Da giorni due postulanti si aggirano per gli studi tv a spacciare la bufala “Travaglio ha chiesto la prescrizione in un processo, dunque è incoerente nel sostenere la blocca-prescrizione”. Uno è tal Piero Sansonetti che, dopo aver fondato e affondato mezza dozzina di giornali, è riuscito a farsene aprire un altro coi soldi di Alfredo Romeo (tipico caso di circonvenzione di capace): il Riformista, detto anche Riformatorio. L’altro è tal Matteo Renzi che, dopo aver affondato il Pd, ha fondato un nuovo partito che naviga fra il 3 e il 4% e si candida all’eredità del Psdi di Nicolazzi. Purtroppo in Italia, complice il web, le bugie hanno le gambe lunghe e tocca perder tempo a rispondere anche a questi derelitti. Nel 2002, da freelance, scrivo un articolo per l’Espresso su Cesare Previti, che si ritiene diffamato perché una parte di un verbale che lo riguarda, e che nel mio articolo era riportata, non compare più per un taglio redazionale. E querela me e la direttrice Daniela Hamaui. Visto che nei giornali è buon uso “manlevare” i giornalisti, vengo difeso da un avvocato del Gruppo, il compianto Carlo Federico Grosso. In primo grado mi becco lo sproposito di 8 mesi di carcere e Daniela 5, più 20 mila euro di risarcimento. Grosso ricorre in appello, dove la pena viene pressoché azzerata: 1.000 euro di multa a me e 800 alla Hamaui. L’avvocato ricorre in Cassazione e, siccome il reato è prescritto, fa quello che fanno in questi casi tutti i difensori d’Italia, utilizzando tutti i mezzi previsti dalla legge per portare in salvo i clienti: chiede l’annullamento della condanna e, in subordine, la prescrizione. Richiesta che ha presentato in automatico, senza concordarla con me. Tant’è che, quando gli chiedo il perché, risponde serafico: “Perché è mio dovere professionale evitare al gruppo Espresso di pagare le multe tue e della direttrice”. La Cassazione ritiene il ricorso infondato e conferma le due multe.
Gli house organ berlusconiani cominciano a scrivere che ho ottenuto la prescrizione e sono incoerente perché critico il pluriprescritto B.. Tre balle in una. 1) Non ho ottenuto la prescrizione. 2) Io sono un privato cittadino e posso fare ciò che voglio, mentre B. è un pubblico ufficiale col dovere costituzionale di esercitare le funzioni “con disciplina e onore”, cioè di rinunciare alla prescrizione quando è imputato di reati infamanti per farsi assolvere nel merito e, se invece viene condannato, dimettersi e ritirarsi. 3) La diffamazione per i giornalisti è come il tamponamento per i tassisti: un incidente sul lavoro, tantopiù se – come nel caso specifico – dipende da tagli fatti da altri.
E non è infamante, salvo che per i giornalisti che mentono sapendo di mentire. Invece il falso in bilancio, la frode fiscale, la corruzione di giudici, testimoni e senatori, cioè alcuni dei reati per cui B. ha ottenuto 9 prescrizioni, sono infamanti per i privati cittadini, figurarsi per i politici. In ogni caso, quando è nato il Fatto e ho potuto incidere sulle strategie difensive, ho subito levato l’alibi a questi manigoldi. Avevo un processo contro Fabrizio Del Noce che mi aveva querelato per un vecchio articolo sull’Unità, nel frattempo fallita. In primo grado ero stato condannato a versargli 13 mila euro che, se la sentenza fosse stata confermata, avrei dovuto pagare di tasca mia; in appello è scattata la prescrizione, ma ho pregato l’avvocato di rinunciare. Lui mi ha preso per matto, la Corte mi ha giudicato oltre i termini e mi ha assolto. Così gli house organ di B. hanno smesso con la frottola “Travaglio prescritto”. Ma ecco la premiata ditta Sansonetti-Renzi con la nuova panzana “Travaglio incoerente perché ha chiesto la prescrizione”. E, se spiego che l’ha chiesta “di default” il legale dell’Espresso, come fanno tutti gli avvocati d’Italia con moduli prestampati (li pagano apposta), ironizzano sulla “prescrizione all’insaputa”: come se fosse strano che, avendo 300 fra querele per diffamazione e cause per danni, io non passassi le giornate a studiare le strategie difensive con un avvocato che fra l’altro non era il mio, ma del giornale, e difendeva anche la direttrice con interessi diversi dai miei.
L’altroieri a Piazzapulita c’era un tizio con la pappagorgia e in stato confusionale che pare risponda al nome di Renzi. Anziché spiegare i 6 milioni e rotti versati alla sua fondazione da decine di imprenditori, molti dei quali beneficiati dai due governi dell’èra renziana, e i 700 mila euro gentilmente prestati per la sua villa dalla madre di un suo finanziatore da lui nominato a Cdp, s’è messo a parlare di me. Come se le perquisizioni e gli avvisi di garanzia ai suoi amici e foraggiatori le avessi disposte io, non i magistrati di Firenze. E come se le cause civili che ci spedisce a mazzi annullassero i mega-conflitti d’interessi che affiorano dalle sue casse. “Con le cause a Travaglio mi pago 3-4 rate della casa. La chiamiamo Villa Travaglio, anzi no, porta un po’ sfiga”. Parola di uno che nel 2014 aveva il 40,8% e ora agonizza sotto il 4, insidiato persino da Calenda. “Travaglio mi attacca sulla prescrizione, ma una sentenza dice che ha chiesto la prescrizione! Sono incredibili questi! Doppia morale!”. E qui, a parte la panzana di cui sopra, sfugge la logica del ragionamento, specie da un politico che nel 2015 promise di farla finita con la prescrizione e ora vuole riesumarla. Se puntassi alla prescrizione, dovrei battermi con lui, B., il Pd e la buonanima di Andreotti per ripristinarla, non per abolirla. Invece mi batto per abolirla anche perché so che gli avvocati, pur armati delle migliori intenzioni, devono allungare i processi per salvare i loro clienti, anche se li sanno colpevoli di reati gravi. Ma questi poveracci sono così in malafede da pensare che siano tutti come loro. Omnia munda mundis, omnia Renza Renzi.
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