martedì 10 marzo 2020

Disguido Bertolaso. - Marco Travaglio

E niente, anche oggi siamo sospesi fra la tragedia nazionale e la farsa surreale. La tragedia è confermata dal quotidiano bollettino di guerra diramato dalla Protezione civile, con i nuovi positivi, ricoverati, morti (in lieve calo, ma non significa nulla) e la drammatica scelta dei medici fra chi curare e chi no per mancanza di posti in rianimazione. La tragedia si aggrava per l’esodo folle da Nord a Sud di orde di irresponsabili, partiti in piccola parte dopo la fuga di notizie sul decreto e in massima parte dopo il varo del provvedimento, che vanno individuati anche col tracciamento delle celle dei cellulari e messi in quarantena prima che facciano altri danni: il che rende ragionevole, a questo punto, la decisione di estendere la zona “arancione” dalle province interessate dal decreto di sabato notte a tutto il resto d’Italia. La tragedia si moltiplica per le rivolte nelle carceri, troppo diffuse, concomitanti e coordinata per non far pensare a una regìa della criminalità organizzata, aiutata dai demenziali appelli all’amnistia e all’indulto che alimentano aspettative infondate (manca soltanto che rimettiamo in circolazione qualche migliaio di delinquenti): il che rende doverosa un’affermazione forte dello Stato, con una task force che riporti l’ordine nelle celle, punisca i responsabili e accolga le richieste ragionevoli dei detenuti pacifici (più colloqui via Skype, telefonate più lunghe, più precauzioni su chi arriva da fuori come gli agenti penitenziari e i nuovi reclusi).
Poi, appunto, c’è la farsa. Che ha molti autori. Il trio comico dei giornali di destra ogni giorno sforna nuovi copioni per un remake-cinepanettone di “Vogliamo i colonnelli”. Il Giornale: “Adesso chiudiamo anche questo governo”.. Libero: “Viaggio nel ghetto Lombardia. Umiliata la prima regione d’Italia”. La Verità: “Pieni poteri. Un commissario contro i danni del governo”. 
Poi c’è l’Innominabile che, quando si tratta di dire una fesseria, non si tira mai indietro. Non sapendo più come farsi notare, fallito anche l’astuto tentativo di sbancare gli ascolti in un programma di gossip (0,36% di share), aveva pensato di tornare in prima pagina spacciandosi per contagiato, ma anche lì l’han fregato Zingaretti, Cirio e persino Porro. Così, aguzzando l’ingegno, ha avuto un’idea geniale, peraltro copiata dal suo spirito guida B. che la tirava fuori a ogni emergenza nazionale, internazionale e rionale: richiamare in servizio Guido Bertolaso, una vecchia gloria (si fa per dire) talmente bollita che già quattro anni fa era stata scartata persino dal centrodestra come candidato sindaco di Roma.
L’ideona è subito piaciuta a Belpietro (“Ci vuole un decisore come Bertolaso”) e a Farina-Betulla (“Ridateci Bertolaso. L’uomo delle emergenze è quello che ci vuole. Ma esige carta bianca”. Cioè: detta pure le condizioni). Il Corriere svela che il suo nome è stato fatto a Mattarella da Renzi, Salvini e Gianni Letta, per dire la serietà della proposta. In fondo è “il medico che ha diretto la Protezione civile e gestito le grandi emergenze del Paese, dai rifiuti ai terremoti”. Già, ma qualcuno s’è dimenticato come: essendo stato assolto nei processi, è passata la fake news che abbia fatto tutto a regola d’arte. Come se bastasse non commettere reati, o non farsi scoprire, per essere un fenomeno. 
- Chi era il commissario straordinario ai rifiuti in Campania quando la munnezza superava il Maschio Angioino, nominato da Prodi, poi fuggito per palese fallimento e richiamato da B. con una maleodorante scia di scandali e arresti? Bertolaso. 
- Chi era il commissario straordinario al G8 del 2009 che buttò 400 milioni in inutili grandi opere alla Maddalena, per poi traslocare l’evento in extremis a L’Aquila appena terremotata, lasciando nell’isola cattedrali nel deserto in preda alle sterpaglie e buchi stratosferici nelle casse dello Stato? Bertolaso. 
- Chi nominò “soggetti attuatori” di quegli appalti senza gara i famigerati Angelo Balducci e Fabio De Santis, che si rivolsero alla solita cricca di compari imprenditori e furono condannati in Cassazione a 3 anni e 8 mesi a testa per corruzione? Bertolaso. 
- Chi era pappa e ciccia con l’imprenditore Diego Anemone, asso pigliatutto degli appalti, che gli riservava in esclusiva il Salaria Sport Village per indimenticabili “massaggi” da “vedere le stelle” a opera di un’apposita brasiliana? Bertolaso.
- Chi era il capo della Protezione civile che rassicurò gli aquilani (“non c’è nessun allarme in corso”) dopo quattro mesi di sciame sismico, portando pure la Commissione Grandi Rischi a fare passerella, come confessò lui stesso al telefono con una funzionaria (“Vengono i luminari, è più un’operazione mediatica, loro diranno: è una situazione normale, non ci sarà mai la scossa che fa male”) e inducendo molti a tornare a casa proprio alla vigilia della scossa letale del 6 aprile 2009 che fece 309 morti? Bertolaso. 
- Chi promise l’immediata ricostruzione dell’Aquila, che 11 anni dopo è ancora quasi tutta a terra? Bertolaso. 
- Chi dichiarò chiusa l’emergenza terremoto in Abruzzo il 24 luglio 2010, quando ancora 30 mila abruzzesi erano sfollati negli alberghi? Bertolaso. 
- Chi, nello stesso anno, sulle ali di cotanti successi, si aviotrasportò ad Haiti per fare l’umarell nell’isola caraibica devastata dal sisma e insegnare agli americani come si gestiscono le emergenze, attaccando Barack Obama e Hillary Clinton per l’“organizzazione patetica dei soccorsi e i troppi show in tv” (lui, così schivo) e finendo sbertucciato in mondovisione dalla Clinton come “uno che il lunedì fa polemiche al bar sulle partite di football”, prima del rimpatrio col foglio di via? Bertolaso. 
Ora voi capite bene l’urgenza di affidare il coronavirus a uno così. Piuttosto che Disguido Bertolaso, meglio la massaggiatrice.

