Lui la droga dice di detestarla. Fa di più e precisa: “Se so che qualcuna delle mie star tocca anche solo una canna, la caccio via. L’ ho già fatto con tre persone. Niente nomi, ma quando ho saputo che facevano certe cose, gli ho detto arrivederci e grazie”. Fa niente poi se una ragazza della sua scuderia ammette: “Ho consumato cocaina all’interno del bagno del privè dell’Hollywood”. Francesca Lodo lo mette a verbale nell’ambito dell’inchiesta milanese di Vallettopoli. Lele Mora però tira dritto. Sull’argomento non transige. “Io sono contrario, l’ho sempre detto, e sempre lo ripeterò”. Oggi, poi, che la cocaina si insinua pericolosamente nel caso Ruby, l’ex parrucchiere di Bagnolo Po e grande amico di Silvio Berlusconi, tiene la linea. “Ad Arcore – racconta – l’unica droga è il divertimento”. Quindi va sereno all’incasso della fiducia illimitata da parte del Cavaliere che addirittura gli presta oltre un milione di euro per far fronte ai debiti della sua Lm Management. Qualcosa, però, non torna. La soubrette Sara Tommasi racconta, infatti, di strane sostanze mixate nei cocktail. “Non sai mai cosa Lele ti mette nel bicchiere”. L’ex partecipante all’Isola dei famosi lo racconta al telefono, aggiungendo particolari a una delle feste organizzate proprio da Mora.
Ombre e sospetti arrivano da ancora più lontano. In questo caso niente bunga bunga o cene ad Arcore. Ma una storia vecchia di oltre vent’anni. Non c’è villa San Martino, ma la Verona di fine anni Ottanta. Quella dei successi calcistici (uno scudetto nel 1984) e dei grandi campioni. Come l’argentino Caniggia. Superstar internazionale alla corte di Osvaldo Bagnoli, mister vecchio stampo, milanese, scorbutico, intransigente. Qualità che producono un’austerità da spogliatoio (Bagnoli diffiderà i suoi calciatori dal frequentare Mora) a cui fa da contraltare una vita mondana spinta all’eccesso. E all’ombra dell’Arena il regista della notte è sempre lui: Dario Mora in arte Lele. Il suo negozio di parruchiere diventa presto il ritrovo di vip, calciatori e belle ragazze. “Un’ attività gaudente – scrivono i giudici - i cui ingredienti tuttavia non erano soltanto le feste e le ragazze facili, ma anche la droga”. Cocaina soprattutto. Un brutto giro sul quale inciampa il futuro impresario televisivo e che gli costerà una condanna a tre anni poi scontata in Appello a un anno e sei mesi. Il tutto riassunto in un capo d’imputazione che pesa come un macigno. Oggi più di ieri. Leggiamo allora la sentenza del tribunale di Verona datata 30 marzo 1990 che Mora condivide con Pietro Bologna, trafficante siciliano (è nato a Capaci il 20 novembre 1953) sposato con Gabriella Mora, sorella di Lele. I due “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso hanno più volte acquistato e detenuto e venduto a terzi non modiche quantità di sostanza stupefacente”. Reato commesso a Verona nel mese di dicembre del 1988 e nei primi giorni del 1989.
Il copione prevede protagonisti e comparse: c’è Lele Mora e il trafficante siciliano, calciatori, belle ragazze, cantanti di successo. Non c’è la politica. Ma è solo questione di tempo. Arriverà qualche anno dopo, quando Mora rimarrà folgorato sulla via di Arcore. Nel frattempo il 18 gennaio 1989 “i Carabinieri di Verona segnalavano che, nel corso di una serie di intercettazioni si evidenziava un ampio quanta consistente giro attinente allo spaccio di stupefacenti”. Nel loro italiano indurito i carabinieri citano tra le varie persone intercettate Pietro Bologna, Dario Mora, sua sorella, e il calciatore Paul Claudio Canniggia.
Questo il primo atto che disegna il quadro. Le intercettazioni chiariscono e aggiungono particolari decisivi. Sono decine le telefonate che vengono annotate dai carabinieri. Altrettanti i brogliacci dove viene scritto il nome di Lele Mora. Il 21 dicembre 1988 Lele chiama di mattina presto il cognato trafficante. “Un certo Lele chiede a Bologna se ha niente. Bologna risponde che non ha niente, facendo cosi bestemmiare il Lele che afferma che non si può andare avanti cosi. Bologna spiega che sta attendendo una telefonata e che nonostante non prenda mai niente per telefono sta aspettando quei venti”.
