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mercoledì 11 agosto 2021

Procioni, sconti e l’Area Expo. L’ultimo decreto per l’emergenza Covid è sepolto da una raffica di 1300 emendamenti. - Thomas Mackinson

 

Giusto dieci giorni fa Mattarella in persona aveva richiamato le forze politiche a non oberare di richieste "eterogenee" le disposizioni per l'emergenza. In commissione Affari Sociali a Montecitorio è subito pioggia di correttitivi e richieste: c'è chi chiede 50 milioni per la sanità calabrese (in dissesto da 12 anni), chi di inserire per legge la colpa dei medici che vaccinano, chi indennizzi ai magistrati onorari e per sostenere le "farmacie rurali". Ecco una selezione di bizzarrie.

Il Paese scivola nella “dittatura sanitaria” da green pass, ma la Lega che questo sostiene porta ben altre emergenze. Chiede speciali poteri per “Area Expo”, l’eredità dimenticata dell’esposizione milanese del 2015. E vai a capire la logica per cui oggi, con 130mila contagi in 30 giorni, è per l’Italia motivo d’urgenza. Sarà la stessa per cui si chiedono fondi per tutelare i procioni ristorando, con soldi pubblici, gli allevatori. Al pari di conclamare il “legittimo impedimento” se l’udienza salta causa Covid, di riconoscere sconti fiscali per chi va al cinema e indennizzi straordinari per la magistratura onoraria in servizio. Insomma, c’è di tutto e di più tra gli emendamenti all’ultimo decreto Covid-19.

Almeno nel titolo doveva limitarsi alle “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica e per l’esercizio in sicurezza di attività economiche e sociali”. Invece, puntuale, è partita nelle commissioni la corsa agli emendamenti: sono già 1300 quelli presentati a Montecitorio in vista della conversione. A niente, dunque, è valso il richiamo del capo dello Stato che il 23 luglio scorso, al momento della promulgazione della legge di conversione del “sostegni bis”, aveva chiesto a Parlamento e Governo di rispettare i contenuti del decreto d’urgenza senza zavorrarlo nei testi, nei tempi e negli oneri con le richieste più strampalate ed eterogenee. Il Sole 24 ore ha raccontato alcune incursioni bizzarre, ma c’è molto di più.

Spulciando la montagna di modifiche si capisce quanto a fondo sia stato colto il messaggio di Mattarella. Il timbro della Lega torna con la consueta prospettiva: per limitare la diffusione del virus chiede di sospendere attracchi di navi e permessi di soggiorno, e pazienza se intanto strizza l’occhio ai NoVax. Del resto Forza Italia (e non solo) si premura di mettere nero su bianco che il distanziamento sociale e i dispositivi di protezione individuale non siano più obbligatori per le persone dotate di green pass che hanno completato il ciclo di vaccinazione. Claudio Borghi, sempre per sostenere l’attività di contrasto alla diffusione del virus, torna alla carica sulla responsabilità colposa dei medici che somministrano il vaccino.

L’emergenza è nazionale, ma pullulano i localismi. C’è ad esempio un manipolo di deputati calabresi che torna a chiedere 20 milioni di euro per rimpinguare le casse della sanità regionale, e pazienza se non è proprio urgente: è commissariata, senza risultati apprezzabili, ormai da 12 anni. Dall’altra parte dello stivale i sudtirolesi come Plangger Albrecht si premurano di chiedere che tutte le misure del decreto siano applicabili alle province di Trento e Bolzano solo se “compatibili coi rispettivi statuti”.

Ogni settore ha il suo sacco da riempiere. C’è chi chiede di finanziare con 1 miliardo le attività, società e associazioni sportive penalizzate dal Covid. Chi chiede detrazioni per il “consumo culturale individuale”, qualunque cosa significhi: libri, manifesti, audiovideo e quant’altro. Qualcuno si preoccupa delle “farmacie rurali” e chiede 50 milioni. Alcuni onorevoli chiedono di aumentare le indennità ai giudici di pace fino a 66mila euro l’anno. La Brambilla vuole vietare cattura, allevamento e uccisione degli animali da pelliccia, poi chiede indennizzi per chi chiude l’attività, senza dire che fine faranno le amate bestiole.

