domenica 29 luglio 2012

Trattativa, parla il pentito Mutolo: “Stato e mafia da sempre a braccetto”. - Silvia Truzzi

processo interna nuova


E' stato l'autista di Riina: "Dopo l'arresto sono andati a casa sua, c'erano cose che inguaiavano i politici, hanno fatto finta di nulla. Senza di noi non ci sarebbe stata la Dc e nemmeno Berlusconi. Ingroia lo mandano in Guatemala, lui sa che è meglio così".

Il nome di un morto e la sua strada, “tutt’assieme” come direbbe lui. Gaspare Mutolo, pentito di mafia, ha una personale mappa di Palermo: è un cimitero senza pace. Oggi la città dell’odio la dipinge ad olio, ed è soprattutto mare. In mezzo vent’anni di collaborazione con le istituzioni: il salto nel vuoto, dall’altra di una barricata con pochissimi eroi e troppi farabutti (tanti travestiti da uomini dello Stato), l’ha fatta con e per Giovanni Falcone. È lui il pentito che Borsellino stava interrogando nei dintorni di Roma, quando ricevette la famosa convocazione dal ministro.
Mutolo, come succede che un mafioso si pente?
Perché vengono traditi i sentimenti e non si ha più paura. A Buscetta gli avevano ucciso due figli, il genero, il cognato. A Mannoia il fratello: se uno è rispettato, non gli toccano nessuno. Appena Mannoia si vede toccato il fratello, parla con Falcone. Ma nemmeno terminò che noi mafiosi sapevamo che stava collaborando: avevamo le nostre fonti. Ma è successo qualcosa, è la prima volta in assoluto che la mafia uccide tre donne: sorella, madre e zia. Avevamo avuto anche qualche lamentela perché era con Giovanni Bontade, il fratello di Stefano, era stata uccisa anche la moglie.
Fa una differenza?
Sì: il palermitano ha una venerazione per la donna, è diverso dal catanese o dal trapanese: noi palermitani per la donna abbiamo un sentimento diverso proprio. Quando è stato deciso l’omicidio Falcone? Falcone lo seguivamo da vicino, era temuto e ammirato dai mafiosi. Aveva il coraggio dell’intelligenza. Diverso da tutti. Dell’omicidio di Falcone noi ne parliamo già durante il maxiprocesso: avevano scoperto il suo villino vicino a Valdese, c’era uno che aveva una pizzeria che ci raccontava gli spostamenti. Volevamo ucciderlo in una strada sterrata e boscosa. Santapaola aveva mandato addirittura un lanciamissili Katyusha: era “il regalo per il giudice Falcone”. Ma era molto scortato, non se ne fece nulla.
Lei lo sapeva che Falcone sarebbe stato ucciso?
Logico. Dopo che fu confermata la sentenza del maxi processo – io ero in carcere – i mafiosi cominciano a dire: ora ci dobbiamo rompere le corna a tutti, ai politici e ai magistrati. Non avevano mantenuto le promesse. Infatti muore Lima, infatti muore Falcone.
E lei perché si pentì?
Per delusione che avevo con Riina decido di parlare con Falcone: nel dicembre del ‘91 gli mandai un messaggio attraverso un avvocato: “Dicci a Falcone che Mutolo gli vuole parlare”. Lo ammiravo e lo volevo aiutare. Venne il 15, gli dissi: “Voglio collaborare. E comincerò a parlare dal suo ufficio e dalla Cassazione, fino in Parlamento.
Lo avvisò del pericolo?
Gli dissi che i mafiosi erano preoccupati perché non c’era più Carnevale. Carnevale era la nostra roccaforte in Cassazione (il giudice Carnevale fu assolto dalle accuse in Cassazione, dove, dopo una sospensione, ancora esercita le funzioni, ndr). È incredibile che faccia ancora il giudice.
E Borsellino?
Venne il 1 luglio del ‘92 la prima volta, insieme al giudice Aliquò. L’incontro doveva essere segreto: a Mannoia, mentre collaborava gli hanno ammazzato tutta la famiglia.
Poi arrivò la telefonata.
Mi disse: “Vado dal ministro”. Finalmente, poco tempo fa, Mancino l’ha ammesso: lo poteva fare vent’anni fa che non c’erano tutte queste chiacchiere, di aver stretto la mano a Borsellino. Comunque poi Borsellino torna da me. Ed era preoccupato che già sapevano del nostro incontro, era una cosa segretissima. Per lui era stato uno choc.
Lei non aveva paura di Riina?
Se avevo paura m’impiccavo da solo. Borsellino diceva: chi ha paura muore tutti i giorni.
Che rapporti aveva con Riina, prima?