La Settimana del Blog #102.



di Beppe Grillo – Eccoci qui, stiamo attraversando un periodo davvero difficile, siamo dinnanzi ad un evento globale, un evento che ci fa capire come siamo tutti collegati, come solo una singola città sperduta in un angolo del mondo possa influenzare l’intero pianeta.
Ma possiamo anche capire che lo stesso vale per le rivoluzioni, per le scoperte, per i cambiamenti. Ogni settimana proprio qui riassumiamo quello che ci ha più colpito, le scoperte che ci hanno fatto sobbalzare, quelle che a breve sconvolgeranno positivamente il mondo, dandogli lo scossa che gli serve.
Ed infatti abbiamo iniziato con la notizia di una nuova via per trattare le patologie tumorali, chiamata “il proiettile magico”. Ecco di cosa si tratta.
Abbiamo poi parlato della pelle artificiale sviluppata da un team di ricercatori per consentire ai robot di provare dolore. Questo potrebbe portare i robot a mostrare e provare empatia per noi esseri umani. Ecco il video e i possibili sviluppi.
Poi ci siamo occupati di un problema poco noto, il business delle colonnine elettriche. Si paga tanto, devi scappare di corsa e non si ha nessun servizio. Ecco, il quadro attuale, leggete qui!
É arrivata la notizia che la Svezia sta testando la sua moneta virtuale. Una vera e propria valuta elettronica nazionale lanciata dalla banca centrale svedese che utilizza la tecnologia blockchain. Ecco cosa sta succedendo.
Poi Google ha lanciato uno strumento per capire quali immagini sono dei fake e quali no. Ecco come funziona.
Godetevi “Guardians of Life”, un corto con Joaquin Phoenix che lancia un messaggio chiaro: in questo momento storico, i guardiani della nostra terra sono i popoli indigeni, che rischiano la propria vita in nome del nostro pianeta. Se non lo avete visto, guardatelo!
Ed un’altra notizia allarmante in ambito ambientale: la metà delle spiagge del mondo potrebbe scomparire entro il 2100. Ecco il recente studio.
Ci siamo occupati anche della resistenza agli antibiotici. Una nuova scoperta ci da finalmente un’alternativa. Leggete qui.
Abbiamo concluso questa settimana pubblicando la sintesi del report Keep It On, dell’associazione Access Now, che si batte per un internet gratuito e libero per tutti. In questo rapporto Access Now rivela che i governi di tutto il mondo bloccano sempre di più l’accesso ad Internet, spesso per reprimere il dissenso, ancor di più durante le proteste o le elezioni. Ecco i dati allarmanti.

