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sabato 7 dicembre 2019

Prescrivi tua sorella. - Marco Travaglio

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Da giorni due postulanti si aggirano per gli studi tv a spacciare la bufala “Travaglio ha chiesto la prescrizione in un processo, dunque è incoerente nel sostenere la blocca-prescrizione”. Uno è tal Piero Sansonetti che, dopo aver fondato e affondato mezza dozzina di giornali, è riuscito a farsene aprire un altro coi soldi di Alfredo Romeo (tipico caso di circonvenzione di capace): il Riformista, detto anche Riformatorio. L’altro è tal Matteo Renzi che, dopo aver affondato il Pd, ha fondato un nuovo partito che naviga fra il 3 e il 4% e si candida all’eredità del Psdi di Nicolazzi. Purtroppo in Italia, complice il web, le bugie hanno le gambe lunghe e tocca perder tempo a rispondere anche a questi derelitti. Nel 2002, da freelance, scrivo un articolo per l’Espresso su Cesare Previti, che si ritiene diffamato perché una parte di un verbale che lo riguarda, e che nel mio articolo era riportata, non compare più per un taglio redazionale. E querela me e la direttrice Daniela Hamaui. Visto che nei giornali è buon uso “manlevare” i giornalisti, vengo difeso da un avvocato del Gruppo, il compianto Carlo Federico Grosso. In primo grado mi becco lo sproposito di 8 mesi di carcere e Daniela 5, più 20 mila euro di risarcimento. Grosso ricorre in appello, dove la pena viene pressoché azzerata: 1.000 euro di multa a me e 800 alla Hamaui. L’avvocato ricorre in Cassazione e, siccome il reato è prescritto, fa quello che fanno in questi casi tutti i difensori d’Italia, utilizzando tutti i mezzi previsti dalla legge per portare in salvo i clienti: chiede l’annullamento della condanna e, in subordine, la prescrizione. Richiesta che ha presentato in automatico, senza concordarla con me. Tant’è che, quando gli chiedo il perché, risponde serafico: “Perché è mio dovere professionale evitare al gruppo Espresso di pagare le multe tue e della direttrice”. La Cassazione ritiene il ricorso infondato e conferma le due multe.

Gli house organ berlusconiani cominciano a scrivere che ho ottenuto la prescrizione e sono incoerente perché critico il pluriprescritto B.. Tre balle in una. 1) Non ho ottenuto la prescrizione. 2) Io sono un privato cittadino e posso fare ciò che voglio, mentre B. è un pubblico ufficiale col dovere costituzionale di esercitare le funzioni “con disciplina e onore”, cioè di rinunciare alla prescrizione quando è imputato di reati infamanti per farsi assolvere nel merito e, se invece viene condannato, dimettersi e ritirarsi. 3) La diffamazione per i giornalisti è come il tamponamento per i tassisti: un incidente sul lavoro, tantopiù se – come nel caso specifico – dipende da tagli fatti da altri.


