Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 27 marzo 2015
Meraviglie della natura: Impatiens Psittacina.
E forse a guardarla da lontano potreste credere che si tratti che si tratta davvero di un pappagallo.
Impatiens Psittacina, un fiore dalle forme sorprendenti.
giovedì 26 marzo 2015
La miseria della vita. - Deborah Dirani
La miseria ha la faccia tonda di una signora, in fila davanti a me, che chiede alla cassiera del supermercato quanto costano un paio di occhiali da lettura e che, ottenuta come risposta "1 euro", solleva gli occhi verso suo marito accompagnando lo sguardo con un sorriso implorante. La miseria ha la faccia di suo marito che le prende quegli occhiali dalle mani, ci pensa qualche secondo, poi restituendole il sorriso li appoggia sul nastro e dice alla cassiera di aggiungerli al conto che, alla fine, sarà di 11 euro e qualche spicciolo. La miseria sono le mani screpolate di quest'uomo che apre il portafogli tira fuori una banconota da 10 euro e cerca nella tasca degli spiccioli per racimolare quello che manca. Cerca e cerca, tira fuori monetine di rame e un paio di metallo dorato le mette una vicino all'altra e no, non ci arriva. Non lo so quanto gli manchi, ma so quello che vedo: la frustrazione e il dolore di un uomo che tra un attimo dirà a sua moglie che quegli occhiali non li possono comperare. "Mi dispiace", lo sento dire, mentre sono già lì con le mani nella borsa a cercare il mio portafogli per tirare fuori la differenza. E mi viene da piangere.
Sono lì in fila alla cassa del super, carica di 4 confezioni di filetti di nasello che costituiranno i pasti del mio cagnolino per una decina di giorni e che da sole costano più di tutta la spesa di quella famiglia, e mi viene da piangere e mi vergogno come una ladra. Prendo in mano una manciata di spiccioli e dico al signore e a sua moglie che la differenza la metto io, che non si preoccupino, ci incontreremo di nuovo e mi offriranno un caffè. Provo anche a stiracchiarmi la bocca in un sorriso, ma mi sa che il mio tentativo sia un po' deludente. Il signore e sua moglie mi guardano, loro sì che mi sorridono davvero, e lui, gentile, mi risponde che no, gli occhiali li prenderanno un'altra volta, grazie del pensiero. Io abbasso gli occhi sulla mia mano e guardo le mie monetine, le ricaccio nel portafogli e vorrei trovare le parole per scusarmi, che non volevo umiliarli, ma che conosco la tristezza di non vedere appagato un piccolo desiderio e che la so riconoscere quando la incontro.
Invece me ne resto muta con le mie scatole di nasello strette al petto e li guardo mentre iniziano a infilare in una vecchia sportina di plastica un po' bucherellata quello che hanno comperato: un filone di pane, una confezione di prosciutto cotto, un barattolo di olive, due scatolette di una marca sconosciuta di tonno e una busta di insalata. "Così allora sono 10 euro e 38", spiega la cassiera che ha le unghie di plastica, ricamate in maniera impossibile. "Tolga queste, per favore", sento dire all'uomo mentre le restituisce le olive e le consegna la banconota da 10 euro, ottenendone in cambio qualche centesimo e neanche un buonasera dalla cassiera che mi fa segno di spicciarmi, è il mio turno di pagare. Ma io sono un po' imbambolata a guardare la signora che sta imbustando la sua spesa con la lentezza dello sfinimento. Lavora piano con le mani, appoggia delicatamente ogni pezzo mentre io, che mi sono svegliata e ho già pagato le mie scatole di nasello, le caccio alla rinfusa nella sportina nuova che ho chiesto alla cassiera con gli artigli.
Prima di andarmene e assicurare così al mio cane un discreto sostentamento per un po' di giorni, mi giro a salutare la signora. E non lo faccio perché mi accorgo che ha gli occhi lucidi e le tremano un po' le mani, forse è per questo che infilava le sue cose nella busta con tanta lentezza. Suo marito la lascia armeggiare. È tranquillo, mi viene da pensare al dolore che sta dietro quella tranquillità. Mi viene da pensare alla consuetudine delle piccole rinunce alla quale devono essere allenati entrambi. Passerà. Passa sempre, si solidifica in una nuova frustrazione che si ammonticchia su quella precedente e prepara il posto a quella successiva.
