Bari-Sampdoria. In una prima fase, nel giugno 2011, erano state tratte in arresto altre 16 persone, tra cui Beppe Signori. L'ex bomber della Nazionale e il calciatore Luigi Sartor sono stati indagati per riciclaggio in concorso con il commercialista Daniele Ragone e Luca Burini, dipendente di una società di autoricambi di Forlì, entrambi ai domiciliari. Tra l'altro sono state individuate società facenti capo a Beppe Signori su cui sono stati versati oltre 700 mila euro. «In queste società - ha detto il procuratore capo di Cremona, Roberto Di Martino - sono transitati prima 289 mila euro e poi 489 mila, quest'ultimo importo ipotizziamo sia il corrispettivo per la partita Brescia-Lecce». Gli investigatori ipotizzano in questa fase dell'indagine il reato di riciclaggio.

domenica 27 maggio 2012

Orlandi: marcia per Emanuela, contestazioni e tensione a San Pietro.

ORLANDI:FRATELLO,PECCATO!DA PAPA BASTAVA PAROLA DI PREGHIERA


(AGI) - Roma, 27 mag. - Si e' aperta con l'esposizione in piazza del Campidoglio di una gigantografia di Emanuela Orlandi, la marcia organizzata dal fratello Pietro per ricordare la ragazza scomparsa nel giugno di 29 anni fa. Un corteo che poi ha sfilato per le vie della capitale, fino a piazza San Pietro, per chiedere verita' e giustizia rispetto a un mistero irrisolto e che, da ultimo, ha portato alla riesumazione della salma del boss della Magliana Enrico De Pedis. Contestazioni dei manifestanti per i mancati riferimenti alla vicenda di Emanuela durante l'Angelus. La speranza annunciata dei manifestanti e del fratello della Orlandi, Pietro, era che il Santo Padre ricordasse Emanuela e invitasse i fedeli a una particolare preghiera, ma il Pontefice non ha accennato alla ragazza e, inoltre, arrivando ai piedi della Basilica, c'e' stato un piccolo momento di tensione. "Qualcuno dei funzionari della sicurezza - racconta il consigliere capitolino del Pd Dario Nanni, che ha partecipato al corteo - hanno dato ordine di togliere striscioni e foto di Emanuela e di sfilare sui marciapiedi, alla chetichella, come se a piazza San Pietro non si dovesse far sapere il motivo dell'iniziativa.
  Insieme a Pietro Orlandi e a tanti altri concittadini abbiamo sollecitato anche il Papa a rimuovere qualsiasi ostacolo che possa essere da impedimento all'emergere della verita'", continua Nanni, e non si capisce chi e perche', con grande approssimazione, ha tentato di impedire l'arrivo della marcia a piazza San Pietro per l'appello al Pontefice in occasione dell'Angelus". Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, a Tgcom24 ha rilevato: "Il Papa non ha parlato di Emanuela, e' stato il punto triste della giornata. Pensavo che il Papa dicesse una parola, una preghiera. Nel 2008 qualcuno gli aveva sconsigliato di parlare di Emanuela. Benedetto XVI e' una persona sempre piu' sola. Un Papa dovrebbe decidere da solo, forse ha avuto pressioni interne. Potevano fare due scelte, parlarne o meno: anno scelto la seconda ipotesi aumentando cosi' i dubbi da parte dell'opinione pubblica". Secondo Pietro Orlandi: "La gente aspettava un gesto di solidarieta' da parte del Papa, in piazza c'erano tante persone che vedono in Emanuela il simbolo di tutte quelle persone che non hanno ricevuto giustizia. Non ce l'ho con il Papa. Emanuela e' una cittadina vaticana, quindi mi sembrava normale fare riferimento. Non accuso il Papa, la mia e' stata solo una richiesta d'aiuto. Soprattutto perche', ultimamente, ho visto una certa apertura". Orlandi ha concluso: "La mia non e' una battaglia nei confronti di nessuno, tantomeno nei confronti del Papa, ma atto d'amore nei confronti di mia sorella. Sono passati quasi 30 anni, ma un'ingiustizia ha la stessa intensita' anche dopo tanti anni. Quando ci sono atteggiamenti da parte del Vaticano che non mi piacciono mi sento ferito, perche' mi sento molto legato, e' la mia seconda famiglia. E' come un padre che volta le spalle al figlio. Quindi se mi sento di dire che il Papa e' solo e' perche' e' un mio pensiero".

