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mercoledì 6 aprile 2022

Ucraina, Travaglio a La7: “Se il mondo avesse concesso tutto quello che Zelensky ha chiesto finora, saremmo già alla 3ª guerra mondiale”.

 

“Se il mondo avesse ascoltato Zelensky e avesse seguito parola per parola quello che lui ha chiesto in questi 41 giorni di guerra, saremmo già alla terza guerra mondiale, perché avremmo concesso all’Ucraina la no fly zone, e quindi avremmo già avuto uno scontro aereo tra caccia Nato e caccia russi”. Così, a “Otto e mezzo” (La7), il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, commenta il durissimo intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Consiglio di sicurezza dell’Onu, aggiungendo: “Per fortuna l’Occidente sta dando la massima solidarietà, com’è doveroso, al popolo ucraino, ma poi fa la tara a ciò che dice Zelensky, il quale non sempre dice cose calcolandone le conseguenze”.

Travaglio si sofferma poi sulla richiesta di Zelensky circa un tribunale sul modello di Norimberga che processi la Russia per i crimini di guerra: “È una bellissima esercitazione retorica, ma purtroppo è impossibile. Intanto, per processare Putin alla Corte internazionale dell’Aja, bisogna arrestarlo perché non sono previsti i processi in contumacia. In secondo luogo, bisognerebbe che l’Ucraina riconoscesse la corte dell’Aja, cosa che non ha mai fatto, probabilmente perché altrimenti ci sarebbero finiti alcuni fiancheggiatori delle truppe ucraine, i famosi nazisti del battaglione Azov, che si macchiarono di orrori spaventosi per 8 anni nel Donbass ai danni delle popolazioni russofone”.

Il direttore del Fatto conclude: “Gli americani dovrebbero avvertire Biden che essi stessi non riconoscono la corte dell’Aja, come non la riconosce la Russia. Se la riconoscessero, Usa e Russia sarebbero i primi a finirci, visto che di crimini contro l’umanità gli americani ne hanno commessi a bizzeffe insieme ai loro alleati, italiani compresi, in Iraq e in Afghanistan. I russi ne hanno combinate di tutti i colori, dalla Cecenia alla Georgia, per non parlare della Siria. Quindi, i Paesi che non vogliono finire sotto processo non riconoscono quel tribunale – chiosa – dove infatti vengono processati i Paesi solitamente più sfigati dopo che hanno perso una guerra. Stiamo parlando di un’esercitazione retorica che non porta da nessuna parte. L’unica cosa che porta da qualche parte è fare un’analisi realistica della situazione sul campo e cercare di riannodare i fili faticosissimi di quell’inizio di trattativa che si era abbozzata ultimamente in Turchia e della quale nessuno parla più per questa escalation verbale seguita alla strage di Bucha

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/06/ucraina-travaglio-a-la7-se-il-mondo-avesse-concesso-tutto-quello-che-zelensky-ha-chiesto-finora-saremmo-gia-alla-3a-guerra-mondiale/6550113/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR1hQcl7tn8oNrHCKLmd5rvQpU-LA_Jec_TxddEVi7-fdjPfy6-pYB3PBEg#Echobox=1649228654-1

lunedì 9 agosto 2021

Lauree «inutili» e stipendi bassi? Ecco i titoli più richiesti entro il 2025. - Francesca Barbieri


Illustrazione di Andrea Marson/Il Sole 24 Ore

In Germania guadagnano quasi il doppio e in Svizzera addirittura 2,5 volte in più. In Belgio e Olanda sono a +50%, in Francia a +25%, in Gran Bretagna a +16 per cento.

Nella classifica europea degli stipendi per i giovani neolaureati l’Italia è ancora una volta nelle ultime posizioni: 28mila euro annui lordi rispetto agli oltre 32mila degli inglesi, ai 35mila dei francesi, ai 50mila dei tedeschi e ai quasi 80mila degli svizzeri.
Sarà per questo che in otto anni - registra la Corte dei conti - c’è stato un aumento del 41,8% dei trasferimenti per lavoro?

Barriere all’ingresso e lauree deboli.

Un fenomeno - sottolinea l’analisi della Corte dei conti - riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore (solo il 68% dei laureati italiani ha un lavoro contro la media Ocse del’'85%).

In generale nel nostro paese il tasso di occupazione dei giovani è di molto inferiore alla media europea (16,8% tra gli under 25, quasi la metà rispetto al 32,1% dell’area euro) ed è alto il numero di Neet, oltre 3 milioni di under 35 che non studiano e non lavorano.E così in tanti, soprattutto tra i laureati, cercano fortuna all’estero.

«Il “paradosso italiano” – commenta Federica Meluzzi, dottoranda in economia all’Istituto Politecnico di Parigi – è che il rendimento del titolo universitario risulti basso nonostante l’offerta di lavoro molto qualificato sia tra le più scarse tra i paesi Ocse, come dimostrano le statistiche sul numero dei laureati. L’incapacità del sistema di assorbire e valorizzare le competenze acquisite durante gli studi universitari è sintomatica di problemi strutturali della nostra economia: da un lato, una struttura produttiva concentrata in settori a basso valore aggiunto, dall’altro una classe imprenditoriale poco qualificata, se si pensa che il 38% dei titolari delle micro e piccole imprese ha la licenza media e solo il 15% ha una laurea».

Le competenze chiamano competenze

“Skills beget skills” (le competenze chiamano competenze): «Le imprese guidate da un imprenditore o da un manager laureato - sottolinea Meluzzi - dimostrano una maggiore propensione all’assunzione di personale altamente qualificato, innovano di più e sono più produttive. Ed è questo equilibrio low-skill che è fondamentale rompere per creare opportunità e migliori condizioni per la forza lavoro più qualificata e al tempo stesso rilanciare la produttività».

Spiragli per il futuro.