In quel periodo il telefono di Pietro Bologna scotta e non poco. Una settimana prima delle telefonata di Mora, il trafficante parla con Caniggia. “Quest’ultimo si lamenta dicendo di stare male. Bologna attribuisce il malore al fatto che il vino si era alterato stando fuori dal frigo e si offre di portare altre due bottiglie di vino”. Quindi Bologna “ribadisce che non bisogna bere del vino rimasto fuori dal frigo. I due restano d’accordo per vedersi l’indomani, verso mezzogiorno, quando Bologna porterà delle altre bottiglie di vino”. I carabinieri registrano. Scrivono vino, ma sanno che si tratta di droga. Un salto logico ben spiegato dai giudici per i quali “si comprende agevolmente che quel qualcosa di cui i tre sono spesso alla ricerca, non può essere palesato chiaramente”. Da qui parole come dischi, automobili, cioccolatini utilizzate “con assoluta incongruità”.
Le intercettazioni, poi, chiariscono il ruolo di Mora nel traffico di droga. Lui è l’intermediario, ma soprattutto “protagonista di un’intensa attività mondana: si trova in rinomati e lussuosi locali cittadini nelle ore della notte, organizza feste, frequenta famosi personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo”. Conclusione: “Muovendosi in questo ambiente si preoccupa di procurare dei piccoli piaceri ai suoi amici e per questo ricorre all’aiuto del cognato”. Non è un caso, allora, che Caniggia e Bologna, parlando di comparvendita di droga si danno appuntamento “alla festa che Mora ha organizzato al ristorante Cambusa”.
Oggi come ieri, Mora si dà molto da fare. La sua filosofia in fondo è sempre la stessa: “Le persone – ha raccontato pochi giorni fa al giornalista Gianluigi Parragone – che mi stanno vicine devono stare bene ed essere serene”. E così’ la notte dell’ultimo dell’anno del 1988 “Patty Pravo parla con lo stesso Dario Mora, il quale le dice di poter disporre di un po’ di E e un po’ di A”. Quindi “le promette che si darà da fare per trovare dei cioccolatini, perché neanche il Bologna li ha reperiti”. Di nuovo quel linguaggio criptico, sul quale, in questo caso, farà luce lo stesso impresario dei vip ammettendo che quella frase serviva a nascondere una richiesta di hashish, fattagli dalla famosa cantante”. E di fumo, l’ex parrucchiere ne parla anche con Gabriella Mora. Il 2 gennaio 1989 le chiede “se può procurare del fumo per fare uno spinello”. In questa vicenda il rapporto tra i due appare chiaro. Lui “le impartisce precise indicazioni sui luoghi dove il Bologna deve recarsi”. Questo è successo. Ma oggi Lele Mora ribadisce che lui con la droga non c’entra nulla.
Ombre e sospetti arrivano da ancora più lontano. In questo caso niente bunga bunga o cene ad Arcore. Ma una storia vecchia di oltre vent’anni. Non c’è villa San Martino, ma la Verona di fine anni Ottanta. Quella dei successi calcistici (uno scudetto nel 1984) e dei grandi campioni. Come l’argentino Caniggia. Superstar internazionale alla corte di Osvaldo Bagnoli, mister vecchio stampo, milanese, scorbutico, intransigente. Qualità che producono un’austerità da spogliatoio (Bagnoli diffiderà i suoi calciatori dal frequentare Mora) a cui fa da contraltare una vita mondana spinta all’eccesso. E all’ombra dell’Arena il regista della notte è sempre lui: Dario Mora in arte Lele. Il suo negozio di parruchiere diventa presto il ritrovo di vip, calciatori e belle ragazze. “Un’ attività gaudente – scrivono i giudici - i cui ingredienti tuttavia non erano soltanto le feste e le ragazze facili, ma anche la droga”. Cocaina soprattutto. Un brutto giro sul quale inciampa il futuro impresario televisivo e che gli costerà una condanna a tre anni poi scontata in Appello a un anno e sei mesi. Il tutto riassunto in un capo d’imputazione che pesa come un macigno. Oggi più di ieri. Leggiamo allora la sentenza del tribunale di Verona datata 30 marzo 1990 che Mora condivide con Pietro Bologna, trafficante siciliano (è nato a Capaci il 20 novembre 1953) sposato con Gabriella Mora, sorella di Lele. I due “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso hanno più volte acquistato e detenuto e venduto a terzi non modiche quantità di sostanza stupefacente”. Reato commesso a Verona nel mese di dicembre del 1988 e nei primi giorni del 1989.
