Il titolo del Giornale è: “Sceriffi da strapazzo. Verso lo Stato di polizia”. Quello della Verità: “Conte arruola 60.000 spioni”. Si parla del reclutamento dei controllori civici antimovida da parte del governo, misura opinabile quanto si vuole (un esercito improvvisato, e poi per fare cosa?) non certo con la risibile accusa di aver creato una milizia di stampo autoritario. Quando invece i poveretti, disarmati e, a quanto sembra, privi di poteri sanzionatori rischiano di essere presi loro a ceffoni dal primo bullo privo di mascherina.
Poi la domanda sorge spontanea: ma costoro non erano i più securitari di tutto il cucuzzaro, roba che per anni ci hanno frantumato le orecchie auspicando cannonate sui barconi degli immigrati, ronde armate di quartiere e più fucilate per tutti (con la scusa della legittima difesa)? E adesso, di punto in bianco, povere stelle si scoprono un’anima così antiautoritaria, libertaria, non violenta, pacifista, permissiva che se fosse ancora vivo Marco Pannella li avrebbe iscritti di diritto (con una risata delle sue) all’associazione Nessuno tocchi Caino.
Il fatto è che alla destra politica di Salvini, Meloni e Berlusconi – divisa su Europa e Mes, confinata dal protagonismo di Giuseppe Conte in una frustrante opposizione, indecisa sul da farsi e in cerca di autore – sembra progressivamente sostituirsi la destra televisiva dei direttori di giornale e degli opinionisti col colpo in canna, sempre più protagonista dei talk e degli ascolti.
Priva di vincoli di partito, favorita da una certa anarchia editoriale è una guerriglia dattilografa che se ne può tranquillamente infischiare di equilibri politici, tattiche parlamentari e balle varie. Un Vietnam degli insulti e delle accuse determinato a perseguire un solo obiettivo, la devastazione dell’attuale governo bombardato incessantemente a colpi di napalm. Con polemiche che possono essere tutto e il contrario di tutto, la negazione oggi di ciò che veniva proclamato ieri, nella orgogliosa precarietà delle opinioni, dominata unicamente dal bersaglio nel mirino, l’odiato premier, e da una bussola infallibile: così è se ci pare. Un modello coerente di assoluta incoerenza sublimato nei giorni della quarantena con le richieste di chiusura, apertura e di nuovo chiusura, come in una gara di ubriachi ma di quelli tosti.
Per carità, nessuno scandalo, fa parte del gioco anche se non sapremmo dire fino a che punto Matteo Salvini e Giorgia Meloni lo abbiano compreso che in questo modo e a lungo andare l’intrattenimento finirà fatalmente per mangiarsi l’opposizione. Ribaltamento dei ruoli iniziato probabilmente con il testacoda del Papeete, quando per inseguire i pieni poteri, il cosiddetto capitano si ritrovò tra le mani il vuoto di potere. L’intendance suivra, l’intendenza seguirà diceva il generale De Gaulle (e forse prima di lui Napoleone), convinto che l’apparato logistico di sostegno (stampa compresa) avrebbe dato seguito alle decisioni dei vertici militari e politici. Infatti, prima di quel mojito di troppo, era l’acclamatissimo uomo forte del Viminale a dare la linea: contro gli immigrati e prima gli italiani. Con la stampa amica dietro.
Sembra trascorso un secolo. L’avvento del Covid-19 ha trasformato il nazionalismo del contrasto e dell’odio (verso l’altro) nell’orgoglio nazionale di una collettività solidale, e nell’amor patrio che sventola i tricolori alle finestre. “Si rafforza lo Stato, le istituzioni e il governo”, “mentre nell’emergenza ogni opposizione viene percepita come un ostacolo” (Repubblica di ieri, sondaggio di Ilvo Diamanti). Più il centrodestra si dimostra incapace di dire ciò che intende essere di fronte a emergenze impensabili soltanto tre mesi fa (presenza maggiore dello Stato in economia o meno Stato? E cosa significa continuare a definirsi sovranisti quando oggi più che mai si riconosce la necessità dell’Europa?).
Più il centrodestra si fossilizza nella narrazione di ciò che non intende essere, contando su improbabili spallate a una maggioranza coesa per istinto di sopravvivenza e assenza di alternative. E più continuerà a farsi dare la linea dai Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti, o dai Mario Giordano, Paolo Del Debbio, Maria Giovanna Maglie (che tra l’altro a bastonare con le parole sono assai più bravi).
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