Il decreto è legge, la legge è uguale per tutti. Così, dentro al sacco degli emendamenti finiscono anche anche le beghe di chi le fa. Dal Pd, ad esempio, chiede di vietare l’accesso alle due Camere ai soggetti non muniti di certificato verde Covid-19. Basterebbe il regolamento interno, ma visto che quanto viene imposto per legge al bar in aula non vale, meglio usare la legge per disciplinare l’ingresso nel Palazzo.

ILFQ

venerdì 18 giugno 2021

Berlusconi al Quirinale: è tutto normale? - Massimo Fini


Quella che fino a qualche mese fa poteva sembrare solo una boutade, o piuttosto un incubo, “Berlusconi for President”, fra un anno potrebbe diventare una concreta, concretissima realtà. Il Corriere ne ha parlato più volte in questi giorni senza peraltro dar mostra di scandalizzarsi per questa indecenza, segno che evidentemente non la ritiene tale per i suoi lettori così come, probabilmente, non lo è per buona parte degli italiani.

Tutto parte dall’iniziativa di Matteo Salvini di formare una Federazione o un consorzio o quel che l’è fra le destre italiane. In realtà l’obiettivo di Salvini è di stoppare Giorgia Meloni che lo sta superando nei sondaggi. Mai, sia detto di passata, che i nostri uomini politici si muovano per quel “bene del Paese” che hanno sempre sulla bocca; le grandi parole, le grandi iniziative mascherano quasi sempre, per non dir sempre, manovre da sottobosco, manovre “tattiche” si dice, per nobilitarle, nel loro gergo poi assunto dai giornalisti.

Si sarebbe pensato che Silvio Berlusconi sarebbe stato contrario a un partito unico, o a qualcosa che gli assomiglia molto, perché farebbe la fine che lui ha fato fare a Gianfranco Fini. In un partito dove c’è un personaggio di gran lunga dominante per voti chi ne entra ne viene fatalmente fagocitato e perde ogni rilevanza. Fu così per Fini nei confronti di Berlusconi, così sarebbe per Berlusconi nei confronti di Salvini. Il prezzo che Berlusconi pagherebbe per questa mossa che lo cancellerebbe come partito (da qui le forti resistenze di molti importanti membri di Forza Italia) è un ‘patto di ferro’ fra le destre che lo porterebbe al Quirinale. E la cosa può riuscire perché Giorgia Meloni, pur essendo il vero obiettivo della mossa di Salvini, ha comunque già dichiarato: “Non mi metterei mai contro la candidatura di Berlusconi al Quirinale”. I voti quindi ci sono o potrebbero esserci andando a pescare i 50 che mancano, convincendoli, offrendogli, o anche all’occorrenza pagandoli, cosa non certo nuova per Forza Italia (caso De Gregorio), fra ex grillini, già adusi a ogni tradimento, renziani o ex renziani e peones vari della Camera e del Senato.

Berlusconi è stato condannato in via definitiva a quattro anni, poi ridotti, via condono, a uno e mezzo, scontato nel modo ridicolo che sappiamo, per una colossale evasione fiscale. Berlusconi, con la sua coorte di avvocati, è ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo lamentando che nel processo sarebbero stati lesi i suoi diritti. Strasburgo ha inviato otto quesiti al Governo italiano perché verifichi queste circostanze. Strasburgo si è rivolta all’indirizzo sbagliato, perché il Governo è un organo politico che non può entrare in alcun modo nelle decisioni della Magistratura a meno di non violare anche, oltre a tutto il resto, quella separazione dei Poteri, esecutivo, legislativo, giudiziario, che è il cardine di ogni Democrazia. I quesiti vanno rivolti a un organo giudiziario, in questo caso la Cassazione, che non potrà che respingerli, per la lapalissiana ragione che il suo ruolo è proprio la verifica di legittimità.

