di Saverio Lodato - 24 novembre 2010
Ministro Maroni, saremo sinceri. Ci aspettavamo che parlasse di Vittorio Mangano, e non lo ha fatto. Ci aspettavamo che pronunciasse il nome di Marcello Dell’Utri, ma se ne è guardato bene. Ci aspettavamo che dimostrasse coraggio politico, spendendosi in un giudizio su Cosentino e la «banda Campana» del Pdl, ma si è tenuto assai alla larga. Doveva evocare, anche en passant, perché chi vuole intendere intenda, il binomio mafia-politica. Macché. Niente.
Si va a «Vieni via con me» per leggere elenchi di valori, di idealità.
Questo lo hanno capito tutti gli italiani. Lei ha fatto di tutto per andare a leggere un elenco di «atti dovuti», un elenco di «quote millesimali», come quelle che il ragioniere mette insieme, e sommando le quali, si ottiene l’identità di un condominio.
Ecco, se ci consente la semplificazione: sommando gli arresti che Lei ha puntigliosamente ricordato, sottraendoli da quelli che devono essere ancora eseguiti, e dividendo per il numero degli abitanti italiani, avremo l'identità di quel gigantesco condominio criminale rappresentato dalle Mafie nel nostro Paese. Macchinoso come approccio al fenomeno, non crede?
Così ci siamo convinti che ad animarla sia più la passione del «collezionista » che quella del politico riformatore.
Le mancano ancora un paio di «Gronchi rosa» (come Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria), ma ci ha informati che presto faranno parte della collezione. Bene. Siamo con Lei. Ma un’ultima osservazione: non ha mai citato il governo del quale fa parte. È una stranezza del suo «presepe» che non ci è sfuggita. L’unica omissione che abbiamo apprezzato, capendo perfettamente da quale imbarazzo era dettata.
Ben detto!
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