Formigoni ad un passo dal baratro. - Paolo Bondani


Massimo Ponzoni, consigliere e sottosegretario regionale Pdl, straordinario collettore di voti per “il grande capo Formigoni” in Brianza, già assessore lombardo all’Ambiente e alla Protezione civile: arrestato dai magistrati di Monza per una valanga di tangenti urbanistiche e per due bancarotte immobiliari, con imprese svuotate per finanziare le campagne elettorali.
Franco Nicoli Cristiani, ras del Pdl a Brescia, consigliere regionale e assessore all’Ecologia nelle prime giunte Formigoni: incarcerato dai giudici di Brescia e Milano subito dopo aver intascato una mazzetta di 100 mila euro (e ne aspettava altri 100 mila) per autorizzare una discarica fuorilegge di scorie d’amianto. Pierangelo Daccò, imprenditore-faccendiere internazionale di stretta osservanza ciellina, proprietario dello yacht di una delle tante vacanze gratuite del governatore lombardo: arrestato da altri magistrati milanesi per traffici milionari di fondi neri, prelevati dalle casse dell’indebitatissimo ospedale San Raffaele.
Tre nomi, tre inchieste che marcano solo alcuni dei passaggi più recenti delle tempeste giudiziarie che da mesi scuotono i vertici della Regione Lombardia. Imbullonato dal 1995 alla poltrona di presidente, Roberto Formigoni da Lecco, 64 anni, oggi è un politico assediato dagli scandali. Se n’è accorto anche Umberto Bossi (“Ormai ne arrestano uno al giorno”) che ha rumorosamente minacciato di togliere l’appoggio della Lega e far crollare la giunta. A rischio di scatenare un regolamento di conti nel centrodestra in tutto il Nord.
Forte del potere garantito dalla poderosa macchina del consenso targata Comunione e liberazione, il “celeste” governatore resta trincerato in cima al grattacielo più alto della metropoli (si è fatto costruire un apposito Pirellone-bis, naturalmente con soldi pubblici), ma mostra tutto il suo nervosismo gridando al complotto di inesistenti giudici comunisti, gli stessi che avevano chiesto il carcere per il suo sfidante di sinistra Filippo Penati.
E per la prima volta dichiara che potrebbe non ripresentarsi nel 2015, con la malcelata speranza di ricompattare la sua base, superare la bufera e puntare su Roma. Gli scandali però si moltiplicano. Dalla sanità alle grandi opere, dai rifiuti alla mafia. Gli sviluppi delle tante inchieste aperte restano imprevedibili. E un colpo di scena inatteso, che “l’Espresso” è in grado di rivelare, arriva dalla Svizzera.
Pochi giorni fa i giudici elvetici hanno trasmesso ai pm milanesi nuovi documenti bancari, che sembrano quasi la fotografia di un peccato originale. Un sistema di conti esteri che per almeno un decennio, quello dell’ascesa e consacrazione del governatore lombardo, ha nascosto e custodito un fiume sotterraneo di finanziamenti che irrorava una specie di cupola di Cl. Soldi versati segretamente da aziende del gruppo Finmeccanica, compresa l’ormai famosa Selex (già Alenia), e dai petrolieri italiani coinvolti nello scandalo Oil for food. Ora le carte documentano che il conto più importante era gestito da due tesorieri ciellini. Almeno uno di loro, negli stessi anni, viveva vicino a Formigoni. Molto vicino. Praticamente sotto lo stesso tetto.
Via Dino Villani è una strada a gomito tra il centro e la periferia nord di Milano, a cinque minuti di macchina dalla Regione. L’immobile con le finiture più ricche è un palazzo a forma di “L”, protetto da un alto muro di cinta che lascia intravedere solo il parco e i comignoli dei camini. “C’era anche una piscina”, racconta un vicino.