Sto zitta, per oggi ho già detto abbastanza, ho già dato un bel contributo a far venire gli occhi lucidi a quella signora. Me ne vado a testa bassa e con la vergogna che solo una borghese piccola piccola come me può provare davanti all'ingiustizia della miseria. "Arrivederci signorina, grazie sa", il signore mi tira per una manica mentre inalbera un sorriso che non mi so spiegare, che vorrei evitare perché è una lezione che non avrei voluto imparare. "Ma no, grazie di cosa, anzi mi scusi, davvero. Arrivederci a lei".
Meno male che fuori è buio e che la mia macchina ha la luce interna fulminata perché a me non piace farmi vedere piangere, e del resto non piango mai. Oggi però faccio un'eccezione. Mi sento vecchia, mi sento stanca, ma so che non piango per questo. Piango per tutte quelle volte in cui quella signora e suo marito hanno lasciato indietro un barattolo di olive e un paio di occhiali da 1 euro, piango perché mi ricordo che io da giovane volevo fare la rivoluzione e cambiare il mondo e asfaltare le ingiustizie. Perché volevo cancellare la miseria dal mondo e vaccinarmi affinché mai mi toccasse. E invece a 41 anni la miseria la incontro ancora, la incontro più di prima. L'ho anche conosciuta: è stata la coinquilina della mia vita non troppi anni fa quando ero io a chiedere alla cassiera di un altro supermercato di togliere un barattolo di olive. Ma io ero giovane (e a essere sincera lo sono ancora), un lavoro che mi consentisse di assicurarmi il pane quotidiano prima o poi lo avrei ritrovato.
Ma quei due signori no: sono vecchi e magri e dritti come giunchi e per loro il futuro non riserva lavori promettenti e magari ben pagati. Riserva pensioni minime da fame, pensioni che impongono rinunce senza fine: ieri era un paio di occhiali e un barattolo di olive, domani sarà una visita specialistica a pagamento o un paio di scarpe buone.
Metto in moto, faccio manovra e vado a casa, per oggi il brutto della vita l'ho già avuto.
mercoledì 25 marzo 2015
Smentite le distruzioni di alcuni siti archeologici attribuite allo Stato islamico.
Nimrud
Nimrud
Hatra
Hatra
Le distruzioni dei siti archeologici iracheni di Nimrud, Khorsabad e Hatra, annunciate da una fonte governativa di Baghdad e attribuite al gruppo Stato islamico, non sarebbero mai avvenute. Ad affermarlo è una squadra di esperti internazionali del progetto Shirin che, esaminando le immagini satellitari provenienti dai luoghi interessati, non ha riscontrato “distruzioni evidenti”. Sono invece state confermate le distruzioni condotte dai jihadisti nel museo di Mosul e quelle della porta di Nergal sul sito di Ninive, oltre che della tomba di Giona a Ninive e di altri edifici di importanza storica e religiosa.
Il comunicato del progetto Shirin sottolinea che “le più recenti immagini satellitari non rivelano nessuna evidente presenza massiccia né di persone né di macchinari, e non ci sono visibili distruzioni. Rileviamo l’assenza di rivendicazioni da parte del gruppo Stato islamico. E non abbiamo avuto conferma delle distruzioni dalle nostre fonti di fiducia di Mosul o della provincia di Ninive”.
Nimrud è un’antica città assira fondata nel XIII secolo aC che diventò capitale dell’impero verso l’880 aC. Khorsabad, l’antica Dur Šarrukin (fortezza di Sargon), capitale del nuovo impero assiro, fu fondata nel 713 aC da Sargon II. Hatra, invece, fiorì tra il II e il I secolo aC come centro commerciale e religioso dell’impero partico. Da qui provengono le statue distrutte al museo di Mosul. Sirialibano.