Secondo un’elaborazione della società di consulenza Mercer si registra però un leggero trend di crescita almeno nelle buste paga: il salario iniziale dei neolaureati nel 2016 era 26.500 euro quindi in 5 anni è cresciuto del 6% circa (nel 2020 è di 28.000 euro), ma non per tutti. «Si sono abbassati da 27mila euro a 26mila euro i livelli d’ingresso per la laurea triennale - evidenziano da Mercer -, per la magistrale si è passati da 28mila a 28.459 euro, e per i master da 28mila a 31.500 euro». E il tasso di disoccupazione giovanile è in leggero calo (-0,2%) ad aprile 2021 attestandosi al 33,7%.

«Osservando l’andamento dei dati nel nostro storico - dichiara Mariagrazia Galliani, responsabile Mobility&Data di Mercer Italia - possiamo notare che la tendenza in Italia è di riconoscere maggiormente il ruolo dei giovani che si affacciano nel mondo del lavoro, mettendo a disposizione politiche di total reward che non solo puntino a elementi tangibili, ma che siano anche collegate a elementi di natura valoriale e che generino un senso di orgoglio e appartenenza rispetto al brand».

LAUREATI IN INGRESSO SUL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO PER INDIRIZZO

Valori medi annui, 2021-2025 (*Comprende scienze motorie. Fonte: Unioncamere - Anpal)

LAUREATI IN INGRESSO SUL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO PER INDIRIZZO

Superare il gap di formazione: il caso Generali.

La compagnia assicurativa Generali, ad esempio, ha condotto un’iniziativa di skill assessment globale durante il 2020 per comprendere l’effettiva preparazione dei propri dipendenti rispetto ad alcune skill fondamentali, definendo priorità e target per poi assegnare obiettivi di formazione per superare il gap tra bisogni e competenze effettive. L’iniziativa ha consentito a Generali Group di misurare oltre 45.000 livelli di professionalità nel mondo e ha potuto generare un enorme quantità di dati per meglio indirizzare i progetti formativi. Inoltre ha consentito di risparmiare il 30% del tempo che veniva prima utilizzato per training non efficaci, come per esempio corsi di formazione rivolti a lavoratori già con competenze in quell'ambito.

Il ”treno” Recovery fund.

Del resto, la formazione (non solo per i giovani) diventa la leva strategica per rilanciare il lavoro nei prossimi anni: le possibilità arrivano dal tesoretto di 30 miliardi previsti dal Pnrr al capitolo Education. Formazione chiave di volta per ripartire anche per il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: «In Italia oltre 3 milioni di giovani tra i 15 e 34 anni non sono occupati, né impegnati nel percorso di istruzione o inattività formative - ha detto nelle considerazioni finali di lunedì 31 maggio - ; si tratta di quasi un quarto del totale, la quota più elevata tra i paesi dell’Unione europea. Se ne deve tener conto nel ridefinire le priorità per lo sviluppo economico e sociale e nel dirigere l’impegno verso la costruzione di un’economia davvero basata sulla conoscenza, il principale strumento a disposizione di un paese avanzato per consolidare e accrescere i livelli di benessere».

Quali lauree offrono più lavoro?

Allargando l’orizzonte al 2025 le previsioni di Unioncamere e Anpal evidenziano - nell’arco di 5 anni - una richiesta di 1,2 milioni di laureati da parte delle aziende italiane: per il 61-62% da inserire nel settore privato (dipendenti e indipendenti) e per il 38-39% in quello pubblico.

Economia, sanità e ingegneria al top.

In valore assoluto la richiesta riguarderà soprattutto dottori in economia o statistica, con una domanda compresa tra 36mila e 40mila unità l’anno (di cui 35.000-38.500 dell'indirizzo economico e oltre 1.300 di quello statistico).

Seguono i laureati dell’area giuridico e politico-sociale, per cui si prevede una richiesta di oltre 39mila unità all’anno (di cui 23.100 per giurisprudenza e 16.300 per l’indirizzo politico-sociale).

E poi spicca l’indirizzo medico-sanitario, dove serviranno tra 33-35mila laureati in media annua, ma anche le specializzazioni di ingegneria, con una domanda compresa tra 31-35mila unità, insegnamento e formazione (comprese scienze motorie) per cui si stima che saranno necessari circa 25mila laureati l’anno.

Skill mismatch.

Ma a fronte di 1,2 milioni di richieste delle aziende, sul mercato del lavoro faranno il proprio debutto 966mila laureati. Tra i più numerosi quelli ad indirizzo economico (oltre 30mila unità nella media dei cinque anni), poi gli ingegneri (circa 24mila all’anno), medici-sanitari e paramedici (circa 23mila unità annue) e laureati dell’indirizzo politico-sociale (20mila all’anno).

Tra gli indirizzi di ingegneria - evidenzia lo studio Anpal / Unioncamere - quello ampiamente prevalente è ingegneria industriale (11mila laureati all’anno).

Dove si concentra il gap maggiore? «Medico-sanitario, scientifico-matematico-fisico, ingegneria e architettura» si legge nel report sono gli indirizzi dove la richiesta supera la disponibilità di candidati con le competenze adeguate.

Per il settore medico-sanitario - per il quale si stima una carenza di offerta di 11-13mila laureati all’anno - il mismatch è evidentemente «il riflesso della crescente domanda di competenze sanitarie e di assistenza connesse all’invecchiamento della popolazione e all’adeguamento dei sistemi sanitari post-pandemia - evidenziano da Unioncamere -, anche in un’ottica di maggiore prevenzione e presidio territoriale».

Profili introvabili.

La forte richiesta di competenze nell’indirizzo scientifico-matematico-fisico (che comprende l’informatica), per il quale saranno richiesti oltre 8mila laureati all’anno, a fronte di un’offerta di 5mila unità in ingresso nel mercato, è la conseguenza dell’accelerazione dei processi di digitalizzazione e di automazione indotti anche dalla pandemia.

«Con buona probabilità - si legge nello studio - ciò influisce positivamente anche sui fabbisogni di laureati in ingegneria, per i quali tuttavia si riscontrano differenze rilevanti a seconda dei singoli indirizzi di ingegneria esaminati. Per architettura la domanda (compresa tra 13.000-13.400 laureati all’anno, con un'offerta di 6.200 neolaureati) appare legata soprattutto alla componente dei lavoratori indipendenti».