Come sempre vi auguro una piacevole domenica e vi lascio con questo scritto di Albert Einstein:
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘Superato’.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita.
Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lieve brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo, invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa,
che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

lunedì 9 marzo 2020

Gli italiani e il Coronavirus: io speriamo che me la cavo. - Roberta Labonia



Mentre scrivo penso a come questa grossa rogna dell’epidemia da coronavirus stia impietosamente riportando alla luce i nostri peccati, le nostre mancanze, i nostri storici punti deboli. Ogni attore in commedia sta sbagliato qualche battuta. Molti cercano di nascondere la polvere sotto al tappeto. L’individualismo italico, lo scarso senso civico che, ahimè ci distingue, gli egoismi personali, stanno avendo la meglio sulla tutela del bene comune. E che in ballo ci sia la tutela del bene comune più prezioso, la nostra salute, sembra che, alla prova dei fatti, interessi a pochi.
Guardo la TV. Sta andando in onda un servizio girato l’altra notte nella stazione centrale di Milano. C’è un giornalista che, mascherina a mascherina (e meno male!), intervista una ragazza che sta andando a Roma. Dice che lei a Milano ci studia ma sta tornando a casa perché teme che domani (ndr ieri), non lo possa più fare. Insieme a lei decine e decine di persone, trolley alla mano, corrono verso i treni. Le immagini sono emblematiche di come, proprio nelle ore in cui il Governo stava assumendo drastiche misure di contenimento del “rischio Lombardia”, questo si apprestava a viaggiare in ordine sparso, destinazione il resto del Paese, sui treni di Ferrovie per l’Italia. Era corsa la notizia che tutta la Lombardia sarebbe stata blindata. Da domani (ndr ieri), nessuno ne sarebbe più potuto uscire né entrare. Colpa di un Dpcm (Decreto del Consiglio dei Ministri), che da qualche ora girava in rete. Una bozza, un tarocco, che le principali testate giornalistiche, con dubbio senso di responsabilità e male interpretato diritto all’informazione, avevano ben pensato di rendere pubblico senza attendere quello ufficiale che da lì a poche ore, a notte fonda, Giuseppe Conte avrebbe firmato. Una bella picconata a quel cordone di sicurezza che il Governo, da giorni, sta ricercando in tutti i modi. Bravi, bis!
Ieri, a decreto firmato, mi sono arrivati i commenti a caldo di parecchi: confusione e panico. Invettive verso il Governo. Privati, professionisti, piccoli imprenditori, commercianti, nessuno escluso, ha mosso la sua critica, pensando ai suoi personali interessi. Nessuno di costoro, italiani che dicono di amare il loro Paese, ne sono convinta, ha l’esatta percezione del pericolo che ci si prospetta davanti: quello di un gigantesco disastro sanitario. Roba che può destabilizzare sia socialmente che economicamente un intera nazione per anni, forse decenni. Roba che se non contrasti anche contando sui comportamenti virtuosi e civicamente consapevoli del singolo cittadino, non ne esci. Roba che il bloccarla val bene il sacrificio di uno o due mesi di fermo Paese. Eppure gli italiani o grossa parte di loro, continuano a fare orecchie da mercante. Da nord a sud. In queste ore mi scorrono davanti le immagini di un Italia irresponsabile, a cominciare da Milano, quella che l’epidemia, grossa, ce l’ha in casa. Quella che si fregia di essere la capitale economica d’italia: Navigli comunque frequentati, strade dello shopping tutt’altro che deserte, pic nic domenicali, movida irriducibile. Distanza di sicurezza non pervenuta. Baci e abbracci qua e là. Ma, ca va sans dire, non va meglio a Roma piuttosto che a Firenze, Napoli e Palermo. Tanto per citare alcuni dei principali capoluoghi nostrani. C’è da chiedersi se siamo diventati tutti un Paese di sordi e di ciechi. Del martellante invito al rispetto anzi all’obbligo, del “distanziamento sociale”, che ci arriva dalle principali istituzioni del Paese, noi ce ne freghiamo.
E se è vero che ogni popolo ha il governo che si merita, voci scomposte continuano a levarsi anche da parte degli amministratori locali. Malpancisti per tutti i gusti, ognuno dice la sua. In primis i Presidenti di regione, quelli che hanno la diretta responsabilità della sanità locale. Tutti, dopo aver lamentato ad una voce di non essere stati coinvolti nelle decisioni (salvo far marcia indietro quando ieri Conte li ha interpellati prima di firmare), hanno levato i loro distinguo: c’è chi ritiene il decreto Conte “pasticciato” come l’emiliano Bonaccini. Chi ritiene che le misure adottate siano troppo blande come, tardivamente mascherina esente, Attilio Fontana e chi, al contrario, ne lamenta l’eccessivo rigore come Luca Zaia, quello che è tutta colpa dei cinesi che mangiano i topi vivi.