E non è infamante, salvo che per i giornalisti che mentono sapendo di mentire. Invece il falso in bilancio, la frode fiscale, la corruzione di giudici, testimoni e senatori, cioè alcuni dei reati per cui B. ha ottenuto 9 prescrizioni, sono infamanti per i privati cittadini, figurarsi per i politici. In ogni caso, quando è nato il Fatto e ho potuto incidere sulle strategie difensive, ho subito levato l’alibi a questi manigoldi. Avevo un processo contro Fabrizio Del Noce che mi aveva querelato per un vecchio articolo sull’Unità, nel frattempo fallita. In primo grado ero stato condannato a versargli 13 mila euro che, se la sentenza fosse stata confermata, avrei dovuto pagare di tasca mia; in appello è scattata la prescrizione, ma ho pregato l’avvocato di rinunciare. Lui mi ha preso per matto, la Corte mi ha giudicato oltre i termini e mi ha assolto. Così gli house organ di B. hanno smesso con la frottola “Travaglio prescritto”. Ma ecco la premiata ditta Sansonetti-Renzi con la nuova panzana “Travaglio incoerente perché ha chiesto la prescrizione”. E, se spiego che l’ha chiesta “di default” il legale dell’Espresso, come fanno tutti gli avvocati d’Italia con moduli prestampati (li pagano apposta), ironizzano sulla “prescrizione all’insaputa”: come se fosse strano che, avendo 300 fra querele per diffamazione e cause per danni, io non passassi le giornate a studiare le strategie difensive con un avvocato che fra l’altro non era il mio, ma del giornale, e difendeva anche la direttrice con interessi diversi dai miei.
L’altroieri a Piazzapulita c’era un tizio con la pappagorgia e in stato confusionale che pare risponda al nome di Renzi. Anziché spiegare i 6 milioni e rotti versati alla sua fondazione da decine di imprenditori, molti dei quali beneficiati dai due governi dell’èra renziana, e i 700 mila euro gentilmente prestati per la sua villa dalla madre di un suo finanziatore da lui nominato a Cdp, s’è messo a parlare di me. Come se le perquisizioni e gli avvisi di garanzia ai suoi amici e foraggiatori le avessi disposte io, non i magistrati di Firenze. E come se le cause civili che ci spedisce a mazzi annullassero i mega-conflitti d’interessi che affiorano dalle sue casse. “Con le cause a Travaglio mi pago 3-4 rate della casa. La chiamiamo Villa Travaglio, anzi no, porta un po’ sfiga”. Parola di uno che nel 2014 aveva il 40,8% e ora agonizza sotto il 4, insidiato persino da Calenda. “Travaglio mi attacca sulla prescrizione, ma una sentenza dice che ha chiesto la prescrizione! Sono incredibili questi! Doppia morale!”. E qui, a parte la panzana di cui sopra, sfugge la logica del ragionamento, specie da un politico che nel 2015 promise di farla finita con la prescrizione e ora vuole riesumarla. Se puntassi alla prescrizione, dovrei battermi con lui, B., il Pd e la buonanima di Andreotti per ripristinarla, non per abolirla. Invece mi batto per abolirla anche perché so che gli avvocati, pur armati delle migliori intenzioni, devono allungare i processi per salvare i loro clienti, anche se li sanno colpevoli di reati gravi. Ma questi poveracci sono così in malafede da pensare che siano tutti come loro. Omnia munda mundis, omnia Renza Renzi.


https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/photos/a.438282739515247/2952875564722606/?type=3&theater

lunedì 9 settembre 2019

MA MI FACCIA IL PIACERE. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 9 Settembre:

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Bufale d’agosto/1. “G7, l’isolamento di Conte al suo passo d’addio. Niente bilaterale con Trump… La solitudine di Conte rischia di avere per l’Italia un significato che va oltre le naturali incertezze della transizione in corso” (La Stampa, 25.8). Certo, come no.
Bufale d’agosto/2. “Grillo pensa a un nuovo movimento”, “La profezia di Grillo sui 5Stelle: addio Movimento, saremo progressisti” (La Stampa, 24.8). Anzi, siore e siori, non un nuovo movimento, ma tre! Mi voglio rovinare!
Bufale d’agosto/3. “Circolano nomi di peso, fra giudici costituzionali e presidenti di Authority. E due donne: Cartabia e Severino” (Repubblica, 22.8). “È Enrico Giovannini il premier in pectore della coalizione Pd-M5S. A Capo del papocchio il re delle poltrone” (La Verità, 24.8). “Raffaele Cantone, dall’Anticorruzione alla lista dei papabili per un governo diverso” (il Foglio, 24.8). “Totopremier, sale Giovannini ma spunta l’ex ministro Bray” (il Giornale, 24.8). “La carta Pisapia per la Giustizia. Economia, c’è anche Cottarelli” (Corriere della sera, 31.8). Ne avessero azzeccato uno.
La nuova Padania. “Voto subito (ma c’è chi dice no)” (Repubblica, 9.8). “Cronaca di una fine annunciata. Il naufragio della trattativa tra Pd e 5S è a un passo… L’incontro atteso tra Zingaretti e Di Maio… in realtà sembra la premessa di una definitiva rottura” (Stefano Folli, Repubblica, 24.8). “Fumata nera, futuro griglio” (Repubblica, 26.8). “Coraggio Conte, sarà dura” (Repubblica, 29.8). “Crisi di un governo mai nato” (Repubblica, 27.8). “A che gioco gioca Di Maio” (Repubblica, 31.8). “Verso il governo di Bisanzio” (Repubblica, 2.9). “Il governo last minute” (Repubblica, 4.9). “Un governo per fare pace” (Repubblica, 6.9). Su, ragazzi, coraggio: stavolta è andata così.
Il Nostradamus della mutua. “Che botta per il Quiurinale se il parere del web affossasse il governo”. “Se nel quesito online su Rousseau si parlerà di patto col Pd avremo delle sorprese”. “Il referendum tra gli iscritti può ancora far saltare tutto” (Paolo Becchi, Libero, 29.8, 1 e 3.9). Risultato: 79,3% Sì e 20,7 No.
Un pesce di nome Zanda. “Conte? Fece passare leggi incostituzionali” (Luigi Zanda, senatore Pd, Corriere della sera, 24.8). Dunque, vediamo: Jobs Act, Buona Scuola, legge Madia, Italicum, Rosatellum, riforma costituzionale… Dimentichiamo qualcosa?
Nostalgia canaglia. “Molti poliziotti e vigili del fuoco mi hanno scritto ‘lei sarà sempre il nostro ministro!’. Oggi ho salutato i dipendenti del Viminale e ho visto delle lacrime: mi hanno segnato” (Matteo Salvini, Lega, ministro dell’Interno uscente, Facebook, 29.8). È che non ti avevano mai visto prima.
Non c’è più Paragone. “Operazione che serve al Pd. Con loro non presiederò la commissione sulle banche. La Lega invece è contro il liberismo come noi” (Gianluigi Paragone, senatore M5S, Corriere della sera, 24.8). Infatti, con la Lega, tu di commissioni sulle banche ne hai presiedute due o tre.
Casi umani. “Pizzarotti spiega al Pd perchè del grillismo non ci si può fidare”. “Davide Serra dice che è da folli fare un governo con i parassiti. Mai con i populisti che mentono” (il Foglio, 28.8). Povere stelle.
Tarapia tapioco. “Conte uomo dei poteri forti (Quirinale Vaticano S.Egidio Massoneria Europea NWO Finanza Bildelberg Soros e C) si avvia a proseguire opera di spietata normalizzazione e sottomissione del popolo italiano al colonialismo globalista. Grillo come megafono!” (Alessandro Meluzzi, psicoterapeuta, ex Pci, ex Psi, ex FI, ora FdI, nonché Primate Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana, Twitter, 24.8). Come fosse antani, con scappellamento a destra.
Resipiscenze senili. “L’Italia ha urgentemente bisogno di una riforma della giustizia in senso giustizialista… ehm no, garantista!” (Silvio Berlusconi, presidente FI, uscendo dalle consultazioni al Quirinale, 28.8). Per una volta che ne aveva detta una giusta.
Le pazze risate. “Ma a Mattarella non viene da ridere?” (Matteo Salvini, 4.9). Mi sa che ha finito le risate per i prossimi dieci anni.
Il titolo della settimana/1. “Berlusconi è indignato: ‘Rousseau è uno sfregio , un’offesa alle istituzioni’” (il Giornale, 3.9). Lui preferiva la Piattaforma Mubarak.
Il titolo della settimana/2. “Sorpresa: i peti delle mucche fanno bene all’ambiente” (Libero, 30.8). Mai però come i titoli di Libero.

sabato 10 marzo 2018

Bufala sul reddito di cittadinanza.

Reddito di cittadinanza, i Caf ribadiscono: "È vero, picco di richieste dopo la vittoria M5s"

Reddito di cittadinanza, i Caf ribadiscono: "E' vero, picco di richieste dopo la vittoria del m5s.

(Qui l'articolo di R.it)
http://bari.repubblica.it/cronaca/2018/03/09/news/reddito_di_cittadinanza_richiesta_moduli_parlano_i_caf-190871961/ 


Questa è bella!
La conferma i Caf la danno solo a R.it mentre la smentiscono ai tg?
La bufala, smentita con dovizia di particolari anche su skytg24, mette in evidenza un problema ben più grave del fatto in se stesso: hanno tacciato noi meridionali di essere ignoranti e scansafatiche!
Dovremmo querelarli per averci diffamati!
La bufala è stata messa in atto da chi non accetta la cocente sconfitta dovuta alla pessima amministrazione della cosa pubblica ed alla corruzione dilagante della politica.
Noi meridionali non siamo stupidi e ignoranti, come vorrebbe far credere una parte della politica che ci ha abbandonato.
Noi vogliamo solo avere, perchè è un nostro diritto sancito dalla Costituzione, lavoro e dignità.
Ciò che hanno diramato con la notizia in questione, è oltremodo offensivo nei confronti di noi meridionali tacciati d'essere ignoranti e scansafatiche, ed è per questo che abbiamo dato la nostra fiducia a chi ci da fiducia piuttosto che a chi ci denigra.
C.