La super risonanza che “brucia” le cellule del cancro, al via test in Italia! - La Stella
Una “super” risonanza magnetica combinata con un macchinario che emette ultrasuoni ad altissima intensità focalizzandoli in un punto in modo da “bruciare” con precisione, in modo non invasivo e con l’assenza quasi totale di effetti collaterali le cellule maligne. È l’innovativo macchinario che verrà inaugurato domani presso l’Irst (Istituto scientifico romagnolo per la cura dei tumori). Una realtà all’avanguardia non solo in Italia ma in Europa «e che consentirà – sottolinea Dino Amadori, direttore scientifico dell’Ircs – di dare il via ad una piano di ricerca per la diagnosi e cura dei tumori unico nel panorama internazionale».
Per i prossimi tre anni saranno portati avanti tre progetti sperimentali per valutare l’accuratezza diagnostica, sicurezza, tollerabilità, comfort e costo-efficacia di questo tipo d’indagine, la capacità della risonanza nell’individuare i danni procurati al fegato dai farmaci chemioterapici e l’utilizzo degli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità nel trattamento dalle metastasi ossee e del dolore. «La particolarità di questo strumento – spiega Amadori – chiamato Rm 3Tesla con sistema Hifu (High-Intensity Focused Ultrasound), è di avere una potenza doppia rispetto alla risonanza “standard” e ciò permette di “vedere” lesioni tumorali di solo un millimetro quando in genere sotto i 5 millimetri non sono monitorabili. Non solo, è possibile analizzare meglio i tessuti compresi quelli molli».
L’innovativo macchinario è inoltre in grado di registrare gli aspetti di funzionamento degli organi. «Per esempio – continua – studiando il cervello si possono vedere le reazioni delle diverse aree al dolore e se ne può monitorare l’intensità. Ciò ci consentirà di curarlo meglio».
Sarà poi possibile studiare le alterazioni che fegato e cuore subiscono a causa della tossicità dei chemioterapici e correggere i dosaggi prima che si verifichi un danno permanente. E ancora osservare il flusso del sangue e come i farmaci si diffondono nei vari organi. Grazie all’Hifu sarà poi possibile “bruciare” il tumore in un’area definita e limitata pianificando e monitorando in tempo reale l’andamento del trattamento. «Questo nuovo trattamento – conclude Amadori – non è invasivo ed è più tollerabile e senza gli effetti collaterali negativi della chemio e della radioterapia». Il super macchinario entrerà a pieno regime ad aprile e vi potrà avere accesso chiunque ha i requisiti per la sperimentazione.
“Italia prima in Europa per emissioni di arsenico, cadmio, mercurio nell’acqua”. - Melania Carnevali
I dati emergono dall'ultimo dossier di Legambiente in materia di sostanze immesse in laghi, fiumi, mari e falde dagli impianti industriali. Sono questi ultimi a fornire i numeri che, quindi, sono inevitabilmente parziali visto che mancano dal computo i fenomeni di illegalità totale.
È ancora forte in Italia l’impatto dell’attività industriale sullo stato di salute delle acque. Lo rivela l’ultimo dossier di Legambiente, pubblicato proprio in occasione della Giornata mondiale dell’acqua appena trascorsa (22 marzo), che mette in evidenza come il Belpaese superi le nazioni europee più industrializzate nell’emissione di metalli pesanti, in particolare di mercurio, nichel, cadmio e arsenico, direttamente nei corsi d’acqua. Anche per quanto riguarda le emissioni di cianuro è in testa alla classifica; arriva seconda, invece, subito dopo la Germania, per i cloruri. I dati (risalenti al 2011) sono stati estrapolati dal registro “European pollutant release and transfer register”, un registro delle emissioni inquinanti prodotte dalle varie industrie europee, in cui sono gli impianti stessi a comunicare, annualmente, la quantità di sostanze immesse direttamente nell’ambiente e, in questo caso, nelle acque. Una analisi parziale, dunque, che non tiene conto dei vari fenomeni di illegalità totale, ma che rende comunque chiaro come in l’Italia gli scarti di lavorazione delle attività industriali continuino, in buona parte, a finire inesorabilmente nelle nostre acque, alterandone quindi le caratteristiche chimiche.
