Le origini. I soldi del capo di Forza Italia. Cose loro “Mio nonno era in contatto con l’ex Cavaliere”: e i pm di Firenze scavano sui patrimoni iniziali di Silvio. Volano a Palermo. Risentono l’ex gelataio Baiardo.
Si muove come un fiume carsico l’ inchiesta fiorentina per strage su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. L’ipotesi più volte sollevate e più volte scartata è che ci siano stati rapporti tra Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, poi condannati definitivamente per le stragi del 1992 e 1993.
Berlusconi e Dell’Utri sono stati già indagati e archiviati negli anni novanta e duemila. Sono di nuovo indagati da più di tre anni per le parole dette contro Berlusconi in carcere da Giuseppe Graviano nel 2016 e 2017 poi ribadite dal boss con affermazioni, tutte da riscontrare, sui suoi rapporti con Berlusconi risalenti al 1993 in aula al processo Ndrangheta Stragista.
L’indagine è stata rivitalizzata dalle dichiarazioni di Giuseppe Graviano del febbraio 2020 in aula sugli investimenti fatti negli anni settanta dalla sua famiglia materna nelle imprese milanesi di Berlusconi. Parole di un boss che non è un collaboratore e non si è mai pentito e sembrano più messaggi minacciosi che rivelazioni. Al Fatto risulta che nell’ inchiesta è stato sentito anche Salvatore Baiardo, l’ex gelataio ad Omegna, condannato per favoreggiamento più di venti anni fa perché ospitò quando erano latitanti i due fratelli di Brancaccio, arrestati nel gennaio 1994.
Dopo la scossa della trasmissione Rai Report che ha intervistato a gennaio il favoreggiatore sui presunti rapporti tra Berlusconi e dell’Utri con i due boss, qualcosa si muove. Anche Baiardo è un soggetto dalle rivelazioni carsiche. Nel 1995 aveva accennato qualcosa sui rapporti tra il gruppo Berlusconi e i Graviano ai Carabinieri che avevano arrestato i due boss a Milano. Fu ritenuto inattendibile. Poi l’inchiesta passò a Francesco Messina, attuale Direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato, allora capo della Dia di Milano. Messina andò a sentire Baiardo e scrisse un’informativa basata sulle sue rivelazioni che Baiardo non firmò per paura. Baiardo parlava vagamente dei rapporti tra dell’Utri e i Graviano, mai riscontrati. Messina in tv a Report ha detto che non ricevette nemmeno un impulso a indagare dai magistrati su quell’informativa. Era il novembre del 1996, quasi 25 anni fa.
Poi Salvatore Baiardo, ormai una decina di anni fa si è fatto vivo con Il Fatto, che lo ha intervistato. Tirò il sasso alludendo alle vacanze in Sardegna nel 1992 e 1993 dei fratelli Graviano a poca distanza dalla villa di Berlusconi, facilmente raggiungibile via mare da villa Certosa. Poi tirò indietro la mano dicendo che comunque da lì a dire che si erano incontrati “c’è di mezzo il mare”.
Infine Baiardo ha parlato a Report nell’intervista trasmesa due mesi fa. Secondo lui i rapporti finanziari tra i Graviano e Berlusconi sarebbero stati reali ma più importanti di come li racconta Giuseppe Graviano. Affermazioni non riscontrate e talvolta fumose e discordanti che sono senza alcun fondamento per i legali di Berlusconi. Al Fatto risulta che, dopo quelle affermazioni a Report, Baiardo è stato sentito a verbale dai pm di Firenze. Di nuovo. Era già stato sentito in gran segreto nei mesi scorsi altre tre volte e avrebbe parlato a lungo.
Secondo L’espresso i pm fiorentini sarebbero scesi in trasferta a Palermo per cinque giorni tra 8 e 12 febbraio per fare verifiche sul territorio proprio nel filone dell’inchiesta che riguarda i presunti rapporti economici del passato tra la famiglia Graviano e il gruppo Berlusconi. Inoltre i pm di Firenze prima sono andati a interrogare in carcere a Terni Giuseppe Graviano per chiedergli conto delle sue rivelazioni fatte al processo Ndrangheta Stragista su suoi presunti rapporti con Silvio Berlusconi. Il boss di Brancaccio è stato ascoltato il 20 novembre e il giorno prima era stato ascoltato il fratello Filippo Graviano nel carcere di L’Aquila. Da più di dieci anni Filippo a differenza di Giuseppe dice di essersi dissociato. Il boss ha ammesso di essere stato un associato a Cosa Nostra anche se nega di essere mai stato il capo del mandamento o di aver preso parte alle stragi del 1992 e 1993 per le quali è stato condannato.
I due fratelli Graviano sono stati condannati per le stragi del 1992 (costate la vita ai giudici Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta e al giudice Paolo Borsellino con 5 agenti di scorta) nonché per le stragi del 1993 a Firenze e Milano, costate la vita a 10 persone in tutto tra le quali due bambine, nonché per gli attentati contro le basiliche e contro il conduttore Maurizio Costanzo e la moglie Maria De Filippi, nonché per l’esecuzione del beato don Pino Puglisi, parroco del loro quartiere Brancaccio. Nonostante tutte le condanne definitive i due fratelli che hanno ormai 57 (Giuseppe, il boss vero del clan) e 59 anni (Filippo, il più grande che però era in realtà più l’uomo dei conti) continuano a sperare di potere uscire. Filippo Graviano ha chiesto recentemente un permesso premio motivandolo con la sua dissociazione. Nel 2010 Giuseppe Graviano e Filippo Graviano furono convocati al processo di appello contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno. Alla domanda se lo conoscessero, Filippo ha risposto di no raccogliendo i complimenti di dell’Utri sul suo ravvedimento mentre Giuseppe si è avvalso della facoltà di non rispondere. Dell’Utri, che era stato ritenuto colpevole in primo grado anche per la fase politica del suo impegno pubblico, in appello è stato assolto anche perché il racconto di Spatuzza in quel processo non è stato ritenuto attendibile.
Nell’agosto del 2013 Giuseppe Graviano scrisse dal carcere una lettera all’allora ministro Beatrice Lorenzin, che al Fatto disse di non averla letta. Nella lettera, svelata ieri da L’espresso, chiedeva un miglioramento delle sue condizioni carcerarie e sosteneva di essere in carcere “perché dal primo giorno del mio arresto mi è stato detto che se non avessi accusato il presidente di Forza Italia e collaboratori venivano accusato di tutte le stragi del 1993 in poi, lo stesso i miei fratelli, per i parenti altre accuse di 416 bis”. Il boss sosteneva di esser stato spinto “a confermare le accuse dei collaboratori di giustizia nei confronti del senatore Berlusconi, (…) per la provenienza dei capitali per formare il patrimonio della famiglia Berlusconi e in questi ultimi 20 anni altri che conoscete anche tramite i mass-media per ultimo Spatuzza che accusa il senatore Berlusconi e l’ex senatore dell’Utri delle stragi del 1993 e il senatore Renato Schifani per affari con i fratelli Graviano”. Il boss però scriveva “ho la forza di non cedere ai ricatti”.
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