venerdì 27 maggio 2011

Cattivi esempi.



Il presidente del colosso dell’energia crollato in Borsa dopo il disastro di Fukushima ha convocato una conferenza stampa per chiedere scusa ai giapponesi. Si è prodotto nel classico inchino e ha lasciato la poltrona per sempre, senza pretendere neppure una busta-paga d’addio. Anche il primo ministro ha rinunciato al suo stipendio fino a quando l’emergenza nucleare non sarà superata. Si tratta di reazioni emotive, tipiche dei Paesi meno evoluti. Da noi, per dire, non potrebbero verificarsi. Il capo di un’azienda sull’orlo del fallimento convocherebbe una conferenza stampa per insultare chiunque osasse muovergli una critica. Si atteggerebbe a vittima di un complotto, a capro espiatorio, a benefattore incompreso dell’umanità. Infine si degnerebbe di rassegnare le dimissioni, ma solo dopo aver trattato con il suo successore una liquidazione miliardaria.

Proprio l’aspetto economico, se vogliamo il più prosaico, è quello che alimenta le mie perplessità di cittadino poco evoluto. Non metto in dubbio che l’aggressività, il vittimismo e la maleducazione siano i requisiti del vero leader. Stento invece a cogliere il nesso fra i risultati fallimentari e i riconoscimenti in denaro, specie quando i soldi appartengono ai contribuenti. Non dico di abbassarci al livello del Giappone. Ma (l’esempio, sia chiaro, è puramente ipotetico) se un programma della tv di Stato venisse chiuso per mancanza di pubblico dopo appena una puntata, non sarebbe un comportamento fin troppo evoluto versare egualmente al protagonista del programma la cifra pattuita di un milione di euro?



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