Sono Presidenti di Regione che stanno passando il più brutto quarto d’ora della loro esperienza politica, ne convengo. I loro Ospedali straripano, stanno rischiando il collasso. Strutture che fino a ieri erano viste come i fiori all’occhiello del sistema sanitario nazionale italiano.
E se a mala pena sta reggendo la sanità del Nord, tremo al pensiero che il contagio esploda anche da Roma in giù. Allora si che saranno dolori, o meglio, altri dolori.
Tanto per citare una, la Regione Lazio, dove vivo, per decenni ostaggio di consigli regionali di destra e sinistra che hanno banchettato sui fondi del servizio sanitario regionale accumulando deficit miliardari. Noi gente del Lazio da circa 8 anni subiamo le alzate d’ingegno di Nicola Zingaretti: ha chiuso 16 Ospedali, tagliato il personale del 14%, e, pensate voi, ben 3.600 posti letto! Oggi, dopo aver dilatato le liste d’attesa all’inverosimile per un esame (che fai in tempo a morire di tumore, se mai ce ne hai uno), si vanta, senza merito, il contagiato Presidente della Regione Lazio nonché segretario del Pd, di aver portato la Sanità laziale fuori dal commissariamento, ma a che prezzo? Forse se non avesse favorito a suon di centinaia di letti convenzionati e contributi regionali la sanità privata, oggi qualche letto in più in terapia intensiva pubblica ce lo avremmo avuto. Ma se Atene piange Sparta non ride. In quel di Lombardia, al Pirellone, abbiamo visto anche di peggio. Formigoni, dai suoi arresti domiciliari, sta lì a ricordarcelo. I lombardi stanno ancora in attesa che rifonda i 60 milioni di fondi pubblici regionali da lui graziosamente elargiti alla Fondazione Maugeri. Per non parlare dei buchi alla Sanità prodotti dalle regioni del sud in terre di mafia.
Insomma lacrime di coccodrillo quelle versate in queste ore da parte dei presidenti delle regioni del nostro Paese, i cui organi consiliari si sono guadagnati con gli anni il triste primato del più alto indice di inefficienza e corruzione. La scelta dissennata di aver favorito il privato a scapito del servizio sanitario regionale, oggi gli sta presentando il conto. Tanto che mi chiedo: e se la gestione della Sanità, con relativi fondi al seguito, la riportassimo a livello centrale? Ci avete mai pensato? Del resto il presidio della salute pubblica è materia di sicurezza nazionale. Certo poi ai Zaia, ai Fontana, rimarrebbero da gestire poche briciole di euro. Quindi perchè no? Togliamole proprio le Regioni, di organi intermedi ne abbiamo a sufficienza. Vedi i Comuni e quel che resta delle Province, oggi soppiantate dalle Città Metropolitane. Meditate gente, meditate.
Ma se la politica regionale in queste ore non brilla per coerenza ed efficienza e per amor di Patria sorvolo sull’indegno spettacolo di sciacallaggio politico che l’opposizione sta dando di sé in queste ore, anche sul Governo nazionale si alternano luci ed ombre. Pur efficace nell’azione di contrasto a questa epidemia, come la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità gli ha riconosciuto, l’Esecutivo ha mancato nella qualità dell’informazione. Il Governo si è autoinflitto un danno di immagine non indifferente. Concitazione? Eccesso di trasparenza? Sia come sia, come spesso accade, il diavolo si cela nei dettagli: l’aver effettuato, l’Italia da sola, più tamponi che in tutto il resto d’Europa, ci ha portato a denunciare nei primi giorni il più alto numero di positivi senza fare un distinguo fra asintomatici, sintomatici e ospedalizzati. Agli occhi del resto del mondo, ancora non alla presa con numero di contagi significativi perché non ricercati, siamo apparsi da subito come gli untori da evitare. Paesi del terzo mondo si sono arrogati il diritto di negare l’accesso ai nostri connazionali.
E poco importa che adesso, di ora in ora, nazioni come Francia, Germania, Spagna e buona parte del resto del mondo, si trovino alle prese con un crescente quanto incontrollato numero di contagi, il danno è stato fatto.
E in tutta questa cacofonia di voci mi torna alla mente il tema di Raffaele, il bimbo che descriveva a modo suo, in una scuola dell’entroterra campano, la parabola della fine del mondo. Chiudeva così:
“Quelli del purgatorio un po’ ridono e un po’ piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle e IO, speriamo che me la cavo”.