lunedì 11 dicembre 2017

[L’analisi] Dalle armi di distruzione di massa dell’Iraq a Biden. Ecco chi ha inventato la madre di tutte le bufale. - Alberto Negri

Joe Biden

Fu il capo della National Geospatial Intelligence Agency, James Clapper, a costruire le prove, lo stesso che come direttore della Nsa molti anni dopo ha cercato di dimostrare l’interferenza degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane. Forse anche Joe Biden, l’ex vicepresidente americano, si è servito da lui per scrivere l’articolo sui presunti tentativi d'ingerenza della Russia nell'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 in Italia.


Dagli Stati Uniti arrivano, con una certa regolarità, “bufale” con il marchio di fabbrica. Ma la madre di tutte le “fake news” fu certamente la storia delle presunte armi di distruzione di massa del dittatore iracheno Saddam Hussein. Quelle armi, che dovevano giustificare la guerra del 2003, non furono mai trovate e hanno continuato a fare vittime molti anni dopo.
Come nascono le “bufale” americane compresa probabilmente quella dell’ex vicepresidente Joe Biden sulle interferenze russe in Italia? È il novembre 2015 quando France 5, canale pubblico di informazione, invia una giornalista a intervistare Ahmad Chalabi, l’uomo politico scelto da Washington per guidare l’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003: Time gli dedicò allora una cover story intitolata al “George Washington iracheno”. La parabola politica di Chalabi è nota, un po’ meno chiaro è come contribuì alla guerra e persino la sua fine lascia più di qualche dubbio. 
Fu lui fu il grande ispiratore della madre di tutte le bufale: le armi di distruzione di massa irachene. L’intervista con France 5 si rivela laboriosa. La giornalista alla fine riesce a ottenere il sospirato incontro: è il tardo pomeriggio del 2 novembre del 2015. Le domande sono riferite quasi tutte a una questione. Come fu costruito il dossier americano che imputava a Saddam il possesso di un arsenale chimico e biologico che non fu mai trovato e costituì una delle basi legali all’intervento militare che ha segnato l’inizio della disgregazione del Medio Oriente?
Quando la tv francese mi ha raccontato la storia di questa intervista ha ovviamente sollevato il mio interesse. Come inviato seguo sul campo gli eventi mediorientali da oltre 35 anni e in Iraq ho trascorso molto tempo, in particolare oltre cinque mesi di fila tra la fine del 2002 e la primavera del 2003 quando cadde il regime baathista.
L’arsenale di Saddam era materia di articoli quasi quotidiani. Eravamo inondati da centinaia di pagine di rapporti del dipartimento di Stato, del Pentagono di think tank Usa e britannici. Faldoni enormi, densi di dati e di riferimenti: per sfogliarli ogni giornalista all’epoca spese intere settimane. A Baghdad l’arsenale proibito di Saddam si “materializzò” davanti agli occhi dei reporter, come in un gioco di prestigio. Squadre di ispettori dell’Onu percorrevano l’Iraq alla ricerca di prove. Nella capitale sbucavano su jeep bianche con la bandiera delle Nazioni Unite, entravano negli edifici del regime e ne uscivano con montagne di incartamenti. Erano quelle le prove?
Talvolta i giornalisti erano invitati a verificare le accuse. Fu così che un giorno andai a Falluja dove in una spianata sassosa si potevano vedere delle strutture di metallo assai sghembe, che sembravano disegnate un geometra distratto: ci fu detto che erano rampe di lancio di missili da armare con testate chimiche. Eppure i famosi Scud di Saddam, sottoposto a sanzioni da oltre 12 anni, dovevano essere quasi tutti spariti da tempo. Infatti durante la guerra non vennero mai usati. 
Le accuse potevano sembrare credibili. Nel 1988 avevo visto i sopravvissuti di Halabja, la popolazione curda irachena colpita dai gas di Baghdad che avevano fatto cinquemila morti. Ricordavo benissimo che allora nessuno aveva rivolto alcuna accusa al regime perché combatteva contro l’Iran di Khomeini.