Berlusconi ha usufruito di nove prescrizioni e in tre casi la Cassazione ha accertato che i reati che gli venivano attribuiti li aveva effettivamente commessi ma era passato il tempo utile per sanzionarli. Berlusconi ha tre processi in corso per corruzione di testimoni, reato in cui sembra essere specializzato. Certo si potrebbe aggirare l’ostacolo varando in tutta fretta una legge ‘alla Putin’ per cui il Capo dello Stato è sottratto ai processi per tutto il tempo del suo mandato e anche oltre, magari almeno fino a quando l’ex Cavaliere avrà compiuto gli agognati 120 anni.

Una recente sentenza della Magistratura mi ha assolto dal reato di diffamazione ai danni di Berlusconi, che aveva proposto azione civile contro di me, affermando che sulla base della straordinaria carriera giudiziaria, chiamiamola così, dell’ex Cavaliere, era lecito definirlo “delinquente naturale, pregiudicato, un uomo nefasto, terrorista, corruttore di magistrati, colossale evasore fiscale, specialista nella compravendita di parlamentari a suon di milioni di euro”.

Inoltre questa sentenza ne ribadisce un’altra della Corte di Appello di Roma, quella del 2/5/2008, sempre di assoluzione, a riguardo di Berlusconi e Previti, avendo io raccontato che i due, in combutta fra di loro, avevano truffato, per miliardi, Anna Maria Casati Stampa, minorenne, orfana di entrambi i genitori, morti in circostanze tragiche. Quella sentenza diceva testualmente che ciò che aveva raccontato il coraggioso giornalista Giovanni Ruggeri nel libro Gli affari del Presidente, e in seguito da me raccolto, si basava “sulla sostanziale veridicità putativa dei fatti”. Ora si può capire, anche se in nessun modo giustificare, l’imprenditore che corrompe la guardia di Finanza, corrompe i testimoni, corrompe i magistrati, ma essere l’artefice di una truffa miliardaria ai danni di un’orfana minorenne, di una persona inerme e totalmente indifesa, dà l’esatta misura della statura morale dell’uomo.

Ce ne dovrebbe essere abbastanza per escludere che un soggetto del genere possa diventare Presidente della Repubblica Italiana. Totalmente in subordine ci sono poi dei corollari, comunque gravi, che rendono Silvio Berlusconi inadatto a ricoprire quel ruolo. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’Italia anche all’estero. Berlusconi ha al suo attivo una serie di memorabili gaffe commesse in sedi internazionali, coprendoci di ridicolo. La più clamorosa è quella ai danni del capo della Spd Martin Schulz definito, in pieno Parlamento europeo, “un kapò”. Io mi trovavo in Corsica in quel momento. La cosa era così grottesca che persino Corse Matin, che si occupa abitualmente di itinerari turistici, di Festival estivi, di corse di cavalli, di pétanque, sentì il bisogno di sbattere la notizia in prima pagina. I miei amici corsi mi guardavano e ridevano. Poi ci sono state le corna fatte alle spalle di un ministro spagnolo durante un convegno internazionale. In altra occasione alle spalle di Putin e Obama ne prende le teste e tenta di avvicinarle come a dire che solo lui, il “Superuomo Silvio”, può far fare pace agli eterni nemici. Una cosa da asilo infantile o più precisamente da oratorio dei salesiani dove Berlusconi giocava, malissimo, a calcio.

Il Presidente della Repubblica ha importanti e pesanti impegni a livello internazionale. Come potrebbe onorarli uno che attualmente sta sotto una tenda a ossigeno, o qualcosa di similare, comparendo solo saltuariamente su Skype?

“Berlusconi for President”. Una cosa così grottesca non sarebbe possibile in nessun altro paese al mondo, occidentale, non occidentale, democratico, totalitario. Da noi invece tutto questo passa sotto il segno dell’indifferenza. Ma sì, cosa vuoi che sia, lascia perdere, pensa alla salute, tira a campà.

Giorgio Gaber cantava nel 2003 “Io non mi sento italiano”. Oggi molto probabilmente direbbe: “io mi vergogno di essere italiano”.

Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2021

giovedì 13 maggio 2021

Acqua sporca. - Marco Travaglio

 

Fa discutere, ma anche ridere, l’ideona dell’Ue di annacquare il vino contro l’abuso di alcol. Ma nessuno si accorge che quella trovata demenziale è alla base della sentenza della Consulta sull’ergastolo “ostativo” e delle cosiddette riforme della Giustizia escogitate dalla Cartabia. Dice la Corte che pure gli ergastolani possono uscire anzitempo dal carcere anche se hanno commesso stragi e collaborano con la giustizia. E allora che ci sta a fare l’ergastolo, che per definizione è “fine pena mai”? E che deve fare un criminale per restare dentro sino alla fine, se non bastano neppure le stragi e il mancato pentimento? Invece di abolirlo, hanno inventato l’ergastolo annacquato. Cioè finto. Stesso discorso per le tre presunte riforme della giustizia. La prima è la pretesa incostituzionale di abolire l’appello, ma solo sulle assoluzioni: le condanne resterebbero appellabili. Come se gli errori giudiziari da correggere non fossero anche le assoluzioni dei colpevoli. Anziché abolire l’appello tout court, si aggiunge un po’ d’acqua e morta lì. La seconda è il Parlamento che decide quali reati le Procure devono perseguire e quali tralasciare: invece di depenalizzare quelli inutili, i politici li tengono nel Codice penale ma decidono di lasciarli impuniti (intanto ne sfornano di nuovi, vedi legge Zan). Un po’ d’acqua per allungare il brodo e il gioco è fatto.

La terza è la prescrizione che, cacciata dalla porta con il dl Bonafede, rientra dalla finestra con questo geniale marchingegno: si fissa per legge la durata massima dei processi e poi, se uno dura anche un giorno di più, la prescrizione torna a galoppare. L’idea di sveltire i processi fissandone la durata per legge è roba da menti malate: un conto è chiamare i giudici a rispondere dei ritardi (dovuti spesso alla loro pigrizia, più spesso a carenze di personale e procedure farraginose, ancor più sovente a manovre dilatorie degli avvocati); un altro è scrivere che i processi devono durare di meno per farli durare di meno. E, se durano di più, premiare con la prescrizione gli imputati che li han fatti durare di più. Così i colpevoli avranno tutta la convenienza a farli durare di più, in barba alla tabella di marcia della ministra. È la blocca-prescrizione diluita con acqua (sporca). Poi, naturalmente, tutti a strillare perché i terroristi Di Marzio e Bergamini non possono più essere estradati dalla Francia perché sono riusciti a restare latitanti quanto basta a far scattare la prescrizione (non del reato, ma della pena). Il bello è che l’estradizione, dopo Bonafede, l’ha chiesta la Cartabia. E i più indignati sono i partiti e i giornali di destra: gli stessi che rivogliono la prescrizione per tutti. Ma quelli l’acqua ce l’hanno al posto del cervello.

IlFQ

mercoledì 3 febbraio 2021

Ultimi ricatti. Scalfarotto re del Belgio, Meb a Fiume e Bellanova a Versailles. - Alessandro Robecchi

 

Con i retroscena più veloci dei retroscenisti, la crisi di governo in atto, innescata dal teorico del Rinascimento Saudita, presenta aspetti interessanti in ogni campo, non escluso quello della psichiatria. Il ruolo centrale di un partito che non si è mai presentato alle elezioni, accreditato nei sondaggi del voto dei parenti stretti (non tutti, a giudicare dalle percentuali) e i cui rappresentanti sono stati eletti dal Pd (lui compreso), dimostra l’eterna validità di un assunto ormai centenario. In teatro, a chi disturbava dalla galleria, Petrolini diceva apertis verbis: “Io non ce l’ho con te ma con chi non ti butta di sotto”. Ecco, questo per dire che cedere a un ricatto è il modo migliore, praticamente sicuro, di subire il prossimo ricatto, e poi il prossimo, e poi il prossimo, eccetera eccetera. Ma veniamo al dettaglio degli avvenimenti, che si susseguono a velocità sostenuta.

Ore 8.15: Renzi chiede il ministero dell’Economia, quello della Giustizia, Trasporti e Lavori pubblici; poi Inps, servizi segreti, l’abbonamento a Sky per due anni, quindici punti in più per la Fiorentina e due aeroporti a Firenze, Nord e Sud, con Nardella controllore di volo.