Per alcuni indirizzi si delinea invece un tendenziale eccesso di offerta: linguistico, chimico-farmaceutico, geo-biologico, agro-alimentare.

Per questi ultimi si ripropone quindi il fondamentale tema dell’orientamento e dei relativi servizi di supporto, tra cui una corretta informazione sugli effettivi sbocchi lavorativi che possono essere ragionevolmente previsti al momento di scegliere il corso di studi da intraprendere.

I 5 settori che pagano di più i giovani.

Secondo Page group - società specializzata in indagini retributive - sono 5 i settori offrono migliori stipendi d’ingresso per i giovani: information tecnolonogy, engineering, healthcare, finanza e tax & legal.

«In ambito It - spiegano da Page Group - un data scientist può arrivare a 40mila euro annui, software e web developer a 35mila euro, mentre in ambito finanziario un jounior financial controller può partire da 27mila euro e un junion internal auditor da 25mila».

Nel campo Engineer gli stipendi migliori per i giovani - secondo Page group - riguardano gli ingegneri di progetto (40mila euro) e gli application engineer (30mila euro). Nell’healthcare un clinical project manager può arrivare a 35mila euro l’anno e un esperto sul controllo qualità parte da 27mila euro. Nel Tax&legal infine un avvocato neoabilitato parte da 25mila euro lordi anni e un tax specialist da 30mila.

«Al netto dei ruoli che richiedono un percorso di studi specifico, nella ricerca dei candidati è in costante crescita l'importanza delle soft skill e delle attitudini caratteriali come l'intelligenza emotiva - conclude Pamela Bonavita, Senior Executive Director, della società di consulenza Hr PageGroup - che consente di adattarsi a contesti mutevoli e alla complessità moderna.Non esistono lauree “sbagliate” o ”inutili”: la regola d’oro per i giovani che si trovano a dover scegliere la propria facoltà universitaria è di optate per i percorsi che più li appassionano e gratificano, senza dimenticare di sviluppare le competenze digitali e le soft skill, tutti ingredienti fondamentali per una carriera di successo».

ILSole24Ore

mercoledì 2 giugno 2021

Lauree «inutili» e stipendi bassi? Ecco i titoli più richiesti entro il 2025. - Francesca Barbieri

Illustrazione di Andrea Marson/Il Sole 24 Ore

 









Nella classifica europea degli stipendi per i giovani neolaureati l’Italia è ancora una volta in fondo: sarà per questo che la fuga dei cervelli all’estero è aumentata del 42%? Quali sono i titoli di studio più richiesti e quelli che pagano di più?

In Germania guadagnano quasi il doppio e in Svizzera addirittura 2,5 volte in più. In Belgio e Olanda sono a +50%, in Francia a +25%, in Gran Bretagna a +16 per cento. Nella classifica europea degli stipendi per i giovani neolaureati l’Italia è ancora una volta nelle ultime posizioni: 28mila euro annui lordi rispetto agli oltre 32mila degli inglesi, ai 35mila dei francesi, ai 50mila dei tedeschi e ai quasi 80mila degli svizzeri. Sarà per questo che in otto anni - registra la Corte dei conti - c’è stato un aumento del 41,8% dei trasferimenti per lavoro?

Barriere all’ingresso e lauree deboli.

Un fenomeno - sottolinea l’analisi della Corte dei conti - riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore (solo il 68% dei laureati italiani ha un lavoro contro la media Ocse del’'85%). In generale nel nostro paese il tasso di occupazione dei giovani è di molto inferiore alla media europea (16,8% tra gli under 25, quasi la metà rispetto al 32,1% dell’area euro) ed è alto il numero di Neet, oltre 3 milioni di under 35 che non studiano e non lavorano.E così in tanti, soprattutto tra i laureati, cercano fortuna all’estero.«Il “paradosso italiano” – commenta Federica Meluzzi, dottoranda in economia all’Istituto Politecnico di Parigi – è che il rendimento del titolo universitario risulti basso nonostante l’offerta di lavoro molto qualificato sia tra le più scarse tra i paesi Ocse, come dimostrano le statistiche sul numero dei laureati. L’incapacità del sistema di assorbire e valorizzare le competenze acquisite durante gli studi universitari è sintomatica di problemi strutturali della nostra economia: da un lato, una struttura produttiva concentrata in settori a basso valore aggiunto, dall’altro una classe imprenditoriale poco qualificata, se si pensa che il 38% dei titolari delle micro e piccole imprese ha la licenza media e solo il 15% ha una laurea».

Le competenze chiamano competenze.

“Skills beget skills” (le competenze chiamano competenze): «Le imprese guidate da un imprenditore o da un manager laureato - sottolinea Meluzzi - dimostrano una maggiore propensione all’assunzione di personale altamente qualificato, innovano di più e sono più produttive. Ed è questo equilibrio low-skill che è fondamentale rompere per creare opportunità e migliori condizioni per la forza lavoro più qualificata e al tempo stesso rilanciare la produttività».

Spiragli per il futuro.

Secondo un’elaborazione della società di consulenza Mercer si registra però un leggero trend di crescita almeno nelle buste paga: il salario iniziale dei neolaureati nel 2016 era 26.500 euro quindi in 5 anni è cresciuto del 6% circa (nel 2020 è di 28.000 euro), ma non per tutti. «Si sono abbassati da 27mila euro a 26mila euro i livelli d’ingresso per la laurea triennale - evidenziano da Mercer -, per la magistrale si è passati da 28mila a 28.459 euro, e per i master da 28mila a 31.500 euro». E il tasso di disoccupazione giovanile è in leggero calo (-0,2%) ad aprile 2021 attestandosi al 33,7%. «Osservando l’andamento dei dati nel nostro storico - dichiara Mariagrazia Galliani, responsabile Mobility&Data di Mercer Italia - possiamo notare che la tendenza in Italia è di riconoscere maggiormente il ruolo dei giovani che si affacciano nel mondo del lavoro, mettendo a disposizione politiche di total reward che non solo puntino a elementi tangibili, ma che siano anche collegate a elementi di natura valoriale e che generino un senso di orgoglio e appartenenza rispetto al brand».