"I Salvini boys, una carriera rovinata dal Covid-19" - Antonio Padellaro



“Il premier era nell’angolo e ha enfatizzato il virus per uscirne” (Claudio Borghi, Lega. La Repubblica). Questi Salvini boys vanno capiti, il maledetto virus gli ha rovinato la piazza. Due anni fa il capataz ebbe un’idea straordinaria: dai ragazzi, buttiamoci nel mercato della paura, diciamo agli italiani che saranno invasi da negri, terroristi e clandestini pidocchiosi e scabbiosi, io farò il frontman, voi sarete il coro e alla campagna promozionale ci penserà la Bestia, un vero portento capace di sparare cazzate a raffica. Fu un successone, la trovata ebbe rendimenti mostruosi. Dalla botteguccia costretta a raccattare qualche voto riproponendo la solita, vecchia riapertura dei casini si passò rapidamente a una gigantesca catena di ipermercati della psicosi in grado di spacciare la merce a prezzi scontatissimi, direttamente nelle case dei clienti, e molto meglio di Amazon. Grazie a una squadra affiatata di piazzisti televisivi si fece credere agli italiani che fossimo alla vigilia di una sostituzione etnica, e che in breve masse di africani sbarcate illegalmente sul suolo patrio (mentre la vile sinistra buonista faceva finta di non vedere) si sarebbero riprodotte a nostre spese riducendo i nativi a una sparuta minoranza sottomessa agli invasori. La paura dell’immigrato restava l’articolo più richiesto ma l’ufficio brevetti della Bestia sfornò una nuova collezione impostata sulla catena dell’odio. Odio verso rom e gay, odio per Europa ed Euro, odio verso tutto e tutti, fino alla trovata geniale dell’abbinata paura-odio: paghi uno e prendi due. Poi arrivò il maledetto coronavirus e, d’improvviso, speculare sulla paura divenne come vendere frigoriferi al polo nord. Succedeva che una paura superiore, invasiva, contagiosa, onnipresente aveva ricoperto il Paese come un immenso sudario. Si cercò di rivitalizzare il mercato lanciando un nuovo prodotto: il panico. Invano la squadra affiatata dei piazzisti coniò titoli terrificanti che evocavano le più spaventose stragi, pestilenze, calamità, sventure. Il responsabile dell’immane flagello era sempre uno e uno solo: lui, Giuseppe Conte. Fu accusato prima di avere enfatizzato il morbo, poi di averlo sottovalutato. Fu chiamato delinquente e criminale. Ma erano spot che purtroppo non tiravano più: i consumatori, pardòn, i cittadini sembravano stranamente più interessati alle indicazioni del governo che ai trafficanti della paura che infatti cominciarono a sbandare e a perdere clienti. Il capataz affogò la delusione dentro un’enorme confezione di Nutella. Il fido Borghi cominciò a parlare da solo. Mentre si cercava un lavoro vagava ripetendo: a me m’ha rovinato er coronavirus.

https://infosannio.wordpress.com/2020/03/08/i-salvini-boys-una-carriera-rovinata-dal-covid-19/?fbclid=IwAR2wODu1lmxjJzJxK5sI5k3lIfBf-PC-emaOs3eIcA1W97PKksQqFqluBaM