Ma chi è il proprietario? E chi ci vive? A rispondere è un ex custode: “Era di Ligresti. Poi è diventato la villa del presidente Formigoni, che ha abitato qui per molti anni. Ora l’immobile è stato ristrutturato e diviso in appartamenti messi in vendita”.
Le visure catastali documentano che il palazzo era ed è tuttora di proprietà dell’Immobiliare Costruzioni (Im.co), la scatola edilizia della famiglia Ligresti. La ristrutturazione, stando ai ricordi dei vicini, sarebbe partita poco dopo i primi articoli di stampa sul ruolo di tre amici di Formigoni nello scandalo Oil for food.
Finora si sapeva che gli assessori ciellini all’urbanistica milanese, da Maurizio Lupi in poi, facevano il possibile per aiutare i maxi-progetti del costruttore siciliano, che da re del mattone è nel frattempo diventato imperatore dei debiti. Ma si ignorava che negli stessi anni Formigoni in persona fosse, nella migliore delle ipotesi, inquilino di Ligresti. Visti gli autorevoli precedenti di Scajola e Tremonti, però, non si può escludere che lo fosse a sua insaputa.
Anche perché quel palazzo non ospitava solo lui: almeno fino all’autunno 2006, quella era una casa-comunità dei Memores Domini, l’associazione che organizza i ciellini più devoti, quelli che convivono in gruppi chiusi che ricordano i “numerari” dell’Opus Dei o i “sigilli” di don Verzè.
Insieme a Formigoni, allo stesso indirizzo di via Villani 4 ha vissuto per anni Alberto Perego, un fiscalista milanese degli studi Sciumè e Interfield. Lo dichiara lui stesso, il 13 ottobre 2006, deponendo in procuracome testimone nell’inchiesta Oil for food. Il pm gli chiede se per caso è lui a essersi intestato, per conto dei Memores, un deposito svizzero chiamato Paiolo: è il forziere dove tra il 1994 e il 2004 sono finiti, tra l’altro, 829 mila dollari versati dalle industrie militari del gruppo Finmeccanica.
Perego conferma di far parte dei Memores, spiega che nella casa-comunità di Formigoni viveva anche il suo segretario Fabrizio Rota, ma smentisce qualsiasi pasticcio elvetico: “Non ho mai avuto conti esteri né alcun rapporto con Finmeccanica”. Il pm Alfredo Robledo, sulla base di altri documenti e testimonianze, lo indaga per falsa testimonianza. Ora sta per aprirsi il processo. E la Svizzera, il 12 gennaio scorso, ha finalmente trasmesso il documento ufficiale con i nomi dei beneficiari del conto Paiolo, aperto nel lontano 1991, prima di Tangentopoli, alla Bsi di Chiasso.
Il primo titolare è proprio Alberto Perego. Ma la vera sorpresa è che il conto Paiolo, quello che ha custodito fino al 2004 i soldi di Finmeccanica poi travasati verso ignote destinazioni, ha anche un secondo contitolare. Un altro tesoriere occulto di Cl, secondo l’accusa. Che almeno per ora resta senza identità: le autorità svizzere hanno cancellato il suo nome dalle carte. E la procura di Milano non ha fatto una piega, perché rientra nelle regole del gioco: è il segno che si tratta di una persona che finora non è mai emersa nelle indagini italiane. Per cui ha diritto di restare protetta dal segreto bancario svizzero. Morale: nella saga dei conti esteri dell’aristocrazia ciellina, spunta un nuovo mister X delle tangenti bianche.
Sul governatore assediato, però, incombono emergenze giudiziarie più gravi del processo all’amico Perego, destinato a quasi sicura prescrizione.
Non a caso Formigoni, mentre è costretto a contare i suoi ex assessori arrestati (compreso Piergianni Prosperini, già condannato), ora ammette addirittura che forse fu “un errore” ricandidare Nicoli Cristiani, un berlusconiano sceso a patti con Cl senza farne parte, o Ponzoni, che però faceva comodo come recordman delle preferenze, tanto da riconquistare un posto in lista nel 2010, quando era già notoriamente indagato (oltre che intercettato con i suoi amici imprenditori della ‘ndrangheta). Il governatore però non parla mai di mariuoli, mele marce o traditori. E non solo perché sa che molti degli attuali detenuti politici erano generosi anche con lui.