LAUREATI IN INGRESSO SUL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO PER INDIRIZZO.

Valori medi annui, 2021-2025 (*Comprende scienze motorie. Fonte: Unioncamere - Anpal).


Superare il gap di formazione: il caso Generali.

La compagnia assicurativa Generali, ad esempio, ha condotto un’iniziativa di skill assessment globale durante il 2020 per comprendere l’effettiva preparazione dei propri dipendenti rispetto ad alcune skill fondamentali, definendo priorità e target per poi assegnare obiettivi di formazione per superare il gap tra bisogni e competenze effettive. L’iniziativa ha consentito a Generali Group di misurare oltre 45.000 livelli di professionalità nel mondo e ha potuto generare un enorme quantità di dati per meglio indirizzare i progetti formativi. Inoltre ha consentito di risparmiare il 30% del tempo che veniva prima utilizzato per training non efficaci, come per esempio corsi di formazione rivolti a lavoratori già con competenze in quell'ambito.

Il ”treno” Recovery fund.

Del resto, la formazione (non solo per i giovani) diventa la leva strategica per rilanciare il lavoro nei prossimi anni: le possibilità arrivano dal tesoretto di 30 miliardi previsti dal Pnrr al capitolo Education. Formazione chiave di volta per ripartire anche per il Governatore della Banca d’Italia Iganzio Fazio: «In Italia oltre 3 milioni di giovani tra i 15 e 34 anni non sono occupati, né impegnati nel percorso di istruzione o inattività formative - ha detto nelle considerazioni finali di lunedì 31 maggio - si tratta di quasi un quarto del totale, la quota più elevata tra i paesi dell’Unione europea. Se ne deve tener conto nel ridefinire le priorità per lo sviluppo economico e sociale e nel dirigere l’impegno verso la costruzione di un’economia davvero basata sulla conoscenza, il principale strumento a disposizione di un paese avanzato per consolidare e accrescere i livelli di benessere».

Quali lauree offrono più lavoro?

Allargando l’orizzonte al 2025 le previsioni di Unioncamere e Anpal evidenziano - nell’arco di 5 anni - una richiesta di 1,2 milioni di laureati da parte delle aziende italiane: per il 61-62% da inserire nel settore privato (dipendenti e indipendenti) e per il 38-39% in quello pubblico.

Economia, sanità e ingegneria al top.

In valore assoluto la richiesta riguarderà soprattutto dottori in economia o statistica, con una domanda compresa tra 36mila e 40mila unità l’anno (di cui 35.000-38.500 dell'indirizzo economico e oltre 1.300 di quello statistico). Seguono i laureati dell’area giuridico e politico-sociale, per cui si prevede una richiesta di oltre 39mila unità all’anno (di cui 23.100 per giurisprudenza e 16.300 per l’indirizzo politico-sociale). E poi spicca l’indirizzo medico-sanitario, dove serviranno tra 33-35mila laureati in media annua, ma anche le specializzazioni di ingegneria, con una domanda compresa tra 31-35mila unità, insegnamento e formazione (comprese scienze motorie) per cui si stima che saranno necessari circa 25mila laureati l’anno.

Skill mismatch.

Ma a fronte di 1,2 milioni di richieste delle aziende, sul mercato del lavoro faranno il proprio debutto 966mila laureati. Tra i più numerosi quelli ad indirizzo economico (oltre 30mila unità nella media dei cinque anni), poi gli ingegneri (circa 24mila all’anno), medici-sanitari e paramedici (circa 23mila unità annue) e laureati dell’indirizzo politico-sociale (20mila all’anno). Tra gli indirizzi di ingegneria - evidenzia lo studio Anpal / Unioncamere - quello ampiamente prevalente è ingegneria industriale (11mila laureati all’anno). Dove si concentra il gap maggiore? «Medico-sanitario, scientifico-matematico-fisico, ingegneria e architettura» si legge nel report sono gli indirizzi dove la richiesta supera la disponibilità di candidati con le competenze adeguate. Per il settore medico-sanitario - per il quale si stima una carenza di offerta di 11-13mila laureati all’anno - il mismatch è evidentemente «il riflesso della crescente domanda di competenze sanitarie e di assistenza connesse all’invecchiamento della popolazione e all’adeguamento dei sistemi sanitari post-pandemia - evidenziano da Unioncamere -, anche in un’ottica di maggiore prevenzione e presidio territoriale».

Profili introvabili.

La forte richiesta di competenze nell’indirizzo scientifico-matematico-fisico (che comprende l’informatica), per il quale saranno richiesti oltre 8mila laureati all’anno, a fronte di un’offerta di 5mila unità in ingresso nel mercato, è la conseguenza dell’accelerazione dei processi di digitalizzazione e di automazione indotti anche dalla pandemia. «Con buona probabilità - si legge nello studio - ciò influisce positivamente anche sui fabbisogni di laureati in ingegneria, per i quali tuttavia si riscontrano differenze rilevanti a seconda dei singoli indirizzi di ingegneria esaminati.Per architettura la domanda (compresa tra 13.000-13.400 laureati all’anno, con un'offerta di 6.200 neolaureati) appare legata soprattutto alla componente dei lavoratori indipendenti». Per alcuni indirizzi si delinea invece un tendenziale eccesso di offerta: linguistico, chimico-farmaceutico, geo-biologico, agro-alimentare. Per questi ultimi si ripropone quindi il fondamentale tema dell’orientamento e dei relativi servizi di supporto, tra cui una corretta informazione sugli effettivi sbocchi lavorativi che possono essere ragionevolmente previsti al momento di scegliere il corso di studi da intraprendere.

I 5 settori che pagano di più i giovani.