Per costruire delle menzogne credibili serve sempre un fondo di verità e Saddam aveva un fedina piuttosto lunga che non deponeva a suo favore. Il regime negava tutto. Nel febbraio del 2003, mentre aspettavamo l’attacco americano, il braccio destro di Saddam, Tarek Aziz, che avevo incontrato diverse volte, mi invitò nel suo ufficio. Davanti alla scrivania aveva una montagna di carte da firmare mentre la tv, sintonizzata su Cnn, trasmetteva il discorso del segretario di stato Colin Powell alle Nazioni Unite: stava mostrando le prove della famosa “pistola fumante”, le foto satellitari delle armi di distruzione di massa.
Chi gliele aveva date? Il capo della National Geospatial Intelligence Agency, James Clapper, lo stesso che come direttore della Nsa molti anni dopo ha portato le prove dell’interferenza degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane.
Forse anche Joe Biden, l’ex vicepresidente americano, si è servito da lui per scrivere l’articolo su “Foreign Affairs” sui presunti tentativi d'ingerenza della Russia nell'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, aggiungendo che Mosca ora “sta aiutando la Lega e il Movimento 5 Stelle in vista delle prossime elezioni parlamentari”.
Brava persona Biden ma non si è neppure accordo che l’ex presidente del Consiglio Renzi andò da Obama alla Casa Bianca per farsi appoggiare nel referendum costituzionale: si vede che le interferenze degli altri sono sempre peggiori delle proprie. Un po’ sprovveduto però Biden deve esserlo. Da vicepresidente Usa in un discorso accusò il leader turco Erdogan di essere complice dell’Isis. Poi dovette scusarsi e nell’agosto 2016 andò ad Ankara dove lui stesso lanciò l’ultimatum ai curdi siriani di ritirarsi a Est dell’Eufrate, cioè minacciò ci colpire i più strenui alleati degli Usa nella lotta al Califfato e nell’assedio di Raqqa.
Ma torniamo in Iraq. Tarek Aziz, allora, continuò a sfogliare le carte senza alzare lo sguardo alla tv e gli chiesi cosa ne pensasse del discorso di Powell. “Credo – disse – che ci faranno la guerra anche se gli consegneremo l’ultimo dei nostri kalashnikov”.
Come è stato possibile costruire il dossier contro l’Iraq di Saddam? “Semplice – ha risposto Chalabi alla giornalista di France 5 – gli americani già nel 2001-2002 mi chiesero riferimenti e persone che avrebbero potuto essere utili a costruire un’accusa sulle armi di Saddam e io ho fornito agli Stati Uniti questi elementi: non mi sento colpevole, sono stati gli americani poi a trarre le conclusioni”.
Ora sappiamo, anche in base al rapporto di John Chilcot, presidente della commissione d’inchiesta britannica, che l’intervento militare Usa in Iraq del 2003, sostenuto caldamente da Tony Blair, era basato su falsi rapporti. La giornalista di France 5 poteva ritenersi soddisfatta: l’intervista a Chalabi era costata mesi di attesa. Il giorno seguente all’incontro con Chalabi, il 3 novembre 2015, stava esaminando nella sua stanza d’albergo a Baghdad il materiale raccolto.
La notizia arrivò all’improvviso: Chalabi era stato appena trovato morto, apparentemente vittima di un attacco di cuore. Nel filmato ammetteva la sua complicità nella raccolta delle false accuse contro Saddam sulle armi di distruzione di massa e faceva dei nomi: ma questa era stata la sua ultima intervista. Alla giornalista non restò che correre in aereoporto e dileguarsi con il primo volo utile per Beirut. Di solito questi non sono buoni segnali.
La madre di tutte le bufale è nata dentro al sistema politico e di propaganda anglo-americano che non ha mai smesso di produrre la “verità del momento”. E gli altri, come i russi o cinesi, hanno cominciato a imitarlo. Non solo, ha continuato a sostenerla e oggi il sistema che produce bufale può godere dell’aiuto dei social network, di Facebook, di Twitter, di centinaia di siti e blog le cui notizie sono spesso false o inverificabili.Non c’è più bisogno di inviare come un tempo ai giornalisti voluminosi faldoni che davano al tutto una parvenza di serietà: basta andare sul web e la verità del momento si diffonde come un virus.
Le fake news americane - come del resto quelle inglesi, francesi, russe o italiane - non conoscono vergogna o pentimenti. Donald Rumsfeld, l’ex segretario di stato americano, interpellato sulle armi di distruzione di massa in Iraq e la mancanza di fondamento di quelle accuse, ha proclamato: “L’assenza di una prova non è la prova di un’assenza”. La madre delle bufale non si stanca di lavorare.