Renzi “l’Étoile” fa flop pure in televisione... - Lorenzo Giarelli

Renzi “l’Étoile” fa flop pure in televisione

A “Rivelo” - Accolto da star, parla di famiglia e scout. Ma lo guarda lo 0,36%.
Nel quartier generale di Italia Viva devono averci pensato a lungo. Per rimediare agli ultimi sondaggi disastrosi, hanno pensato a una operazione simpatia (un’ altra?) che rilanci finalmente l’ immagine di Matteo Renzi. E quale idea migliore di mandarlo in tv in piena crisi sanitaria a parlare dei suoi inizi nei boy scout, del rapporto coi figli e di quando dovette rinunciare alla festa dei 40 anni per partecipare alla commemorazione per Charlie Hebdo? Una mossa da far rimpiangere i fasti di Jim Messina. “Vi è mai capitato di conoscere il vostro idolo?”. Così viene introdotto Matteo Renzi a Rivelo, trasmissione di Real Time condotta da Lorella Boccia – nuora di Lucio Presta, agente dei vip e amico di Matteo – andata in onda giovedì sera.
L’ inizio è solo un tiepido assaggio dei 48 minuti di coccole all’ ego dell’ ex premier. La Boccia ricorda l’ incontro con una stella della danza: “Ero agitatissima, pensavo a come dovevo rivolgermi a lei, poi mi ha detto di chiamarla semplicemente per nome. Ho capito che le grandi star non hanno bisogno di dimostrare nulla, basta esserci per fare la differenza. E anche l’ ospite di questa sera non ha bisogno di presentazioni”. È Matteo Renzi. “Ammetto di essere un po’ emozionata”. “Ma io non sono un étoile”. “No?”. No. Si parte: “Voglio disorientarla con una domanda che nessuno le ha mai fatto”. Perché non si è ritirato dalla politica dopo il referendum? Perché bombarda un governo che lui stesso ha voluto? Meglio: “Le piace ballare?”.
Matteo è a suo agio. Racconta dei soprannomi da bambino: “Nessuno mi ha mai chiamato il Bomba. Al massimo ero il Matto”. Allora va meglio. Poi è l’ora del libro Cuore, qualcosa a metà tra le frasi da Baci Perugina e i discorsi rubati agli anziani fuori dal cantiere: “I bambini non giocano più per strada”; “A volte per far star bene le famiglie di tutti fai star male la tua”; “Il lusso non è un’ auto blu o un volo privato, ma condividere relazioni umane”. Se poi si condividono relazioni umane da sopra un Air Force One in leasing per 168 milioni, tanto meglio.
Ma c’ è spazio pure per i ricordi politici, col consueto basso profilo: “Sono stato il primo sindaco presidente del Consiglio. L’ unico a realizzare la parità di genere nel governo. Il premier più giovane. Se vedo un tricolore mi inchino e ringrazio”. “Le fa molto onore”.
Ma è quando tutto sembra calmo, quando ci si sbottona la camicia e si allungano i piedi sul tavolo che Renzi infila il pizzino politico.
Verso i titoli di coda arriva un messaggino da non sottovalutare: “Renzi, ci faccia una rivelazione”; e va bene: “Matteo Salvini è un mio rivale, ma c’ è un rapporto personale, umano ci siamo sentiti più volte. Dopo il referendum mi ha scritto per dirmi che mi avrebbe aspettato presto in battaglia, e così ho fatto io ad agosto”. “Questo è un messaggio importante per gli italiani”. Purtroppo sì. E c’ è anche la morale finale: “Il rischio è che ti trasformi in un codice, serve avere passione per non vivere da numerini”. I numerini, appunto. Tipo il dato Auditel della serata: 0,36 per cento. Poco persino al confronto dei sondaggi di Italia Viva.

Autoregolamentazione. - Dimostriamo di essere un popolo civile.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

- Uomini e no - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 9 Marzo.