Secondo Page group - società specializzata in indagini retributive - sono 5 i settori offrono migliori stipendi d’ingresso per i giovani: information tecnolonogy, engineering, healthcare, finanza e tax & legal. «In ambito It - spiegano da Page Group - un data scientist può arrivare a 40mila euro annui, software e web developer a 35mila euro, mentre in ambito finanziario un jounior financial controller può partire da 27mila euro e un junion internal auditor da 25mila». Nel campo Engineer gli stipendi migliori per i giovani - secondo Page group - riguardano gli ingegneri di progetto (40mila euro) e gli application engineer (30mila euro). Nell’healtcare un clinical project manager può arrivare a 35mila euro l’anno e un esperto sul controllo qualità parte da 27mila euro. Nel Tax&legal infine un avvocato neoabilitato parte da 25mila euro lordi anni e un tax specialist da 30mila. «Al netto dei ruoli che richiedono un percorso di studi specifico, nella ricerca dei candidati è in costante crescita l'importanza delle soft skill e delle attitudini caratteriali come l'intelligenza emotiva - conclude Pamela Bonavita, Senior Executive Director, della società di consulenza Hr PageGroup - che consente di adattarsi a contesti mutevoli e alla complessità moderna.Non esistono lauree “sbagliate” o ”inutili”: la regola d’ora per i giovani che si trovano a dover scegliere la propria facoltà universitaria è di optate per i percorsi che più li appassionano e gratificano, senza dimenticare di sviluppare le competenze digitali e le soft skill, tutto ingredienti fondamentali per una carriera di successo».

IlSole24Ore

venerdì 5 febbraio 2021

Le richieste di Renzi umili e ragionevoli: dal Meb alla Arcuri. - Selvaggia Lucarelli

 

Oltre i tweet. I veri diktat dello statista di Rignano.

A un certo punto Matteo Renzi s’è stufato. Per giorni, il sentimento prevalente nell’opinione pubblica era quello di assoluto stupore nei confronti di una crisi di governo che, oltre al momento storico particolare, sembrava assolutamente priva di ragioni che non fossero l’ego di Renzi, “il suo odio per Conte” (cit. Giulio Gallera) o anche l’ego di Renzi. E questo, l’ego di Renzi, non poteva proprio accettarlo. Per cui l’ego di Renzi ha affidato a un tweet, pubblicato poco prima del discorso di Mattarella, le vere ragioni dello strappo: “Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta velocità, Anpal, Reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei Niet dei colleghi della ex maggioranza”.

Ma tu pensa, davvero hanno detto no? Se il primo editore a ricevere il manoscritto del libro di Harry Potter fosse stato l’ego di Renzi, probabilmente l’ego di Renzi avrebbe sentenziato “Togli il maghetto, Voldemort, la scuola di magia, Albus Silente, lo sport sulle scope volanti e i genitori morti, ma per il resto è perfetto”.

Me lo immagino anche come curatore di una collana sulla cucina italiana. “Via la pizza, gli spaghetti, i tortellini, le lasagne, il panettone e il pesto. Il resto va bene”.

Tuttavia, dal momento che ci sta che nella sintesi in 280 caratteri si perda qualcosa, andiamo a vedere più nello specifico quali sono state le sue umili, ragionevoli richieste a Conte :

– Il MEB. Probabilmente quello sul Mes è un refuso dal momento che, più che l’accettazione del Meccanismo Europeo di Stabilità, la prima urgenza di Renzi sembra l’accettazione di Maria Elena Boschi per la sua stabilità. Non scambiatela per un’ossessione, come non lo era quella di Dante per Beatrice. È una questione di merito e competenza, e quindi giustissima la Boschi alle Infrastrutture. O allo Sport, all’Agricoltura, alla Scuola, alla Giustizia. Perfetta anche per tutti i ministeri contemporaneamente, grazie a una speciale poltrona a rotelle brevettata personalmente dalla Azzolina.

– Grandi opere. “Il Tav? Non è un’opera dannosa, ma inutile. Soldi impiegati male. Rischia di essere un investimento fuori scala e fuori tempo”. “Continuano a parlare dello Stretto di Messina, ma io dico che gli 8 miliardi li dessero alle scuole per la realizzazione di nuovi edifici e per rendere più moderne e sicure!”. Parlava così, Matteo Renzi, un tempo. Ora che finalmente non deve più fingere di essere di sinistra, si è impuntato sull’esatto opposto. Sì al Tav, sennò salta il banco. Ma soprattutto sì al ponte sullo Stretto, con una piccola deviazione fino a Riyad, in modo che i protagonisti del nuovo rinascimento possano frequentarsi più spesso risparmiando sulla benzina del jet e sulle emissioni inquinanti. Che si sa, l’Arabia Saudita è la più grande fan del processo di allontanamento dal petrolio come fonte energetica: puntano a venderlo in bottiglie e a farcelo bere.

– Domenico Arcuri. Sul commissario, Matteo Renzi non sente ragioni. Lo detesta. A tal punto che c’era un disegno preciso, quello di punire non solo il commissario per l’emergenza Covid, ma pure Manuela Arcuri, per l’odiosa omonimia. Posto il veto sulla sua partecipazione a un eventuale remake di Carabinieri, Matteo Renzi ha chiesto a Conte che il ruolo dell’agente Paola Vitali venisse affidato a Maria Elena Boschi.

– La prescrizione. Modeste anche le sue pretese in tema di prescrizione. Matteo Renzi ha chiesto che per i processi per fatture false, traffico di influenze illecite e turbativa d’asta la prescrizione subentri a due giorni dall’inizio delle indagini preliminari. A chi lo ha accusato di voler dare una mano al padre, ha risposto che per tutti coloro in possesso di un certificato che attesti lo stato di paternità, lui vuole l’immunità parlamentare. A chi gli ha contestato che non si può prescrivere un reato se non è iniziato il processo, ha risposto: “Questo perché l’Italia è il nuovo Medioevo”.

