Fini: "Riforme condivise e non a maggioranza". Scontro tra Feltri e Bocchino: "I finiani si sono scoperti formalisti e adoratori delle norme, pur di non dare una mano al premier", scrive il direttore de Il Giornale. " Basta con le 'ghedinate' da prendere o lasciare" replica Il vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera. Sullo sfondo le inchieste di Report e il processo di Palermo
Resta alta la temperatura sul tema riforma della giustizia non soltanto tra maggioranza e opposizione, ma anche all'interno del Pdl. Due i filoni da analizzare per comprendere il perché di tanta tensione. Da una parte c'è il nodo politico, che vede i "finiani" nel mirino dei cosiddetti "falchi". Dall'altra ci sono le indagini e i nodi giudiziari che, a vario titolo, coinvolgono il premier.
Sul versante politico, anche oggi dunque, lo scontro interno alla maggioranza non si placa. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è tornato spiegare che non è nelle intenzioni del governo procedere spontaneamente alla riproposizione del cosiddetto lodo Alfano con legge costituzionale, ma che "coloro che hanno a cuore il bene del Paese possono farlo, noi non abbiamo nulla in contrario e lo valutiamo con favore". Intanto il direttore de Il Giornale torna a scagliarsi contro il presidente della Camera: "La magistratura è un partito, ed è ovvio che Berlusconi se ne difenda con il suo partito, il Pdl. Peccato che alcuni alleati del Cavaliere non abbiano capito il concetto o facciano orecchie da mercante. I finiani si sono scoperti formalisti e adoratori delle norme, pur di non dare una mano al premier", scrive Vittorio Feltri.
Netta la replica di Italo Bocchino, vicepresidente vicario del gruppo Pdl alla Camera: "I falchi berlusconiani devono farla finita di parlare di complotto contro Berlusconi. Basta con le 'ghedinate' da prendere o lasciare. Il premier deve guardarsi da quei suoi consiglieri che lo hanno portato in un vicolo cieco. Procediamo con la riforma costituzionale del lodo Alfano e del ripristino dell'immunità parlamentare; così com'è oggi, il processo breve è destinato a sbattere contro il muro dell'incostituzionalità".
Negli ultimi giorni Berlusconi si tiene ai margini della diatriba. In pubblico preferisce tacere, ma sono in molti a dire che, nelle conversazioni private, il premier è "un fiume in piena" e non nasconde la sua ira.
A preoccuparlo è il versante giudiziario. Il timore del Cavaliere è che da Palermo gli arrivi un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Il passaggio cruciale sarà la data della testimonianza di Spatuzza nel processo di secondo grado contro Dell'Utri, già condannato a nove anni in primo grado. Poi ci sono altri due capitoli aperti: quello della procura di Caltanisetta, che indaga sugli attentati a Falcone e Borsellini nel '92: e l'inchiesta di Firenze sui mandanti esterni delle stragi del '93.
A tutto questo si aggiunge l'inchiesta milanese sull'Arnerbank (oggetto della puntata di domenica sera di Report) che i procuratori milanesi sospettano sia una sorta di lavanderia per il denaro sporco che arriva fino a Marina e Piersilvio Berlusconi. Sull'Arnerbank poi hanno messo gli occhi anche i pm di Palermo Scarpinato e Ingroia che si occupano di riciclaggio di soldi della mafia.
Insomma, altro che la continua guerriglia di Gianfranco Fini: oltre ai processo Mills e Mediaset, ad agitare veramente i sonni di Berlusconi sono le incredibili bombe giudiziarie, che potrebbero essere sganciate su Palazzo Chigi per devastare la credibilità del premier. Al quale, se arrivasse da una di queste procure un avviso di garanzia, non resterebbe che la strada delle elezioni anticipate per dire al Paese: ecco il "fango" che monta e che vuole destabilizzare un premier eletto dal popolo.
Ma andiamo con ordine:
A Palermo, il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, accusa Dell'Utri e chiama in causa il premier come nuovi referenti politici di Cosa Nostra nel '93 al termine della sanguinosa campagna stragista a Roma, Firenze e Milano. Intanto, la trasmissione Report di Milena Gabanelli andata in onda domenica sera su Rai Tre rivela: nella sede milanese della svizzera Banca Arner la famiglia Berlusconi ha quattro conti correnti per un totale di 60 milioni di euro, di cui uno intestato direttamente al presidente del Consiglio per dieci milioni e altri tre per 50 milioni a capo delle holding italiane Seconda, Ottava e Quinta, amministrate dai figli Marina e Piersilvio. Tra i clienti della banca ci sarebbero anche Ennio Doris, fondatore del gruppo Mediolanum, e Stefano Previti figlio di Cesare".
La notizia- bomba arriva verso la fine della puntata dedicata in gran parte al fenomeno dell'esportazione illegale dei capitali e alla nuova versione dello scudo fiscale che - secondo la testimonianza del consulente delle Procure Giangaetano Bellavia, "con le modifiche del 3 ottobre è allargato alle dichiarazioni fraudolente, alle fatture false e alla distruzione delle scritture contabili".