Il dossier di Legambiente sulla qualità delle acque:
Legambiente, di tutta la mole di informazioni contenti nel registro, ha preso in considerazione solo i dati relativi alle principali sostanze “pericolose prioritarie”. Ebbene, nel 2011, in Italia sono state emesse oltre 140 tonnellate di metalli pesanti direttamente nelle acque, di cui 51 tonnellate di zinco, 31 tonnellate di nickel, 31 tonnellate di cromo, 12,7 tonnellate di piombo, 9 tonnellate di rame, 4,85 tonnellate di arsenico, 1,84 tonnellate di cadmio e 258 chilogrammi di mercurio. Per quanto riguarda le sostanze inorganiche, in particolare cloruri fluoruri e cianuri, si arriva a quasi 2,8 milioni di tonnellate, di cui quasi la metà derivanti da attività di tipo chimico. Ci sono poi le sostanze organiche, sempre nelle classe di quelle “pericolose prioritarie”, come l’antracene, il benzene, gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) e i nonilfenoli. Se per i primi non risultano emissioni in acqua da parte degli impianti industriali, per i nonilfenoli ammontano a 2,9 tonnellate, quantità corrispondente a circa il 60% dell’emissione europea totale, per gli Ipa a 1,25 tonnellate – pari al 39% della quantità totale a livello europeo – e per il benzene a 0,91 tonnellate. Confrontando singolarmente ciascuna emissione con quella degli altri paesi europei più industrializzati (Francia, Germania e Regno Unito), emerge come ben quattro metalli pesanti su otto siano emessi in quantitativi maggiori dall’Italia. Sono appunto: arsenico, cadmio, mercurio e nickel. Tutti metalli che, ad alcuni livelli, oltre a essere dannosi per l’ecosistema – perché ne alterano appunto le caratteristiche chimiche – sono estremamente tossici per l’uomo.
Ma come fanno a finire i metalli pesanti nelle acque? Sicuramente, gran parte della responsabilità va attribuita al tipo di impianto: le centrali elettriche a carbone, ad esempio, emettono, per loro natura, sostanze cancerogene per l’uomo in enorme quantità, come benzene, mercurio, cadmio e molto altro. Ma, secondo Legambiente, le cause sono da ricercarsi nella qualità degli impianti e negli scarsi controlli ambientali nel territorio. “Occorre migliorare in qualità e quantità l’impiantistica esistente specifica del trattamento delle acque industriali – si legge nel dossier – aumentare i controlli sul territorio e non permettere il mescolamento delle acque reflue industriali con quelle civili per evitare che le prime vadano a finire in impianti non idonei al trattamento specifico di inquinanti chimici”.
L’Italia, dunque, è ancora bel lontana dal recepire la direttiva 2000/60 del Parlamento europeo, che cerca di disciplinare e salvaguardare le acque. Una direttiva nata dopo i vari casi di grave inquinamento ambientale di zone, come laghi, falde, fiumi utilizzate negli anni ’80 come discariche naturali per rifiuti industriali e inseriti adesso nei siti di interesse nazionale da bonificare (con soldi pubblici). La direttiva europea chiedeva agli Stati membri che andassero verso una “graduale riduzione di scarichi, emissioni e perdite di sostanze prioritarie e l’arresto o la graduale eliminazione di scarichi, emissioni e perdite di sostanze pericolose prioritarie” e aggiungeva che “l’inquinamento chimico delle acque è una minaccia per l’ambiente acquatico, con effetti quali la tossicità acuta e cronica negli organismi acquatici, l’accumulo di inquinanti negli ecosistemi e la perdita di habitat e biodiversità, e rappresenta una minaccia anche per la salute umana”.
Le conclusioni dell’associazione ambientalista si possono leggere già nella premessa. “I fiumi italiani, ma anche le falde e i laghi, continuano a essere considerati troppo spesso solo come un pericolo o una minaccia per il rischio connesso con la loro esondazione o un ricettacolo di scarichi non depurati, industriali, sversamenti accidentali, se non una risorsa da sfruttare il più possibile per altri usi accumulando derivazioni, prelievi di acqua o di ghiaia, interventi di regimazione o cementificazione degli alvei. Sono ancora troppo pochi in Italia, i casi in cui si è deciso di investire sui corsi d’acqua attraverso la loro riqualificazione, interventi di rinaturalizzazione, di prevenzione e mitigazione del rischio e insieme di tutela degli ecosistemi”.
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