Più leggiamo i giornali, più ci convinciamo che stiano facendo di tutto per convincere i lettori dell’inaffidabilità dei giornalisti, categoria ormai inutile, se non dannosa. Per due giorni, dopo che il presidente libico Al Sarraj aveva revocato all’ultimo momento la visita al premier italiano Conte, programmata a breve distanza da quella del suo nemico Haftar, le mejo firme del bigoncio hanno fatto a gara nello scrivere che quella era una “gaffe” del nostro capo del governo, o del suo portavoce Casalino, o del ministro degli Esteri Di Maio, o di tutti e tre: l’ennesima prova del fatto che l’Italia non conta più niente (diversamente da prima, quand’era padrona dell’Europa e del mondo), non ha una politica estera, anzi non ha una politica punto, perché chi la governa non sa proprio come si fa. Mancava poco che la guerra civile in Libia fosse colpa di Conte, Casalino e Di Maio. Breve antologia: “Conte vede solo Haftar, Sarraj diserta. Gaffe diplomatica sul conflitto in Libia”, “Il pasticcio inquieta i diplomatici: ‘Errore madornale, ci costerà caro’” (Corriere), “Gaffe, flop e debolezze. Le inutili fatiche di Di Maio. Sarraj ha scaricato l’Italia e aperto ai turchi dopo che il grillino ha visto Haftar” (Stampa), “Conte vede Haftar. Ira di Serraj che non va a Palazzo Chigi”, “In Libia contiamo meno di zero… Di Maio vuol abolire il ministero degli Esteri”, “L’Italia perde la sua guerra” (Repubblica), “Gaffe italiana su Haftar” (Sole 24 ore), “Conte senza l’oste” (manifesto), “Anche il premier di Tripoli prende a ceffoni Giuseppi. Figuraccia internazionale”, “C’è l’impronta di Mattarella sul disastro libico di Conte”, “Governanti per caso”, “I volponi del deserto”, “Lo smacco subito da Conte”, “Non sanno che pesci prendere” (La Verità), “Conte e Di Maio dilettanti senza frontiere. Organizzano un vertice sulla Libia disertato dal leader libico”, “Berlusconi è preoccupato: ‘Così il Paese esce di scena’”, “L’Italia fatta fuori dalla Libia” (il Giornale), “Governo pattumiera. Non conta più nulla nel mondo” (Libero).
Bastava aspettare due giorni per scoprire che Serraj, ieri, ha regolarmente incontrato Conte a Palazzo Chigi: pressato da turchi e russi e minacciato dalle milizie nemiche, ha preferito venire 48 ore dopo il rivale. Il che naturalmente non significa che ora le cose in Libia andranno meglio, o che l’Italia conti più di prima, o che Conte e Di Maio, morti mercoledì, siano resuscitati il terzo giorno. Significa più modestamente che non hanno mai smesso di muoversi nel campo minato di una guerra per bande che più caotica non si potrebbe ed esigerebbe una presenza diplomatica compatta dell’Europa, non di questo o quel Paese.
Ora non sarà certo una visita in più o in meno di Sarraj o di Haftar o di entrambi, nello stesso giorno o a tre giorni di distanza, a cambiare le cose. Nè tantomeno a misurare il peso dell’Italia nel mondo. Ma chi aveva tratto giudizi catastrofici sul nostro governo dalla (momentanea) buca di Sarraj a Conte, per coerenza dovrebbe riconoscere di aver scritto un sacco di fregnacce e scusarsi. Non succederà, naturalmente, e questo convincerà vieppiù i lettori superstiti che i giornali servono a incartare il pesce. Così come dimostrato dall’intera copertura informativa della prescrizione, dove si parla solo di cose che non c’entrano nulla con la prescrizione: la presunzione di non colpevolezza, il garantismo, il giustizialismo, le manette, la funzione rieducativa della pena, la lunghezza dei processi. E mai del fatto che l’Italia è l’unico Paese d’Europa che spende un capitale per scovare e mandare a giudizio gli indiziati di reato e poi ne lascia impuniti 3-400mila all’anno perché il tempo è scaduto. L’altro giorno, a 40 anni esatti dalla strage di Bologna, è stato condannato in primo grado un altro neofascista, Gilberto Cavallini. Unanime e giusta esultanza perché la verità, sempre depistata, fa un altro passetto in avanti verso i mandanti che, se tutto va bene, saranno beccati a funerali avvenuti. Per fortuna le stragi, come gli omicidi, non si prescrivono mai. Tant’è che fu possibile processare Priebke e altri ufficiali tedeschi nonagenari per le stragi naziste del 1943-’45. Qualche anima bella de sinistra, che si straccia le vesti per i “processi eterni” che violano la “ragionevole durata” e la “funzione rieducativa della pena” condannando chi intanto è molto cambiato, dirà mai che bisogna smetterla di indagare sulle stragi impunite solo perché chi le faceva ora ha smesso?