– Alfonso Bonafede. In realtà Matteo Renzi ha molta stima nelle capacità professionali di Alfonso Bonafede, tanto che ha esplicitamente chiesto a Conte di rimuoverlo dall’incarico di ministro perché possa portare la sua esperienza all’estero, soprattutto nel mondo delle carceri. In particolare, aveva proposto per lui un incarico di rilievo in Russia: quello di assaggiatore del rancio di Navalny.

– Rocco Casalino. Non è affatto vero che Renzi ne abbia chiesto la testa su un vassoio d’argento. Sembra che la trattativa sia stata molto più modesta. Ne ha chiesto solo stinco, spalla e sottocoscia in un tegame da forno. Con patate.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/04/le-richieste-di-renzi-umili-e-ragionevoli-dal-meb-alla-arcuri/6089605/

mercoledì 3 febbraio 2021

Ultimi ricatti. Scalfarotto re del Belgio, Meb a Fiume e Bellanova a Versailles. - Alessandro Robecchi

 

Con i retroscena più veloci dei retroscenisti, la crisi di governo in atto, innescata dal teorico del Rinascimento Saudita, presenta aspetti interessanti in ogni campo, non escluso quello della psichiatria. Il ruolo centrale di un partito che non si è mai presentato alle elezioni, accreditato nei sondaggi del voto dei parenti stretti (non tutti, a giudicare dalle percentuali) e i cui rappresentanti sono stati eletti dal Pd (lui compreso), dimostra l’eterna validità di un assunto ormai centenario. In teatro, a chi disturbava dalla galleria, Petrolini diceva apertis verbis: “Io non ce l’ho con te ma con chi non ti butta di sotto”. Ecco, questo per dire che cedere a un ricatto è il modo migliore, praticamente sicuro, di subire il prossimo ricatto, e poi il prossimo, e poi il prossimo, eccetera eccetera. Ma veniamo al dettaglio degli avvenimenti, che si susseguono a velocità sostenuta.

Ore 8.15: Renzi chiede il ministero dell’Economia, quello della Giustizia, Trasporti e Lavori pubblici; poi Inps, servizi segreti, l’abbonamento a Sky per due anni, quindici punti in più per la Fiorentina e due aeroporti a Firenze, Nord e Sud, con Nardella controllore di volo.

Ore 9.25: “Irresponsabile chiusura dei partiti avversari”. Così Renzi commenta il titubante no alle sue richieste. In un comizio al Quirinale, ormai trasformato in Leopolda per i suoi show, aggiunge all’elenco 46.000 km quadrati in Mongolia da affidare a Rosato, la comproprietà di Cristiano Ronaldo, una Bentley decappottabile, Fiume italiana con governatore Maria Elena Boschi. Tutto naturalmente per il bene dei nostri figli, per i quali già costruì con le sue mani “mille asili in mille giorni”.

Ore 10.40: “Sconvolto dai veti”, Matteo Renzi apre alla trattativa e concede qualcosa: i km quadrati di Mongolia per Rosato scendono a 30.000, ma è un cedimento che va bilanciato con due miniere di diamanti in Sudafrica e la reggia di Versailles in comodato d’uso per dieci anni a Teresa Bellanova, perché una che ha fatto la bracciante merita di spassarsela un po’ nel lusso, oltre alla soddisfazione di gettare qualche brioche dal balcone.

Ore 12.45: Nuova coraggiosa proposta di Italia Viva: Scalfarotto re del Belgio.

Ore 14.50: Le trattative proseguono a ritmo serrato. Viste le titubanze delle controparti, Renzi decide per il rilancio: il Reddito di cittadinanza può restare in vigore, ma solo per chi ha donato qualcosa alla fondazione Open. Nell’ambito di un ridisegno della politica estera, pretende invece l’annessione di Nizza e Savoia, la Corsica, la Libia e altre nomine all’Eni, dove ha già piazzato gente che non distingue un idrocarburo da un cucciolo di koala.

Ore 16.20: Matteo Renzi concentra la battaglia sul ministero dei Lavori pubblici, perché le infrastrutture sono un bene inestimabile per i nostri figli e nipoti, a cui va costantemente il suo pensiero. Tra i progetti più interessanti, un’avveniristica illuminazione a led per gli ospedali e le scuole dello Yemen, in modo da permettere agli amici sauditi di bombardarle con più agio, senza sprecare preziose bombe italiane la cui fornitura è stata colpevolmente interrotta dal governo Conte.

18.15: Inaspettato rilancio: Scalfarotto imperatore della Turingia.

20.10: Riprendono gli incontri al Quirinale, dove Renzi si presenta con un venditore Tecnocasa e prende appunti: bisognerà abbattere dei tramezzi, rifare gli infissi e acquistare nuovi arazzi.

21.00: Spiace ripetersi, ma tocca farlo: io non ce l’ho con te, ma con chi non ti butta di sotto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/03/ultimi-ricatti-scalfarotto-re-del-belgio-meb-a-fiume-e-bellanova-a-versailles/6088344/

lunedì 11 gennaio 2021

Recovery, Ponte, Mes e Servizi: ogni giorno un penultimatum di Iv. - Giacomo Salvini

 

Telenovela - È dall’8 dicembre che l’ex premier minaccia di far cadere il governo con vari pretesti: dal Cashback al Covid, dal turismo a Barr, alla “visione”.

All’inizio il problema erano la governance e la task force del Recovery Fund. Poi i soldi da spendere su Sanità e Turismo, le chiusure per le feste e perfino il cashback. E ancora, alla vigilia di Natale, il Mes, a Capodanno il ponte sullo Stretto di Messina, la mancanza di “visione” del governo e la legge di Bilancio approvata in quattro e quattr’otto da una sola Camera.

Il 2021 ha portato il sereno? Macché, giù di nuovo missili: la campagna vaccinale in ritardo, gli insegnanti da vaccinare in una settimana, la delega ai servizi segreti da cedere e poi di nuovo il Mes. Queste, a prima vista, sembrerebbero le critiche di un partito di opposizione al governo Conte. Invece no: sono i tantissimi fronti aperti, nell’ultimo mese, da Matteo Renzi e dal suo partito Italia Viva che ha deciso di aprire (quasi) la crisi di governo. Dall’8 dicembre a oggi il partito renziano ogni giorno ha incalzato il premier Conte con un nuovo motivo di dissenso, sempre condito dalle minacce di ritirare le due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e aprire formalmente la crisi. “La nostra è una battaglia di idee e non di contenuti” continua a ripetere Renzi, ma nel frattempo proseguono le trattative sotterranee per ottenere qualche ministero e, se possibile, far uscire Conte da Palazzo Chigi.

