giovedì 13 maggio 2010

TRANQUILLAMENTE SUICIDATO


DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

Mentre tutti erano attenti alle vicissitudini dell’economia, la Magistratura italiana ha iniziato a trattare il caso di Stefano Cucchi e, dalle prime avvisaglie, sembra che il “copione” sia il medesimo del caso Sandri, che ha già condotto alla scandalosa condanna (senza carcere) per l’agente Spaccarotella[1]
Ancora non s’è spento il clamore per le “stranezze” nelle imputazioni, che un altro caso arriva in cronaca – dopo Giuliani, Aldrovandi, Mastrogiovanni, Uva e tutti gli altri – ed è la volta di un altro Stefano, di cognome Gugliotta, al quale è andata meglio: il solito pestaggio e due denti spaccati[2] . Almeno, è ancora vivo.
Il poveraccio era stato scambiato per un altro tizio, segnalato come un agitatore nella kermesse del calcio capitolino, mentre stava semplicemente recandosi ad una festa. Staremo a vedere cosa s’inventeranno questa volta.

Intanto, scoppiamo dalla curiosità di poter leggere per esteso le motivazioni per le quali i magistrati – Vincenzo Barba e Maria Francesca Loi – hanno derubricato l’accusa per la morte di Stefano Cucchi, da omicidio preterintenzionale a favoreggiamento, abbandono d’incapace, abuso d'ufficio e falso ideologico per i medici dell’ospedale “Pertini”, lesioni e abuso d’autorità per gli agenti della Polizia Penitenziaria[3] .
Intanto, la parola “omicidio” è scomparsa dal novero delle accuse, e questo la dice lunga sulla “piega” che prenderà il processo. Si ha un bel dire che l’accusa di “abbandono d’incapace” è grave e può trasformarsi, se acclarata, in 8 anni di carcere: vorremmo sapere cosa, dopo tre gradi di giudizio, rimarrà di quelle accuse. Il caso Spaccarotella docet: insomma, da una sola accusa “pesante” si fa uno “spezzatino” il quale, nei vari gradi di giudizio, perderà pezzi ad ogni dibattimento. Non l’avessimo già ascoltato, questo copione, per troppe volte.

Approfondendo un po’ la lettura sotto l’aspetto linguistico – perché l’interpretazione delle norme avviene anche alla luce della semplice lingua italiana – scopriamo che l’impianto accusatorio, al processo, seguirà le linee che andremo ad esporre.
All’inizio della vicenda, ci sono gli agenti della Polizia Penitenziaria che – “abusando della loro autorità” – ossia compiendo azioni che non dovevano compiere, “escono dal seminato”, ossia dalle loro competenze. Un po’ come un bidello che vuole farti una multa per aver posteggiato la moto di fronte alla scuola, o un vigile urbano che pretende di dichiarare guerra alla Spagna. In cosa consiste l’abuso?
Nel provocare delle lesioni. Ora, il termine “lesione” è assai vago: si va dal graffio provocato al vicino di banco con il temperamatite al calcio nel ventre scoccato con forza, il quale ti provoca un’emorragia interna e ti conduce alla morte in pochi minuti. Al momento, non sappiamo nemmeno se tali lesioni siano meglio specificate. Gravi? Lievi? Lesioni e basta.

Volontarie? Beh…se quegli agenti non erano sotto l’effetto di una potente droga psicotropa…sì, senza dubbio sapevano di picchiare. Almeno quello. Se quelle lesioni hanno – in definitiva – ucciso Stefano Cucchi, non potevano certo essere dei buffetti.
Insomma – raccontano i magistrati italiani – quegli agenti si sono lasciati un po’ andare…hanno smarrito per un attimo il codice deontologico ed hanno malmenato “un pochino” il povero Stefano Cucchi, gli hanno dato una “ripassata”…mica roba seria, per carità, non esageriamo…la quale non rientrava, però, nei loro compiti. Cattivoni: non fatelo più, eh?

Siccome Cucchi è stato “lesionato” – ricordiamo che l’impresentabile sottosegretario (minuscolo) Giovanardi giunse a dire che Stefano era morto perché fragile e drogato[4]: ha forse, il sotto-sottosegretario, inviato una “nota personale” ai magistrati? – viene ricoverato (dopo un po’, prima devono accorgersi che è stato veramente “lesionato”) all’ospedale Sandro Pertini, laddove si prendono cura dei carcerati. Se il vero Sandro Pertini fosse ancora in vita, so già chi farebbe “lesionare”. Qui, dei pessimi medici commettono una serie di reati impressionante.