Ore 9.25: “Irresponsabile chiusura dei partiti avversari”. Così Renzi commenta il titubante no alle sue richieste. In un comizio al Quirinale, ormai trasformato in Leopolda per i suoi show, aggiunge all’elenco 46.000 km quadrati in Mongolia da affidare a Rosato, la comproprietà di Cristiano Ronaldo, una Bentley decappottabile, Fiume italiana con governatore Maria Elena Boschi. Tutto naturalmente per il bene dei nostri figli, per i quali già costruì con le sue mani “mille asili in mille giorni”.

Ore 10.40: “Sconvolto dai veti”, Matteo Renzi apre alla trattativa e concede qualcosa: i km quadrati di Mongolia per Rosato scendono a 30.000, ma è un cedimento che va bilanciato con due miniere di diamanti in Sudafrica e la reggia di Versailles in comodato d’uso per dieci anni a Teresa Bellanova, perché una che ha fatto la bracciante merita di spassarsela un po’ nel lusso, oltre alla soddisfazione di gettare qualche brioche dal balcone.

Ore 12.45: Nuova coraggiosa proposta di Italia Viva: Scalfarotto re del Belgio.

Ore 14.50: Le trattative proseguono a ritmo serrato. Viste le titubanze delle controparti, Renzi decide per il rilancio: il Reddito di cittadinanza può restare in vigore, ma solo per chi ha donato qualcosa alla fondazione Open. Nell’ambito di un ridisegno della politica estera, pretende invece l’annessione di Nizza e Savoia, la Corsica, la Libia e altre nomine all’Eni, dove ha già piazzato gente che non distingue un idrocarburo da un cucciolo di koala.

Ore 16.20: Matteo Renzi concentra la battaglia sul ministero dei Lavori pubblici, perché le infrastrutture sono un bene inestimabile per i nostri figli e nipoti, a cui va costantemente il suo pensiero. Tra i progetti più interessanti, un’avveniristica illuminazione a led per gli ospedali e le scuole dello Yemen, in modo da permettere agli amici sauditi di bombardarle con più agio, senza sprecare preziose bombe italiane la cui fornitura è stata colpevolmente interrotta dal governo Conte.

18.15: Inaspettato rilancio: Scalfarotto imperatore della Turingia.

20.10: Riprendono gli incontri al Quirinale, dove Renzi si presenta con un venditore Tecnocasa e prende appunti: bisognerà abbattere dei tramezzi, rifare gli infissi e acquistare nuovi arazzi.

21.00: Spiace ripetersi, ma tocca farlo: io non ce l’ho con te, ma con chi non ti butta di sotto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/03/ultimi-ricatti-scalfarotto-re-del-belgio-meb-a-fiume-e-bellanova-a-versailles/6088344/

martedì 24 novembre 2020

Non esiste un “caso Morra”: è solo fumo negli occhi da destra. - Andrea Scanzi

 

Il “caso Morra”, che in realtà esiste solo nella testa di Gasparri (dunque non esiste), è un inno all’ipocrisia italiana. Il senatore M5S ha le sue colpe. Colpisce come nelle prime ore non sia stato minimamente difeso dai suoi colleghi grillini: deve stare davvero antipatico a un sacco di deputati e senatori 5 Stelle, altrimenti non si spiega. Chi lo descrive come egoriferito, chi come troppo polemico, chi come “bravo solo lui”. Da qui, al primo inciampo dialettico, questo fuoco amico che si è placato solo dopo il caso della censura Rai, che ha tardivamente compattato i 5 Stelle attorno a Morra.