Il copione prevede protagonisti e comparse: c’è Lele Mora e il trafficante siciliano, calciatori, belle ragazze, cantanti di successo. Non c’è la politica. Ma è solo questione di tempo. Arriverà qualche anno dopo, quando Mora rimarrà folgorato sulla via di Arcore. Nel frattempo il 18 gennaio 1989 “i Carabinieri di Verona segnalavano che, nel corso di una serie di intercettazioni si evidenziava un ampio quanta consistente giro attinente allo spaccio di stupefacenti”. Nel loro italiano indurito i carabinieri citano tra le varie persone intercettate Pietro Bologna, Dario Mora, sua sorella, e il calciatore Paul Claudio Canniggia.
Questo il primo atto che disegna il quadro. Le intercettazioni chiariscono e aggiungono particolari decisivi. Sono decine le telefonate che vengono annotate dai carabinieri. Altrettanti i brogliacci dove viene scritto il nome di Lele Mora. Il 21 dicembre 1988 Lele chiama di mattina presto il cognato trafficante. “Un certo Lele chiede a Bologna se ha niente. Bologna risponde che non ha niente, facendo cosi bestemmiare il Lele che afferma che non si può andare avanti cosi. Bologna spiega che sta attendendo una telefonata e che nonostante non prenda mai niente per telefono sta aspettando quei venti”.
In quel periodo il telefono di Pietro Bologna scotta e non poco. Una settimana prima delle telefonata di Mora, il trafficante parla con Caniggia. “Quest’ultimo si lamenta dicendo di stare male. Bologna attribuisce il malore al fatto che il vino si era alterato stando fuori dal frigo e si offre di portare altre due bottiglie di vino”. Quindi Bologna “ribadisce che non bisogna bere del vino rimasto fuori dal frigo. I due restano d’accordo per vedersi l’indomani, verso mezzogiorno, quando Bologna porterà delle altre bottiglie di vino”. I carabinieri registrano. Scrivono vino, ma sanno che si tratta di droga. Un salto logico ben spiegato dai giudici per i quali “si comprende agevolmente che quel qualcosa di cui i tre sono spesso alla ricerca, non può essere palesato chiaramente”. Da qui parole come dischi, automobili, cioccolatini utilizzate “con assoluta incongruità”.
Le intercettazioni, poi, chiariscono il ruolo di Mora nel traffico di droga. Lui è l’intermediario, ma soprattutto “protagonista di un’intensa attività mondana: si trova in rinomati e lussuosi locali cittadini nelle ore della notte, organizza feste, frequenta famosi personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo”. Conclusione: “Muovendosi in questo ambiente si preoccupa di procurare dei piccoli piaceri ai suoi amici e per questo ricorre all’aiuto del cognato”. Non è un caso, allora, che Caniggia e Bologna, parlando di comparvendita di droga si danno appuntamento “alla festa che Mora ha organizzato al ristorante Cambusa”.
Oggi come ieri, Mora si dà molto da fare. La sua filosofia in fondo è sempre la stessa: “Le persone – ha raccontato pochi giorni fa al giornalista Gianluigi Parragone – che mi stanno vicine devono stare bene ed essere serene”. E così’ la notte dell’ultimo dell’anno del 1988 “Patty Pravo parla con lo stesso Dario Mora, il quale le dice di poter disporre di un po’ di E e un po’ di A”. Quindi “le promette che si darà da fare per trovare dei cioccolatini, perché neanche il Bologna li ha reperiti”. Di nuovo quel linguaggio criptico, sul quale, in questo caso, farà luce lo stesso impresario dei vip ammettendo che quella frase serviva a nascondere una richiesta di hashish, fattagli dalla famosa cantante”. E di fumo, l’ex parrucchiere ne parla anche con Gabriella Mora. Il 2 gennaio 1989 le chiede “se può procurare del fumo per fare uno spinello”. In questa vicenda il rapporto tra i due appare chiaro. Lui “le impartisce precise indicazioni sui luoghi dove il Bologna deve recarsi”. Questo è successo. Ma oggi Lele Mora ribadisce che lui con la droga non c’entra nulla.
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