C’imparai la dama. Ce lo voglio dire perché così anche lui si può ricordare dei momenti belli. Riina mi ha dato tanto e mi ha voluto bene tanto. Mi ha fatto regalare 50mila lire a testa da tutti i mafiosi per il mio matrimonio: ho fatto a mezzo con il compare d’anello. Lo fece sia per farmi avere soldi che per informare che lui ci teneva a me. In carcere una volta lo aiutai, che a lui ci era venuta la diarrea. Tutta la notte l’ho vegliato.
C’è, è stato rinviato Totò. E io non me la bevo che non sono andati a casa di Riina dopo che l’hanno preso. Se mi dicono: o tu cambi opinione o ti mandiamo alla fucilazione, io vado alla fucilazione. Perché è impossibile che non abbiano perquisito. Sono andati in casa di Riina, hanno trovato cose che inguaivano i politici e hanno fatto finta di nulla.
C’erano rapporti tra la mafia e le istituzioni?
Nel ‘71 il capomafia di Bagheria, Antonino Mineo, gli disse a Franco Restivo, ministro dell’Interno: dicci al tuo compare che se vuole mandare al confino noi palermitani, il primo che ci deve andare sei tu. Se no facciamo la pelle a te e a lui. Questi erano i rapporti: convivenza e connivenza, i contatti tra mafia e forze dell’ordine, mafia e politica ci sono sempre stati. Ci sono stati personaggi cui hanno pulito i cartellini penali per fargli fare i sindaci. La Sicilia è una fonte di guadagno e di voti, senza non ci sarebbe stata la dicci, Andreotti e nemmeno Berlusconi, che tramite Dell’Utri era legato a molti mafiosi. Io a Berlusconi lo ammiro, ci sa fare. Non m’interessa del bunga bunga, perché c’era già a Palermo molti anni prima.
Cioé?
A questi uomini politici ci piace la bella vita. Nel ‘74 mi trovai in casa dell’onorevole Matta, della diccì: aveva una villa a Partanna Mondello, la mia zona. Sotto c’era un night club, con le luci, un giradischi, una distilleria di liquori con centinaia di bottiglie. E una parete intera di vestiti di lamè e di scarpe: servivano per le “signore”.
Torniamo a oggi: lei ha detto “ci vorrebbero cinque Ciancimino per ripulire Palermo”.
Massimo Ciancimino dice cose importanti. È assurdo che si sia bruciato con il pizzino che nomina Gianni de Gennaro. Quella porcata l’ha combinata o gliela hanno fatta combinare? Mentre Ciancimino si trovava a Bologna, lo so da persona fidata, hanno fermato due persone che si aggiravano attorno alla sua casa: erano due dei servizi segreti. Io credo che volevano fermarlo. Come a Ingroia.
Cioè?
Adesso a Ingroia lo mandano in Guatemala: lui dice che ha accettato e ci vuole andare. Ma secondo me lui sa che è meglio così, perché ormai è un grande conoscitore della mafia: che deve fare, deve diventare un altro Borsellino o un altro Falcone? Speriamo che le cose cambino, anche se finché ci sono uomini come Dell’Utri e Mannino (assolto per concorso esterno, di nuovo indagato per trattativa) a decidere le cose politiche, non ci sono speranze. La Sicilia è bella, io sono sicuro che mi farò uccidere là, ci voglio tornare.
Quante persone ha ucciso?
Tante. Ma c’era sempre una giustificazione.
Non è pentito?
Forse nemmeno era giusto uccidere queste persone, è una cosa che capisco ora. Ma sempre c’era una giustificazione. Non è cosa di cui avevo colpa. Una volta ho ucciso un tale, Imperiale, a pugnalate (che è diverso da uccidere con la pistola.) Quando mi sono guardato allo specchio ero una maschera di sangue. Non lo dimenticherò mai.
Lei ora è un pittore, e una volta ha detto: “Quando dipingo mi dimentico chi sono”. È difficile avere il suo passato?
Io ho rifiutato il mio passato: per dimenticarlo che debbo fare, mi devo suicidare? Ho fatto quello che pensavo giusto. Oggi accendo la musica, dipingo il mare. A volte mi commuovo perché so che sto dipingendo Mondello. Mi sento un altro e vorrei essere quello, ma non posso cambiare il passato. Finché sarò in vita sarò sempre l’assassino che ha fatto quello che ha fatto.
Si ricorda lo sguardo di qualcuno degli uomini che ha ucciso?
Gaspare Mutolo, che ha parlato per tre ore senza fermarsi, sorride amaramente per un tempo lungo. E poi dice: “lo sguardo di chi muore sempre quello è. Pensi: è arrivato il mio momento. Quello sguardo l’ho avuto tante volte anch’io.
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