Per questo, e per i continui rilanci dell’ex premier su argomenti diversi, in molti ormai ritengono le critiche di IV solo strumentali. Obiettivo: voler aprire una crisi a tutti i costi. Tutto era iniziato l’8 dicembre quando, in un’intervista a Repubblica, l’ex premier aveva anticipato qualche dettaglio del suo discorso in Senato durante il dibattito sul Mes: “Serve un governo che funzioni, non 300 consulenti” diceva riferendosi alla task force, chiesta dall’Ue, per supervisionare la gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund. Il giorno dopo, lo show a Palazzo Madama in cui Renzi aveva aggiunto critiche sul piano: “Nove miliardi per la Sanità sono troppo pochi, ce ne vuole il quadruplo. Vi sembra normale che ci siano 3 miliardi sul turismo?”. Poi era arrivato il primo penultimatum sulle dimissioni delle ministre: “Noi non vogliamo qualche poltrona, se vuole ce ne sono tre a sua disposizione in più”. E giù applausi dal centrodestra.

Il 15 dicembre nella sua e-news Renzi attaccava la maggioranza per la presunta contraddizione tra il cashback (invogliando agli acquisti natalizi) e le chiusure sotto le feste parlando di “indecisione costante” del governo: “Bisogna avere una posizione e mantenerla, non cambiarla ogni tre giorni” scriveva il senatore di Scandicci. Poi, prima il 21 dicembre con un video su Facebook e il 23 a L’Aria che Tira, Renzi rilanciava sul Mes, sapendo di spaccare la maggioranza perché il M5S è da sempre contrario: “Bisogna prendere il Mes, sono 36 miliardi per i nostri ospedali – diceva l’ex premier – Il M5S dice no perché sono populisti antieuropei”. Peccato che un anno fa, durante la ratifica del trattato Mes, Renzi disertò il vertice di maggioranza perché “se la vedessero loro” (Pd e M5S). Non solo, Renzi all’epoca criticava quel trattato: “Aiuta le banche tedesche”. Oggi invece vuole farvi ricorso a tutti i costi.

A ridosso di Capodanno poi, durante la conferenza stampa per presentare il suo piano Ciao, l’ex premier ritirava fuori dal cilindro il ponte sullo Stretto di Messina (“va fatto”) anche se non si può finanziare coi soldi del Recovery – rilanciato venerdì sera da Davide Faraone – ma anche la mancanza di “anima” del piano del governo. Nel discorso di due giorni dopo in Senato Renzi denunciava lo “svuotamento del Parlamento” perché la legge di bilancio approvata dalla Camera era arrivata in Senato già bloccata. Lui che nel 2016 voleva abolire il bicameralismo perfetto.

Il 2021 non ha portato un rasserenamento degli animi tra i giallorosa, anzi. Il 2 gennaio sul Corriere l’ex premier attaccava sul ritardo del governo sulla campagna vaccinale (“Bisogna correre”), poi giovedì scorso, il giorno dopo i fatti di Capitol Hill, coglieva l’occasione per chiedere al premier di cedere la delega sui servizi segreti: “È una questione di sicurezza nazionale” prima di ripescare il “caso Barr”, in cui non c’è alcuna prova del coinvolgimento del governo italiano nel Russiagate. Nelle ultime ore il muro alzato dall’ex premier è il Mes: “Senza di quello non c’è accordo”. Sono finiti gli argomenti possibili, si ricomincia da capo. La chiusura la lasciamo alle parole dello stesso Renzi ieri alla Stampa: “Ora basta con questa telenovela”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/11/recovery-ponte-mes-e-servizi-ogni-giorno-un-penultimatum-di-iv/6061417/

giovedì 27 agosto 2020

Bonomi “chiagni e fotti”: batte cassa, ma vuole far fuori Conte. - Salvatore Cannavò