L'inviato di Report Paolo Mondani ricostruisce la storia della Banca Arner, fondata nel 1994 da Paolo Del Bue ("uomo di fiducia di Berlusconi"), Nicola Bravetti, Giacomo Schraemli e Ivo Sciorilli Borelli. Nel 2003 viene aperta la sede Milanese e negli anni successivi scattano una serie di disavventure giudiziarie. Il 7 maggio del 2008 Bravetti viene messo per due settimane agli arresti domiciliari dalla Procura di Palermo con l'accusa di intestazione fittizia di beni avendo aperto un conto di 13 milioni di euro a favore di Teresa Macaluso nascondendo il vero proprietario e cioè il marito e costruttore siciliano Francesco Zummo, collegato al clan Ciancimino, indagato per mafia ma assolto in appello. I beni di Zummo - valutati tra i 500 milioni e il miliardo di euro - sono stati messi sotto sequestro.
Non si sa se Del Bue, che ha lasciato la carica di amministratore nel 2005 è ancora tra i soci, ma era di certo in Arner quando, secondo la ricostruzione fornita agli inquirenti dall'ex presidente del Torino Gianmauro Borsano, la società panamense New Amsterdam, amministrata fiduciariamente da Arner, versò in nero 10 miliardi di lire al Torino per il passaggio del calciatore Gianluigi Lentini al Milan.
Eppure l'importanza di Del Bue si capisce solo dalle carte del processo Mills, l'avvocato inglese condannato in appello per essersi fatto corrompere da Berlusconi per testimoniare il falso nei processi del premier. Nelle motivazioni della condanna il tribunale spiega che Mills si fece pagare per nascondere ai giudici italiani che le società offshore Century One e Universal One erano riconducibili non ai manager della Fininvest, ma "direttamente a Silvio Berlusconi". I conti esteri di quelle due società erano gestiti proprio da Del Bue, che da quei conti prelevava anche ingenti somme in contanti: 100 miliardi di vecchie lire in tre anni.
Sempre secondo la ricostruzione di Report a mettere in contatto Bravetti con Zummo sarebbe stato l'avvocato Paolo Sciumè. Il noto professionista, racconta Mondani con voce fuori campo, è nei consigli di amministrazione di molte società tra cui Parmalat dove è finito sotto processo per bancarotta ma assolto in primo grado. Nel 1996 entra nel cda di Mediolanum e nel 2003 in quello di Banca Mediolanum.
La Banca Arner, il 17 aprile del 2008, viene messa sotto torchio dagli ispettori della vigilanza della Banca d'Italia che riscontrano "gravi irregolarità a causa delle carenze delle violazioni in materia di contrasto del riciclaggio".
A questo punto Berlusconi deve risolvere la questione dei processi in corso (Mills e Mediaset) per i quali ha bisogno dell'approvazione del ddl sul processo breve. Il ddl redatto allo scopo da Ghedini è riuscito nella titanica impresa di indegnare tutti: dalle opposizioni a numerosi esponenti della stessa maggioranza. Bisogna riscriverlo, blindarlo e farlo approvare. Tre cose che richiedono tempo.
Una boccata d'ossigeno arriva dai giudici di Milano che riconoscono al premier imputato i "legittimi impedimenti per impegni istituzionali precedentemente assunti" e fanno slittare di due mesi (si riparte il 18 gennaio) il processo Mediaste.
Basteranno due mesi per sciogliere il nodo sul processo breve? Basteranno le modifiche alle quali sta lavorando il ministro della Giustizia?
Il premier non si fida: anche il lodo Alfano era stato modificato per soddisfare le riserve del Quirinale, eppure l'Alta Corte lo ha bocciato.
Fini adesso suggerisce di affiancare al ddl sul processo breve la via costituzionale del Lodo Alfano, e l'immunità di stampo europeo. Ma come "precondizione"' la terza carica dello Stato chiede lo stanziamento di risorse per gli operatori della giustizia, perché solo così si possono evitare i tempi biblici dei processi. "Riscrivere le regole deve necessariamente comportare l'impegno per una riscrittura che sia quanto più possibile condivisa, perchè le regole riguardano tutti, perchè le istituzioni della Repubblica sono le istituzioni di ogni italiano", insiste la terza carica dello Stato. "Sarebbe certamente un momento difficile per il nostro Paese quello in cui dovesse affermarsi il principio che, in una democrazia dell'alternanza, ogni maggioranza modifica a proprio piacimento quelle che sono le regole del vivere civile".
Berlusconi ha il sospetto qualcuno gli stia preparando una trappola, vuole capire se alla fine, in Parlamento, a spingere veramente per approvare questo ddl è tutta la maggioranza o ci sarà chi rema contro. In questo clima, anche le dichiarazioni fatte ieri da Fini nel corso della trasmissione "In mezz'ora" di Lucia Annunziata, non lo hanno tranquillizzato. A cominciare da quella frase con la quale l'ex leader di An ha scongiurato le elezioni anticipate che sarebbero la fine non solo della legislatura, ma anche del Pdl. "E chi lo ha detto? - è la replica dei suoi falchi -: Il Pdl può vivere e vincere le elezioni anche senza Fini".
http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=13514
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