Come dimostrano le foto, scoperte da “l’Espresso”, di Formigoni in costume da bagno sullo yacht di Daccò. O la testimonianza dell’imprenditore pentito che, per comprare “al presidente” un regalo da 12 mila euro, giura di essersi fatto accompagnare in gioielleria dal suo portaborse, in compagnia di Ponzoni.
Il problema più grave, come osserva Bossi con il consueto garbo, è che la lista degli indagati e arrestati continua ad allungarsi. E oltre ai personaggi più in vista comprende molti altri nomi di sicura obbedienza ciellina.
Qualche esempio? Antonino Brambilla, nominato assessore della Provincia di Monza nonostante la condanna definitiva di Tangentopoli (mazzette sui rifiuti ai tempi dell’emergenza discariche a Milano), è stato appena riarrestato come presunto complice di Ponzoni. Il vicedirettore dell’Arpa, l’agenzia regionale deputata a difendere i lombardi dagli inquinatori, dopo le manette sta vuotando il sacco sulle tangenti all’amianto di Nicoli Cristiani.
Antonio Chiriaco, manager calabrese di cliniche lombarde, promosso direttore sanitario della ricchissima Asl di Pavia con nomina “fiduciaria” della giunta Formigoni, è in galera dal 2010 non per concorso esterno, ma come mafioso organico della ‘ndrangheta. Rosanna Gariboldi, assessore del Pdl pavese fino al giorno dell’arresto e moglie del parlamentare Giancarlo Abelli, uno dei più potenti alleati del governatore, è stata già condannata a due anni di reclusione: riciclava sul suo conto a Montecarlo i fondi neri di Giuseppe Grossi, il re degli inceneritori targati centrodestra, scomparso per malattia mentre era indagato per colossali disinquinamenti-fantasma, con frodi fiscali e corruzioni da Milano a Sesto.
Ognuna di queste inchieste potrebbe far partire un effetto-valanga. E a questo punto molti altri imprenditori agganciati alla Compagnia delle Opere, il carro economico di Cl, ora temono le manette per tangenti ambientali o edilizie. Costruttori, disinquinatori e asfaltatori sono terrorizzati dalla scoperta che nelle inchieste sull’urbanistica regionale c’è almeno un pentito con i verbali coperti da “omissis”.
Mentre i fornitori sanitari sono impressionati dal vortice di fatture false, fondi neri e spese pazze emerso sullo sfondo delle rovine del San Raffaele, l’ospedale che per Formigoni era “il fiore all’occhiello della sanità lombarda”. E che in realtà ha accumulato un passivo – scoperto solo dopo il suicidio del manager Mario Cal – di un miliardo e mezzo di euro. Anche se incassava la bellezza di 600 milioni all’anno di rimborsi sanitari pubblici, per tre quarti garantiti dagli amici ciellini della Regione Lombardia.
Va sottolineato che Formigoni in passato è sempre stato assolto e allo stato non risulta neppure indagato. Il suo nome però continua a ripetersi anche nelle indagini più spinose. Un esempio? Pierluca Locatelli, l’imprenditore che ha corrotto Nicoli Cristiani, nel novembre scorso cercava una raccomandazione per i primi maxi-appalti dell’Expo 2015. Intercettato, ne parla con un funzionario corrotto. Che gli riferisce di aver interessato “Paolo Alli”, il sottosegretario ciellino che sta diventando il braccio destro di Formigoni. E com’è andata? “Il presidente ha dato l’ok”, assicura il funzionario corrotto dell’Arpa. Per adesso sono soltanto parole. Intercettazioni che attendono riscontri. Ma in Regione Lombardia, dopo vent’anni di affari in libertà, con la crisi sembrano tornati i tempi di Mani Pulite.