Bonomi “chiagni e fotti”: batte cassa, ma vuole far fuori Conte

Matteo Salvini, da buon populista, ha introdotto nel sistema politico il modello del vittimismo a prescindere. Lagnarsi, lamentarsi, gridare allo scandalo per emergere e darsi un tono. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, adotta lo stesso modello.
In un’intervista monstre concessa ieri a La Stampa, ha mescolato cospicue dosi di vittimismo – “Non ci vogliono mai ascoltare, abbiamo presentato piani che non vengono letti, le nostre proposte giacciono nei cassetti” – con una poco commendevole richiesta finale: dateci un tavolo in cui anche noi possiamo contare, ergo “un patto per l’Italia”.
La modalità di Bonomi non è nuova, semmai lo è la virulenza con cui presenta ogni sua nuova incursione.
L’intervista concede molto alla demagogia spicciola: “Il governo ha varato le misure anti-crisi, ma mancano oltre 400 decreti attuativi”; ovvio, le misure risalgono a poche settimane fa. “Ci avevano detto che ad agosto avrebbero lavorato alla stesura del piano di riforme per il Recovery fund e invece è tutto fermo”: neanche per sogno, il governo ha istituito l’apposito comitato istituzionale presieduto dal ministro Vincenzo Amendola e a settembre si vedranno i primi risultati. Ancora: “Ci avevano detto che avrebbero presentato progetti per il Mes e l’emergenza sanitaria e invece è tutto fermo”. Sarebbe interessante sapere chi gliel’aveva detto, visto che il governo non ha, al momento, intenzione di ricorrere al Mes, come è noto.
Ma Bonomi è imperterrito e mette sul tavolo la vera pistola carica di cui dispone: “Un milione di posti di lavoro bruciati resta un numero purtroppo molto credibile”. Capito? Quello che ha il potere, via imprese, di mettere per strada un milione di lavoratori “avverte” il governo che la cosa potrebbe succedere. Non a caso sul divieto di licenziamento nel “decreto Agosto” si è sviluppata una lotta interna in cui il M5S ha cercato di estendere la protezione dei lavoratori mentre tutti gli altri hanno provato ad abolirla.
Lamentarsi (senza argomenti), minacciare i licenziamenti (con un chiaro ricatto) per chiedere un banale “patto per l’Italia” cui solo i sindacati più accondiscendenti possono abboccare. E sciorinando tre punti che, come sempre, vengono definiti “essenziali”: “Un piano di riforme strutturali” (che vuol dire?); “Un piano di politica industriale di mercato rinunciando a ogni disegno statalista” (questo si capisce, lasciateci fare i fatti nostri in pace); “Terzo punto: operazioni di fiducia sulle imprese”, cioè, fateci fare i fatti nostri.
L’arroganza si mescola alla spocchia, perché Bonomi è convinto che la parziale ripresa economica, in gran parte dipesa dalla manifattura, sia stata “generata da noi imprenditori che ci siamo rimboccati le maniche”. Nella sua visione delle cose i lavoratori non esistono. E da questo punto di vista “padronale” prova a mettere in riga il governo che, evidentemente, non deve ascoltarlo troppo.
Confrontando l’intervista al resto della rassegna stampa si coglie il parallelismo tra l’insofferenza confindustriale e i ripetuti appelli affinché il Pd molli i 5Stelle. “Il Pd deve valutare se stare al governo sia una ragione sufficiente per deflettere dalla propria identità” (Claudio Tito su Repubblica); “Un partito che coltiva l’orticello di sinistra rischia di essere non tanto una roba vecchia, ma una roba poco utile” (Claudio Cerasa sul Foglio: il partito centrista, invece è stato utile); “Prima di avventurarsi a costruire un’alleanza organica con il M5S dovrebbe essere in grado di diventare un riferimento stabile per la sinistra di LeU e Italia Viva, ma anche per le formazioni guidate da Carlo Calenda e Emma Bonino” (Paolo Mieli sul Corriere della Sera: hai detto un prospero, si dice a Roma). L’ipotesi di un “nuovo centrosinistra” M5S-Pd non piace alla stampa liberal e non piace a Confindustria. Uniti come non mai.
Abituati com'erano a dare ordini al governo, non accettano che il governo si occupi di governare il paese, invece di assecondare le loro pretese.

sabato 21 marzo 2020



Il leader della Lega in un video fa cinque richieste al presidente della Rebubblica.

«Più siete a sostenere e condividere, più forza avranno queste 5 richieste». Matteo Salvini fa un appello via Facebook al Presidente della Repubblica Mattarella, con una lista di richieste in cinque punti per aiutare il Paese in un momento drammatico.
«Presidente ci rivolgiamo a Lei perché altri non ci ascoltano, per chiedere a nome di milioni di italiani cinque interventi immediati» sottolinea il segretario della Lega in un video - ci affidiamo Lei visto che altri non sembrano abbiano voglia tempo di ascoltarci».
Salvini passa quindi ad elencare le cinque richieste: «chiudere tutte le attività che non sono vitali per il Paese. Lo chiedono a gran voce, lo implorano medici, infermieri, anestesisti, imprenditori, lavoratori. È il momento di chiudere tutto e mettere in sicurezza la vita dei nostri figli». Al Capo dello Stato il leader del Carroccio chiede di poi «obbligare il governo a fornire di mascherine, camici e tutto il materiale sanitario necessario agli operatori della sanità, i medici i trincea e le Forze dell’Ordine. Non è possibile morire come servitori di uno Stato che ti dimentica».
 Per Salvini è inoltre necessario «tranquillizzare tutti gli imprenditori e i lavoratori che sono chiusi a casa responsabilmente, garantendo un anno di pace fiscale: moratoria fiscale, sospensione di tutte le tasse locali e statali per tutto il 2020». Secondo il leader del Carroccio occorre poi «svegliare un’Europa che dorme e che si ricorda dell’Italia e dei cittadini europei solo quando si tratta di incassare».
Infine Salvini chiede di «riaprire il Parlamento» e «permettere a noi di svolgere il nostro mestiere, come fanno tanti altri lavoratori italiani in prima linea. Abbiamo voglia di portare a Roma idee, proposte, soluzioni e contributi». 
Anche lui, frustrato dalla perdita di consensi, polemizza, non sa fare altro, poverino.
- Chiede di chiudere tutto per salvaguardare la vita dei figli dopo che, fregandosene altamente, è stato lui stesso sorpreso a passeggiare con fidanzata e scorta senza mascherine;
- chiede di «obbligare il governo a fornire di mascherine, camici e tutto il materiale sanitario necessario agli operatori della sanità, i medici i trincea e le Forze dell’Ordine. Non è possibile morire come servitori di uno Stato che ti dimentica» quando lui è tra gli artefici dei tagli effettuati alla sanità quando era al governo con i suoi sodali. A questo proposito ci sentiamo in dovere di obbligarlo a restituire immediatamente i 49milioni sottratti a noi cittadini per devolverli alla sanità;
- chiede di «svegliare un’Europa che dorme e che si ricorda dell’Italia e dei cittadini europei solo quando si tratta di incassare». Qui sono portata a pensare che non abbia neanche letto i giornali;
- chiede, inoltre «riaprire il Parlamento» e «permettere a noi di svolgere il nostro mestiere, come fanno tanti altri lavoratori italiani in prima linea. Abbiamo voglia di portare a Roma idee, proposte, soluzioni e contributi».
Se per i contributi economici fa riferimento alla restituzione del maltolto, i 49milioni, ci va benissimo, e non credo che si debba fare in Parlamento, basta farlo con un bonifico bancario intestato al governo specificandone il motivo; per quanto riguarda le proposte e le soluzioni, dubito fortemente che ne abbia di valide, quindi le rimanderei al mittente.
Cetta