mercoledì 13 marzo 2013

L’editto di Ponzio Pilato. - Marco Travaglio



L’estorsione del Pdl ha funzionato. Il presidente della Repubblica (ancora per poco) ha diramato ieri l’ennesimo monito (si spera l’ultimo) e ancora una volta (si spera l’ultima) ha posto sullo stesso piano i magistrati aggrediti e i politici aggressori. 
Come se indagini e processi fossero guerre per bande fra magistrati e imputati. 
Dopo aver ricevuto il presunto leader del Pdl a poche ore dalla radunata sediziosa al Tribunale di Milano anziché tenerlo fuori della porta, Napolitano ha pilatescamente espresso “rammarico per la manifestazione senza precedenti del Pdl”, ma subito dopo si è appellato “al comune senso di responsabilità”. 
Comune nel senso che anche i magistrati dovrebbero essere più “responsabili” per propiziare un “immediato cambiamento di clima”.
Escludendo che ce l’abbia con i meteorologi o con le avverse condizioni climatiche, resta da capire come i magistrati potrebbero migliorare il clima col partito del leader più imputato della storia: evitando le visite fiscali per verificare i legittimi impedimenti di un tizio che da vent’anni fugge dalla giustizia? 

Evitando di condannarlo se lo ritengono colpevole? 
Evitando di indagarlo se compra senatori un tanto al chilo? 
Dopo l’incredibile udienza concessa al capomanipolo, il capo dello Stato gli ha offerto una sponda istituzionale convocando d’urgenza il Consiglio di presidenza del Csm, come se indagini e processi, avviati da anni o da mesi e sospesi per la campagna elettorale, fossero eventi inattesi o eccezionali tali da giustificare iniziative estreme. 
Non contento, al termine del summit, il Presidente ha emanato un supermonito cerchiobottista pieno di miele per la banda del buco. 
Un colpo al cerchio: “È comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo nelle elezioni, di veder garantito che il suo leader possa partecipare alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento, che si proietterà fino alla seconda metà del prossimo mese di aprile…”. 
E uno alla botte: “…anche se non è da prendersi nemmeno in considerazione l’aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco – ‘per via giudiziaria’ come con inammissibile sospetto si tende ad affermare – uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare”. 
Dunque, inquirenti e inquisiti, guardie e ladri, si mettano d’accordo: “evitare tensioni destabilizzanti per il sistema democratico”, “ristabilire un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra giustizia e politica”, perché “i protagonisti e le istanze rappresentative della politica e della giustizia non possono percepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti in una comune responsabilità istituzionale”. 
Ecco: se l’ex senatore De Gregorio confessa di aver ricevuto da B. 3 milioni (di cui 2 in nero) per tradire i suoi elettori e passare da sinistra a destra, i magistrati non devono sospettare di B., ma anzi unirsi a lui nella “comune responsabilità istituzionale”, per non apparirgli “ostili” e instaurare con lui “un clima corretto e costruttivo”, evitando “tensioni destabilizzanti”, altrimenti il suo partito, che è “risultato secondo nelle elezioni” (fosse risultato terzo o quarto le cose cambierebbero), potrebbe nutrire la “comprensibile preoccupazione” che il leader venga escluso dalla “complessa fase politico-istituzionale” eccetera. 
C’è addirittura il rischio che un corruttore di senatori non possa diventare il prossimo presidente del Senato o della Repubblica. Il che, riconosciamolo, sarebbe una bella perdita. Ps. Siccome “è comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo nelle elezioni, di veder garantito che il suo leader possa partecipare alla complessa fase” eccetera, B. potrà inventarsi legittimi impedimenti a manetta di qui ad aprile per scampare alle sentenze. 
E i membri della giunta per le elezioni del Senato dovranno ben guardarsi dal dichiarare ineleggibile B. ai sensi della legge 361/1957, anche se è ineleggibile da sempre. Insomma, siamo in buone mani (ancora per poco).

Da Il Fatto Quotidiano del 13/03/2013.


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