Il senatore, che conosce la Calabria come pochi e si batte per essa come pochissimi, sta verosimilmente pagando il suo approccio antipatizzante nei confronti di Di Maio e certi attacchi “gilettiani” a Bonafede. A proposito di Giletti, tra gli errori di Morra c’è anche la telefonata di due sere fa a Non è l’Arena. Cercare di intervenire al telefono in un programma di Giletti e uscirne bene senza chiamarsi Salvini e Meloni è una perversione ben strana, che mesi fa aveva contraddistinto pure Bonafede. Morra ha poi sbagliato a vantarsi per essere diventato “trend topic su Twiitter”, perché per divenire trending (non trend) topic in quel social morto e sepolto chiamato Twitter bastano poche decine di tweet vomitati dai soliti imbecilli fascisti (e derivati). Soprattutto: Morra ha sbagliato nel definire la Calabria “irrecuperabile” e nel citare Jole Santelli nella famigerata intervista a Radio Capital. Ha sbagliato non certo perché abbia insultato calabresi, Santelli e malati oncologici: non lo ha mai fatto, e chi asserisce il contrario o è scemo o intellettualmente disonestissimo. Ha sbagliato perché ha prestato il fianco alle polemiche becere dei Mulè e dei Tajani, dei Salvini (che lo ha definito “cretino”) e delle Meloni (che ha attaccato la classe dirigente grillina dimenticandosi dei non pochi esponenti di Fratelli d’Italia con pendenze giuridiche).

Ciò detto, il (non) “caso Morra” è oltremodo avvilente. Morra ha insultato Jole Santelli? No: ha detto che la rispettava umanamente, ma che politicamente erano agli antipodi. Aggiungendo, ed è vero, che i calabresi che l’hanno votata sapevano quanto fosse purtroppo malata. Morra ha insultato tutti i calabresi? No: ha detto che chi ha votato Tallini, ora agli arresti domiciliari con accuse devastanti, non può certo lamentarsi. Affermazione sacrosanta: è ora di finirla con queste analisi sempre autoassolutorie degli elettori. Se voti Tallini, Spirlì o chi volete voi, poi non puoi certo prendertela con la politica cattivona. Proprio Morra si sgola da anni nel raccontare chi sia Tallini, ritenuto “impresentabile” dalla Commissione antimafia pochi giorni prima delle elezioni regionali. Con quali risultati? Nessuno. La destra ha fatto finta di nulla (Sgarbi ne celebrò le lodi attaccando proprio Morra) e Tallini a Catanzaro è risultato il candidato più votato. Morra ha insultato i malati oncologici? No: è la ’ndrangheta a voler lucrare sui farmaci antitumorali. Quella ’ndrangheta che, stando alle intercettazioni, di Tallini non pare aver disistima.

Davvero: di cosa diavolo stiamo parlando da giorni? Che colpe avrebbe Morra? Ci rendiamo conto che, se lui è ritenuto “moralmente indegno” al punto da non poter andare in Rai, Sgarbi andrebbe internato e Berlusconi spedito in Siberia? Ci rendiamo conto che, per molti, sono più gravi due parole (forse) sbagliate da un senatore incensurato che gli arresti e i crimini di un’impresentabile classe politica purtroppo al potere? Siamo messi male.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/24/non-esiste-un-caso-morra-e-solo-fumo-negli-occhi-da-destra/6014224/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-11-24

lunedì 7 settembre 2020

La peste del linguaggio. Quando il detenuto diventa una “persona privata della libertà”. - Nando dalla Chiesa