No, per un motivo semplice: i padroni del dibattito pubblico non sono coinvolti nelle stragi, dunque per quelle la prescrizione non serve e la ragionevole durata dei processi è un optional. Vale solo per le specialità della casa: ruberie, mafierie, omicidi colposi e così via. E non per abbreviarli (prima finiscono, prima i colpevoli vanno dentro), ma per allungarli e farli prescrivere. Infatti lorsignori tuonano contro i processi lunghi solo perché rivogliono la prescrizione. Infatti, quando Davigo o Gratteri spiega come si accorciano, strillano come vergini violate. Da un anno il povero Bonafede fa il piazzista per farsi approvare la riforma del processo penale che ne taglia i tempi (se cambia un giudice, non si riparte da zero; i processi monocratici restano tali anche in appello; termini più stringenti per le indagini e i vari gradi di giudizio, con azioni disciplinari per i magistrati che non li rispettano per “dolo o negligenza inescusabile”; notifiche non più a mano, ma sulla Pec dei difensori dalla seconda in poi; nuove “assunzioni” di magistrati e cancellieri). Purtroppo cambiano i governi, ma non si trova nessuno -nè Lega, nè Pd&Iv – che la voti. Il sistema non vuole processi più brevi, ma più lunghi, possibilmente prescritti.
Bastava aspettare due giorni per scoprire che Serraj, ieri, ha regolarmente incontrato Conte a Palazzo Chigi: pressato da turchi e russi e minacciato dalle milizie nemiche, ha preferito venire 48 ore dopo il rivale. Il che naturalmente non significa che ora le cose in Libia andranno meglio, o che l’Italia conti più di prima, o che Conte e Di Maio, morti mercoledì, siano resuscitati il terzo giorno. Significa più modestamente che non hanno mai smesso di muoversi nel campo minato di una guerra per bande che più caotica non si potrebbe ed esigerebbe una presenza diplomatica compatta dell’Europa, non di questo o quel Paese.
Ora non sarà certo una visita in più o in meno di Sarraj o di Haftar o di entrambi, nello stesso giorno o a tre giorni di distanza, a cambiare le cose. Nè tantomeno a misurare il peso dell’Italia nel mondo. Ma chi aveva tratto giudizi catastrofici sul nostro governo dalla (momentanea) buca di Sarraj a Conte, per coerenza dovrebbe riconoscere di aver scritto un sacco di fregnacce e scusarsi. Non succederà, naturalmente, e questo convincerà vieppiù i lettori superstiti che i giornali servono a incartare il pesce. Così come dimostrato dall’intera copertura informativa della prescrizione, dove si parla solo di cose che non c’entrano nulla con la prescrizione: la presunzione di non colpevolezza, il garantismo, il giustizialismo, le manette, la funzione rieducativa della pena, la lunghezza dei processi. E mai del fatto che l’Italia è l’unico Paese d’Europa che spende un capitale per scovare e mandare a giudizio gli indiziati di reato e poi ne lascia impuniti 3-400mila all’anno perché il tempo è scaduto. L’altro giorno, a 40 anni esatti dalla strage di Bologna, è stato condannato in primo grado un altro neofascista, Gilberto Cavallini. Unanime e giusta esultanza perché la verità, sempre depistata, fa un altro passetto in avanti verso i mandanti che, se tutto va bene, saranno beccati a funerali avvenuti. Per fortuna le stragi, come gli omicidi, non si prescrivono mai. Tant’è che fu possibile processare Priebke e altri ufficiali tedeschi nonagenari per le stragi naziste del 1943-’45. Qualche anima bella de sinistra, che si straccia le vesti per i “processi eterni” che violano la “ragionevole durata” e la “funzione rieducativa della pena” condannando chi intanto è molto cambiato, dirà mai che bisogna smetterla di indagare sulle stragi impunite solo perché chi le faceva ora ha smesso?
No, per un motivo semplice: i padroni del dibattito pubblico non sono coinvolti nelle stragi, dunque per quelle la prescrizione non serve e la ragionevole durata dei processi è un optional. Vale solo per le specialità della casa: ruberie, mafierie, omicidi colposi e così via. E non per abbreviarli (prima finiscono, prima i colpevoli vanno dentro), ma per allungarli e farli prescrivere. Infatti lorsignori tuonano contro i processi lunghi solo perché rivogliono la prescrizione. Infatti, quando Davigo o Gratteri spiega come si accorciano, strillano come vergini violate. Da un anno il povero Bonafede fa il piazzista per farsi approvare la riforma del processo penale che ne taglia i tempi (se cambia un giudice, non si riparte da zero; i processi monocratici restano tali anche in appello; termini più stringenti per le indagini e i vari gradi di giudizio, con azioni disciplinari per i magistrati che non li rispettano per “dolo o negligenza inescusabile”; notifiche non più a mano, ma sulla Pec dei difensori dalla seconda in poi; nuove “assunzioni” di magistrati e cancellieri). Purtroppo cambiano i governi, ma non si trova nessuno -nè Lega, nè Pd&Iv – che la voti. Il sistema non vuole processi più brevi, ma più lunghi, possibilmente prescritti.
L’informazione dovrebbe smascherare questi impostori. Invece fa il palo e regge il sacco.