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lunedì 1 marzo 2021

Conte dice sì: “Nuovo Movimento aperto, accogliente, intransigente”. - Luca De Carolis e Paola Zanca

 

L’avvocato ha detto sì: a Beppe Grillo, arrivato a Roma con un casco da astronauta, e a tutti i maggiorenti del Movimento. Ma è un sì con riserva, e alle sue condizioni. Perché l’ex premier vuole cambiare quasi tutto, e avere mano libera. Altrimenti “amici come prima” come scandisce con cortese fermezza nel vertice che dovrebbe valere come una svolta. Davanti al Garante e ai big del M5S in agonia, Giuseppe Conte non annuncia l’iscrizione al Movimento che pure l’aveva portato a palazzo Chigi. Piuttosto, chiede e ottiene “alcune settimane” per scrivere un “progetto rifondativo”, con cui cambiare la struttura e soprattutto le regole dei 5Stelle; troppe e astruse, a suo avviso.
Un piano per spalancare le porte del Movimento “alla società civile”, renderlo “accogliente” e trasformarlo. Al punto che nell’incontro Conte la butta lì: “Potremmo valutare anche un cambio del nome”. E i presenti si mostrano disponibili. Perché è a lui che devono aggrapparsi, all’ex premier che per accettare vuole il consenso di tutte le anime del M5S. E se lo avrà, a gestire sarà di fatto lui: da capo politico, segretario o formula similare.

Di sicuro ha chiesto e ottenuto di potersi scegliere la segreteria che lo aiuterà a “rifondare” il Movimento. Verbo centrale anche nella nota di riepilogo dei 5Stelle. E d’altronde di “rifondazione” avevano parlato la settimana scorsa sul Fatto Alfonso Bonafede e Paola Taverna. Sempre invocando Conte. Non può stupire che sia il senso della riunione con l’ex premier, fortissimamente voluta da Grillo, a cui in tarda mattinata partecipano tutti i pesi massimi: da Luigi Di Maio, Roberto Fico e gli stessi Bonafede e Taverna, per passare al reggente Vito Crimi, a Stefano Patuanelli e Riccardo Fraccaro e ai capigruppo in Parlamento. Manca solo Davide Casaleggio, che ha respinto l’invito del Garante. Tutti gli altri in una giornata primaverile si ritrovano nell’hotel Forum. L’usuale base del Garante nelle sue trasferte romane, scelta come piano b dopo la fuga di notizie sulla sede originaria del vertice, la sua villa al mare in Toscana. E all’albergo con vista sui Fori, Grillo va con uno scafandro da primo uomo sulla Luna, che pare ricordare un suo recente post (“I 5Stelle non sono più marziani”). Ma non c’è tempo per scherzare con Conte, in giacca e camicia blu. Anche perché l’ondata di ricorsi degli espulsi potrebbe rappresentare una bella grana per il nuovo capo politico, e l’avvocato Conte lo sa. Così spiega che dovrà “studiare bene” Statuto e regolamenti. E capire se è necessaria una nuova associazione giuridica, magari con un nuovo nome, oppure se si può procedere con quella attuale, cambiando lo Statuto. Crimi gli chiede di far votare comunque il comitato a cinque, già approvato dagli iscritti. Ma Conte vuole sceglierla, la segreteria. Tenendo dentro big come Di Maio, a cui ha già chiesto la disponibilità: da capo. Ma è meglio non definirlo così, almeno non ora, dicono. Perché i big notano le parole dell’ex ministro Vincenzo Spadafora, a Mezz’ora in più: “Non va fatta un’immissione a freddo di Conte, ma serve un percorso con modalità di partecipazione concrete”. Soprattutto, Spadafora sostiene: “Il M5s vive sempre di piccoli cerchi temporanei in cui si decidono le cose, ora vanno create regole democratiche e chiare”. Ergo, il timore ai piani alti è che monti l’insurrezione interna contro un nuovo leader calato dall’alto. Per questo fonti vicine all’ex premier precisano: “Conte non ha voluto alcun incarico formale, lavorerà al progetto e solo se verrà condiviso da tutti si impegnerà a realizzarlo con gli iscritti”. Un altro modo per dire che l’avvocato vuole un diffuso consenso. “Sentirò tutti” fa sapere. E potrebbe cercare anche il big che si è fatto di lato, Alessandro Di Battista. Ma a pesare ci sono anche i temi dentro “il progetto”, riassunti così: “Conte ha raccolto l’invito a elaborare un progetto rifondativo con il Movimento, per farne la forza trainante della transizione ecologica e digitale”. L’obiettivo principale, con la “lotta alla corruzione, il contrasto delle diseguaglianze, delle rendite di posizione e dei privilegi”.