Per prima cosa lo abbandonano, giacché Stefano è dolorante e non lo curano, “favorendo” così la “negativa evoluzione” di quelle lesioni che gli agenti, “soprappensiero” per qualche istante, gli avevano procurato. Quando s’accorgono che l’hanno fatta grossa – semplicemente perché Stefano muore – iniziano a stendere la “cortina fumogena” per pararsi il sederino, commettendo così i reati d’abuso d’ufficio e falso ideologico. Insomma, mentre truccavano le carte del mazzo, non s’erano accorti che infrangevano la semplice consuetudine che proibisce di barare al gioco.
Seguendo la logica di quei magistrati, verrebbe quasi d’aver pena di questi poveri derelitti: più che altro, sembrano dei colossali ignoranti, dei “cinghiali laureati in Matematica Pura”, come affermava de André.

Il “corpus” di questa bella dissertazione – che, non dimentichiamo, è sfociata in delle accuse ridicole, solita roba da “un buffetto e via” – è la netta sensazione d’aver a che fare con determinismo senza limiti, quasi un manifestarsi del Fato. Tutto diventa casuale, quasi che degli Dei bizzarri avessero tutto previsto e favorito: un po’ la spiegazione del sotto-cerebrato Giovanardi che, inesorabilmente, dopo la morte di Stefano continuava a spargere fango sulla semplicissima constatazione che, un giovane che non aveva motivi per morire, in carcere aveva trovato chi glieli aveva prontamente forniti.
Tramite la derubricazione delle accuse, si volge il capo dall’altra e si finisce per non scorgere più i fatti: Stefano Cucchi è entrato sano in carcere e ne è uscito cadavere. Cadavere, capito? Morto.

Ora, chi lo Stato un po’ lo conosce, sa che ci sono cose dette nelle righe e fra le righe: avviene in tutti i comparti, dalla scuola ai ministeri, dalle amministrazioni periferiche alle strutture di controllo del territorio.
Siccome i dettati legislativi sono così aleatori da contraddirsi ad ogni piè sospinto, è compito dei dirigenti cercare d’appianare le mille contraddizioni che un potere politico assente finisce per generare.
Così, fra le righe, viene detto ciò che le righe non raccontano, non spiegano, rimandano, non chiariscono, nascondono.
Non vorremmo che, qualche “riga” non detta ed aggiunta “fra” le righe, sia “sfuggita” a qualche dirigente di polizia ed abbia generato gli oramai tanti casi di omicidio in carcere, botte, gente malmenata e “suicidata”: non troviamo altra giustificazione per gli oramai troppi casi di “sbagli”, “scambi di persona”, “incidenti”, “eccessi” e via discorrendo.
Il sospetto che ci coglie, è che qualcuno abbia aggiunto fra le righe ciò che nessuna riga conteneva: sarebbe il caso d’intervenire rapidamente, prima che i casi aumentino.
Se così non fosse, dovremmo concludere che quel “fra le righe” fosse contenuto – in forma blanda, suadente, contraddittoria, ermetica, esoterica, melliflua o contorta – “nelle” righe e, questo, nessuno Stato democratico – che accende le luci del Colosseo quando una condanna a morte viene trasformata in detenzione! – potrebbe mai permettere. A meno d’essersi trasformato, nella notte del dottor Jekyll, in mister Hyde.

Ma, chi è genitore, può provare per un attimo a ricordare la fatica di tirar su un figlio: le apprensioni, le malattie, qualche volta l’ospedale, i rimproveri dati con il cuore gonfio…e poi le gioie degli abbracci, dei sorrisi, le speranze, le delusioni, ancora fatiche…stai attento con quel motorino…lascia perdere: vengo io a prenderti in discoteca, anche alle tre di notte…
Poi le speranze: dai, provaci ancora a rimediare quel 4 in Matematica, almeno passi l’Estate tranquillo…vedrai che ci riuscirai, che quel lavoro l’avrai… Le delusioni: perché ti sei lasciato andare in quella storia di coca…ma cosa speravi di ricavarci…dai, ti aiuteremo ad uscirne…
Queste (e molte altre) sono le fatiche di qualsiasi genitore: qualche volta alcune non si presentano, ma un buon plafond è comune per tutti.

Dopo tutto questo, ai genitori di Stefano Cucchi la giustizia italiana (minuscolo) si presenta dicendo che il loro figlio è stato “lesionato” soltanto per un misero “abuso d’autorità”, e che non gli sono state prestate le necessarie cure perché hanno semplicemente deciso d’abbandonarlo al suo destino?
Come madri, come padri – se siamo un popolo che ancora ha in sé i semi della giustizia e dell’uguaglianza di fronte alla legge – dovremmo inviare tutti un fiore a quei genitori, perché sappiano che tanti altri genitori italiani sono con loro. E una pernacchia, a questa giustizia che non osiamo definire da “terzo mondo”, soltanto perché in tante parti del Terzo Mondo è più civile.
C’è una petizione aperta per chiedere la verità sulla vicenda di Stefano, che è vergognosamente ferma a circa 120 firme a questo indirizzo:



Saranno solo firme, ma costa poco firmare per raggiungere le 5.000 firme ed inviare la petizione. Coraggio.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http:/carlobertani.blogspot.com/2010/05/tranquillamente-suicidato.html
12.05.2010

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.



Nessun commento:

Posta un commento