La peste del linguaggio | Sussurri obliqui

Ma benedetti figli, non ce l’hanno un linguista? Non dico un Tullio De Mauro, ma una persona di buon senso che conosca l’italiano? Mi riferisco a chi in Parlamento, nei ministeri o altrove maneggia con straordinario sprezzo del ridicolo la nostra lingua per sfornare leggi e norme. Stavo giusto meditando su quale persona o situazione scegliere per queste Storie italiane quando un telegiornale della sera ha rivoluzionato tutto. Parlando dello scandalo primaverile delle cinquecento scarcerazioni in massa di boss e trafficanti, il notiziario ha nominato un “Garante delle persone private della libertà”. Che una volta era prima di tutto garante dei detenuti. I quali, a quanto pare, annoverano ora tra i loro diritti quello di non essere più chiamati tali. Una nuova, classica operazione di travestimento semantico. A volta queste operazioni hanno un senso, come quando la domestica è diventata “collaboratrice domestica”. Altre volte sono ridicole, come quando il netturbino (già diverso dallo spazzino) sarebbe dovuto diventare operatore ecologico. Altre volte sono tragicomiche, come in questo caso. Che cosa vuole dire “persone private della libertà”? Si rendono conto gli sprovveduti di quel che scrivono?
Purtroppo non c’è più un Calvino che deplori, quando arriva, “la peste del linguaggio”. Ma qui la peste del politicamente corretto colpisce davvero senza pietà. Perché a essere privati della libertà non ci sono solo i detenuti, che ogni persona assennata continuerà a chiamare tecnicamente, e senza intenti offensivi, “detenuti”. Ma ci sono altre numerose schiere di persone.
Per esempio le donne – mogli, fidanzate e figlie – degli uomini di mafia. Ne stiamo leggendo ormai una quantità di storie raccapriccianti. Vere forme di schiavitù, rispetto alle quali la libertà di azione e di parola di un detenuto diventa quasi un miraggio. Oppure ci sono i testimoni di giustizia, anch’essi privati della loro libertà e in più, spesso, anche del nome. Sono di fatto dei “fine pena mai”, perché non ci sarà mai un medico o un giudice, per quanto corrotto o codardo, capace di restituirli a vita libera. E di quale libertà godono poi i minori che si affastellano negli opifici cinesi, tra il posto di lavoro e la branda, senza poterne uscire per anni? E ancora, ma si potrebbe continuare a lungo: di che libertà godono le giovani prostitute vittime di tratta a sedici, diciassette anni, tenute come bestie-bancomat dalle organizzazioni che le sfruttano? E infine, pietra di paragone massima: e gli ostaggi dei sequestri di persona? Se le parole hanno un senso il Garante delle “persone private della libertà” deve occuparsi anche di tutti costoro, deve scovare i luoghi in cui i loro diritti vengono conculcati e poi difenderne la domanda di giustizia, trattandosi per di più non di “presunti colpevoli” ma di esseri certamente innocenti. Anzi: da che parte starà questa figura mitologica di garante, dovesse mai essere chiamata a scegliere tra i diritti di questi innocenti “privati della libertà” e quelli di chi, avendogliela tolta, incorresse poi nella punizione dello Stato? Quesito interessante e imbarazzante.
Già immagino qualcuno sorridere, con aria di superiorità. “Ma il garante mica deve pensare a tutte queste persone. Pensa ai diritti dei detenuti”. Appunto, e torniamo al punto di partenza. Se alla parola conseguono i fatti, tutto cambia (e forse non sarebbe male, visto che le categorie di cui abbiamo parlato sono totalmente indifese). Se le parole sono invece maquillage che toglie a una società i suoi significati, siamo alla truffa, o alla barzelletta. E significa che c’è il Covid ma c’è anche la peste del linguaggio. E a proposito. Quello che viene giustamente invocato è il distanziamento “fisico”. Contro le distanze sociali è da più di due secoli che ci battiamo. Ribadisco: dategli un linguista.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/07/la-peste-del-linguaggio-quando-il-detenuto-diventa-una-persona-privata-della-liberta/5922900/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-07