Grillo già esulta sul suo blog: “Ora è arrivato il momento di andare lontano!”. E Di Maio assicura: “Questa è la strada, sono anni che ci danno per morti ma il M5S scriverà il futuro”. Prima però bisogna aspettare Conte. L’indispensabile.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/01/conte-dice-si-nuovo-movimento-aperto-accogliente-intransigente/6116973/

lunedì 7 settembre 2020

La peste del linguaggio. Quando il detenuto diventa una “persona privata della libertà”. - Nando dalla Chiesa


La peste del linguaggio | Sussurri obliqui

Ma benedetti figli, non ce l’hanno un linguista? Non dico un Tullio De Mauro, ma una persona di buon senso che conosca l’italiano? Mi riferisco a chi in Parlamento, nei ministeri o altrove maneggia con straordinario sprezzo del ridicolo la nostra lingua per sfornare leggi e norme. Stavo giusto meditando su quale persona o situazione scegliere per queste Storie italiane quando un telegiornale della sera ha rivoluzionato tutto. Parlando dello scandalo primaverile delle cinquecento scarcerazioni in massa di boss e trafficanti, il notiziario ha nominato un “Garante delle persone private della libertà”. Che una volta era prima di tutto garante dei detenuti. I quali, a quanto pare, annoverano ora tra i loro diritti quello di non essere più chiamati tali. Una nuova, classica operazione di travestimento semantico. A volta queste operazioni hanno un senso, come quando la domestica è diventata “collaboratrice domestica”. Altre volte sono ridicole, come quando il netturbino (già diverso dallo spazzino) sarebbe dovuto diventare operatore ecologico. Altre volte sono tragicomiche, come in questo caso. Che cosa vuole dire “persone private della libertà”? Si rendono conto gli sprovveduti di quel che scrivono?
Purtroppo non c’è più un Calvino che deplori, quando arriva, “la peste del linguaggio”. Ma qui la peste del politicamente corretto colpisce davvero senza pietà. Perché a essere privati della libertà non ci sono solo i detenuti, che ogni persona assennata continuerà a chiamare tecnicamente, e senza intenti offensivi, “detenuti”. Ma ci sono altre numerose schiere di persone.
Per esempio le donne – mogli, fidanzate e figlie – degli uomini di mafia. Ne stiamo leggendo ormai una quantità di storie raccapriccianti. Vere forme di schiavitù, rispetto alle quali la libertà di azione e di parola di un detenuto diventa quasi un miraggio. Oppure ci sono i testimoni di giustizia, anch’essi privati della loro libertà e in più, spesso, anche del nome. Sono di fatto dei “fine pena mai”, perché non ci sarà mai un medico o un giudice, per quanto corrotto o codardo, capace di restituirli a vita libera. E di quale libertà godono poi i minori che si affastellano negli opifici cinesi, tra il posto di lavoro e la branda, senza poterne uscire per anni? E ancora, ma si potrebbe continuare a lungo: di che libertà godono le giovani prostitute vittime di tratta a sedici, diciassette anni, tenute come bestie-bancomat dalle organizzazioni che le sfruttano? E infine, pietra di paragone massima: e gli ostaggi dei sequestri di persona? Se le parole hanno un senso il Garante delle “persone private della libertà” deve occuparsi anche di tutti costoro, deve scovare i luoghi in cui i loro diritti vengono conculcati e poi difenderne la domanda di giustizia, trattandosi per di più non di “presunti colpevoli” ma di esseri certamente innocenti. Anzi: da che parte starà questa figura mitologica di garante, dovesse mai essere chiamata a scegliere tra i diritti di questi innocenti “privati della libertà” e quelli di chi, avendogliela tolta, incorresse poi nella punizione dello Stato? Quesito interessante e imbarazzante.
Già immagino qualcuno sorridere, con aria di superiorità. “Ma il garante mica deve pensare a tutte queste persone. Pensa ai diritti dei detenuti”. Appunto, e torniamo al punto di partenza. Se alla parola conseguono i fatti, tutto cambia (e forse non sarebbe male, visto che le categorie di cui abbiamo parlato sono totalmente indifese). Se le parole sono invece maquillage che toglie a una società i suoi significati, siamo alla truffa, o alla barzelletta. E significa che c’è il Covid ma c’è anche la peste del linguaggio. E a proposito. Quello che viene giustamente invocato è il distanziamento “fisico”. Contro le distanze sociali è da più di due secoli che ci battiamo. Ribadisco: dategli un linguista.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/07/la-peste-del-linguaggio-quando-il-detenuto-diventa-una-persona-privata-della-liberta/5922900/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-07