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Vatileaks, Papa Ratzinger circondato da sospettati. - Carlo Tecce

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A breve non si escludono nuovi fermi, con gli interrogatori che proseguono costanti. Dopo il maggiordomo, l'attenzione è su un laico (forse una donna) in servizio alla segreteria di Stato del Vaticano.

Vanno fermate un paio di immagini, chiaro e scuro, per capire le convulsioni che debilitano il Vaticano: Papa Benedetto XVI che saluta i fedeli in piazza San Pietro senza l’assistente considerato di fiducia, la presunta talpa Paolo Gabriele; il maggiordomo, che racchiuso in preghiera (e tace, o almeno così sembra) con i gendarmi che lo sorvegliano; le indagini che il poliziotto Domenico Giani prosegue spuntando una lista di venti sospettati. E un’indiscrezione, non smentita, che circola con insistenza: l’attenzione si concentra verso un componente laico in servizio presso la segreteria di Stato. Un uomo o anche forse una donna che avrebbe un’altra occupazione fuori dalla Santa Sede. Non si esclude che ci siano presto nuovi fermi poiché gli interrogatori proseguono numerosi e costanti; nonostante il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, faccia intuire che l’inchiesta possa rallentare prima di arrivare a ulteriori risultati.
IL VATICANO fa sapere che Gabriele è accusato di furto aggravato, non di un attentato contro la sicurezza di uno Stato (né di ricettazione), e che l’istruttoria sommaria è terminata: il maggiordomo, però, non racconta, non ammette, anzi incontra i suoi avvocati – fra cui il romano Carlo Fusco, studio Pietro Sciumè – e aspetta i prossimi interrogatori. I suoi familiari avrebbero lasciato la palazzina interna al Vaticano, che confina con l’appartamento dei genitori di Emanuela Orlandi, la ragazza scomparsa nel 1983: unica consegna, il silenzio. I primi accertamenti, stavolta ufficializzati attraverso padre Lombardi, dicono che l’abitazione di Gabriele fosse piena di documenti riservati. Qualcuno s’azzarda a ipotizzare che il maggiordomo avesse apparecchiature per fotocopiare e conservare le lettere segrete indirizzate a Benedetto XVI, ma lievitano i dubbi, aumentano le voci che sostengono l’esatto contrario: le carte rilevanti le avrebbero ritrovate nell’automobile.
Ci sono convinzioni che si scontrano, e varie interpretazioni fra porporati e osservatori, ma un punto praticamente incontrovertibile: Gabriele è un uomo di carattere mite, quasi ingenuo, non capace di cospirare contro il Papa, neanche se spinto da un buon sentimento: non è la mente, semmai un braccio. Una cellula di una rete che cercava di veicolare i poteri e guidare il conflitto fra il cardinale Tarcisio Bertone e il resto di una Santa Sede in fibrillazione per successioni e ambizioni. La serie di prove che il Vaticano comunica con estrema certezza non aiutano a decifrare il momento: possibile che il maggiordomo fosse così sprovveduto tanto da custodire in una casa vaticana, in cui vive con la moglie e tre figli, quel materiale che non doveva avere? Soprattutto se l’avessero informato di strani rilevamenti già lunedì o mercoledì, comunque giorni prima di finire in una cella che il Vaticano chiama in vari modo. Il romano Gabriele ha ricevuto l’eredità di Angelo Gugel, il leggendario aiutante di camera di Giovanni Paolo II, per avere convinto sia il Papa polacco e sia la famiglia pontificia, impermeabile a intromissioni e traditori perché selezionati con severità. Gabriele non è un giovane maggiordomo, va oltre i sei anni di trascorsi accanto a Benedetto XVI: l’aveva segnalato l’arcivescovo James Michael Harvey, il prefetto americano che dirige la Casa Pontificia, consacrato vescovo dal cardinale Angelo Sodano, ex segretario di Stato, e dunque predecessore di Bertone. Quello che va trovato in Paolo Gabriele è il movente: un passo che supera la fase iniziale condotta dal magistrato Piero Antonio Bonnet, tre anni fa nominato giudice dal Papa. Per correggere chi annunciava trent’anni di pena massima per Gabriele, padre Lombardi fa percepire che la posizione del maggiordomo va ancora attentamente analizzata perché il repulisti vaticano coinvolge un gruppo ampio di persone: “Ora il Giudice dovrà decidere per il proscioglimento o per il rinvio a giudizio”. E Gabriele non parla, finito al centro di un obiettivo enorme. Che sempre il portavoce vaticano definisce con un’espressione durissima: “La lotta contro il male è sempre attuale”.
LA PRIMA uscita pubblica di Papa Benedetto XVI, che accoglie il movimento “Rinnovamento per lo Spirito” in piazza San Pietro, è stata una risposta colta, quelle che il teologo diventato Papa predilige. Cita una promessa di Gesù contenuta nel Vangelo, una dimostrazione di resistenza per la Chiesa che combatte una lotta interna: “Il vento scuote la casa di Dio. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”. Oggi, del resto, durante la messa per la Pentecose, il Papa è tornato sull’argomento, e in modo piuttosto esplicito. Viviamo – ha detto – una “nuova Babele” e assistiamo a “fatti quotidiani in cui sembra che gli uomini stiano diventano più aggressivi e scontrosi, comprendersi sembra troppo impegnativo, e si preferisce restare in sé. La Pentecoste – ha ricordato – è la festa dell’unione, comprensione e comunione umana” e lo è anche nel nostro mondo in cui le persone sono più vicine ma “la comprensione e la comunione è spesso superficiale e difficoltosa”.
Le memorie vaticane ricordano che il primo furto nelle stanze del Papa avvenne durante l’estate del 1968, mentre Paolo VI era in vacanza a Castelgandolfo. Quel che l’aneddoto storico non può spiegare è che, stavolta, la presunta mano è quella che vestiva il pontefice. Ha un valore simbolico, per chi s’oppone al cardinale Bertone e al pontificato di Ratzinger, vuol dire che il Papa tedesco è vulnerabile. Questo è un segnale che i suoi nemici possono vantare.
da Il Fatto Quotidiano del 27 maggio 2012, aggiornato da redazione web alle 11:04