lunedì 8 aprile 2019

MA MI FACCIA IL PIACERE - Marco Travaglio

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I Serenissimi. “Tria deve stare sereno” (Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 5.4). E chiedere a Enrico Letta come si fa.
Nuovi martiri. “Caro Mattarella, liberi Formigoni. Ponga fine a questo strazio” (Vittorio Feltri, Libero, 6.4). “Assurdo tenere in cella Formigoni. Dovrebbe essere senatore a vita” (Luigi Amicone, Libero, 7.4). E solo perchè ha rubato appena 6 milioni di euro. Se arrivava a 10, presidente della Repubblica.
Giornalismo investigativo. “Roma, la sindaca Raggi parcheggia l’auto di servizio in divieto di sosta. L’auto elettrica del Campidoglio lasciata davanti al segnale per due ore. Niente multa. L’ironia sui social: ‘Ma non criticava pesantemente Marino per lo stesso motivo?’” (Corriere.it, seconda notizia del giorno in homepage, 7.4). A parte il fatto che la Raggi non parcheggia perché non può guidare, avendo la tutela obbligatoria della Polizia municipale per ordine del Viminale dal 2016, il cartello indica la fine del divieto di sosta: dunque l’auto del Comune che trasporta la sindaca poteva parcheggiare. Però, dài, sui giornaloni conta il pensiero.
Levategli il vino. “Invito Di Maio a non venire a Verona nemmeno tra pochi giorni, quando ha in programma la visita a Vinitaly. Può andare da un’altra parte a fare passerella elettorale, visto che è la stessa città che ha insultato. Se esistesse il Daspo urbano per le offese, Di Maio lo rischierebbe” (Federico Sboarina, sindaco di centrodestra di Verona, 2.4 mattina). “Invito tutti, compreso Di Maio, per scoprire che Verona è la città più bella del mondo” (Sboarina, 2.4 pomeriggio). Ha già iniziato a bere.
Colpa di Virginia/1. “Lo Stato tappa il miliardario buco della Raggi” (Libero, 5.4). “Il governo si accolla i maxi-debiti di Roma e salva la Raggi” (La Stampa, 5.4). “Debito, arriva il ‘soccorso amico’. Esulta Raggi” (Repubblica, 5.4). Trattasi dei 12,8 miliardi di debiti accumulati dalle giunte di sinistra e destra fino al 2008, quando furono commissariati da B. e Alemanno 8 anni prima che la Raggi diventasse sindaca. Ma, anche qui, conta il pensiero.
Colpa di Virginia/2. “Roma, nel disastro grillino, nuove manette per le coop. Il business dell’accoglienza non è finito. Arresti per la onlus che intascava soldi e faceva fuggire i minori” (il Giornale, 4.4). Siccome la onlus ruba, è colpa della Raggi.
Carfagna in castagna. “Marco Travaglio ha indicato in un editoriale Silvio Berlusconi come colpevole dell’omicidio della signora Fadil” (Mara Carfagna, deputata FI, Otto e mezzo, La7, 4.4). “Il cui prodest, una volta tanto, allontana i sospetti da B., che tutto poteva augurarsi fuorché il ritorno dei bungabunga sui giornaloni, che li avevano rimossi per riabilitarlo come leader moderato e argine al populismo. Non solo: da viva Imane poteva essere contestata al processo Ruby-ter da Ghedini&C.; da morta, i suoi verbali dinanzi ai pm valgono come prova inconfutabile” “Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil… I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza” (Marco Travaglio, Il Fatto quotidiano, 17 e 19.3). Secondo voi, così, a naso, chi è il bugiardo?
In fondo a sinistra. “La sinistra si divide sulla patrimoniale. Il no di Zingaretti alla proposta lanciata da Landini: ‘Non è una mia proposta’” (Repubblica, 4.4). Sennò poi scambiano il Pd per un partito di sinistra.
Amorosi Sensi. “Basterebbe il voluminoso apparato bibliografico, le note e le fonti dell’Esecuzione per ringraziare @jacopo_iacoboni del suo cuore di tenebra” (Filippo Sensi, deputato Pd, Twitter, 3.4). C’è chi legge i libri e chi guarda le figure. Sensi lecca le note.
Best killer. “Stop all’ultimo libro noir di Battisti: l’editor francese congela l’uscita” (Repubblica, 1.4). Teme che sia un libro d’evasione.
Il titolo della settimana/1. “Stefano Boeri: ‘Pure i poveri avranno il Bosco Verticale. Il grattacielo ecologico da ricchi può essere replicato per le case popolari in tutte le città’” (Libero, 4.4). È la risposta del Pd al reddito di cittadinanza: il bosco di cittadinanza.
Il titolo della settimana/2. “Il livello record del debito, come ai tempi di guerra” (Federico Fubini, Corriere della sera, 6.4). L’Apocalisse, ormai, è questione di ore. Penitenziagite!
Il titolo della settimana/3. “L’appello al governo per Radio Radicale: ‘Non tolga i fondi, è una voce da salvare’” (Corriere della sera, 5.4). Per sapere: ma questa voce non potrebbe parlare gratis, o almeno non a nostre spese?