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La leggenda autoconsolatoria degli italiani brava gente e del Paese che reagisce serio, responsabile e compatto come un sol uomo al coronavirus è andata in mille pezzi l’altra notte, con la felliniana prova d’orchestra delle cosiddette classi dirigenti e della presunta società civile.
In poche ore quasi tutto il patrimonio di credibilità che avevamo accumulato nelle ultime settimane grazie alla sobrietà, all’equilibrio e alla trasparenza del governo, alla collaborazione responsabile di una parte del centrodestra e delle “sue” Regioni del Nord, ma soprattutto all’impegno sovrumano di medici e infermieri degli ospedali invasi dai contagiati malati, è finito in fumo per colpa di qualche migliaio di sciagurati che hanno restituito dell’Italia la sua immagine più macchiettistica e caricaturale.
Matteo Salvini, con una cinquantina di post e tweet, sciacallava su tutto, persino sulle rivolte carcerarie, pur di strappare qualche decimale nei sondaggi che in realtà lo puniscono proprio per il suo sciacallismo. E un altro premier fortunatamente mancato, Carlo Cottarelli, faceva lo spiritoso sull’isolamento della Lombardia (“La Padania… c’è riuscito il virus”), inaugurando la figura dello sciacallo antileghisti.
Intanto il vero premier, Giuseppe Conte, dopo un lungo e drammatico Consiglio dei ministri, intervallato dai negoziati con le cinque Regioni interessate e dalle sciagurate fughe di notizie sulle bozze del nuovo decreto, era costretto ad annunciare le misure definitive in piena notte. Misure che nessuno sa se basteranno, visto che non contengono (ancora) il divieto “alla cinese” di uscire di casa tout court almeno per la Lombardia.
Conte ha ricordato che non è il momento di “fare i furbi” e si è appellato all’“autoresponsabilità”. Parola lunare per la minoranza rumorosa di italioti che assaltavano i treni per Sud, affollavano le spiagge, le discoteche e le stazioni sciistiche, preparavano le sporte per la nuova corsa agli accaparramenti nei supermercati, come se il virus non li riguardasse o non esistesse. Parola perfetta per la maggioranza silenziosa di italiani che seguono alla lettera i consigli degli esperti e le raccomandazioni delle autorità, o lavorano giorno e notte negli ospedali, o patiscono i morsi della crisi nei loro negozi, locali, negozi e aziende.
Purtroppo non sapremo mai chi sia stato il primo demente che ha passato ai giornalisti le prime bozze del decreto ancora in discussione, ma sappiamo che le soffiate sono state plurime per tutta la serata, a partire dalle 20.
E sappiamo anche chi può averle diffuse, fra le poche istituzioni che ne erano in possesso.
Non Palazzo Chigi, che ne è stato la prima vittima. Ma qualche ministro o funzionario che mal tollera la popolarità e credibilità del premier e vuole sfregiarlo per preparare inciuci, ribaltoni o elezioni anticipate. E gli uffici di qualche Regione, magari per far dimenticare le boiate di qualche governatore, o soltanto per la cialtroneria di chi non riesce a tenersi neppure un cecio in bocca: figurarsi un provvedimento di quella drammatica portata. Le possibili “manine” sono tante, e i moventi pure. Prendersela con l’ultimo anello della catena, cioè con i giornalisti che pubblicano bozze ufficiali, per quanto provvisorie, è ridicolo: fanno il loro, anzi il nostro mestiere (diversamente da quelli che sfruttano l’occasione per riprendere il tiro al bersaglio sul premier).
Certo, è avvilente scoprire che neppure in un momento come questo il capo del governo può fidarsi delle altre istituzioni, e forse nemmeno di tutti i suoi ministri. Tantopiù che questa gente rappresenta lo Stato e dovrebbe essere di esempio ai cittadini comuni, chiamati a sacrifici mai visti dai tempi della guerra. Se un ministro, un funzionario, un governatore o un assessore dà queste prove di irresponsabilità (e taciamo, per carità di patria, sui cosiddetti “presidenti” di serie A, o sui soliti radicali che, a furia di invocare amnistie e indulti, soffiano sul fuoco delle rivolte nelle carceri), come potrà convincere il quidam de populo a non sfruttare la situazione per fregare il prossimo? O invitare all’”auto-responsabilità” chi forza blocchi, viola divieti o nasconde l’infezione diffondendola in giro per l’Italia?
Il decreto dell’altra notte non estende la zona rossa alle province interessate, troppo estese perchè se ne possano sigillare i confini a mano armata: tutto è affidato al senso civico dei singoli (l’”autoresponsabilità”, appunto), nella speranza che tutti rispettino spontaneamente le prescrizioni pur sapendo che sarà impossibile costringerli a farlo manu militari e perseguirli penalmente se non lo fanno.
Si spera che questo decreto ottenga i risultati sperati. Che sono almeno due: contenere un contagio che è impossibile fermare per legge; ma anche dimostrare che in Italia le persone serie sono qualcuna in più dei cialtroni.